Per le Edizioni Clichy, questo gennaio è stato pubblicato 1889, romanzo di Régis Jauffret. L’autore – anche noto per Univers, univers e Microfictions – torna a esplorare l’animo umano nelle sue sfaccettature più cupe e oscure. In quest’opera si spinge a raccontare una delle famiglie più complesse che si possano immaginare, ovvero quella che darà alla luce Adolf Hitler.
Un racconto storico che colpisce il lettore e lo lascia senza fiato, in un vortice di violenza e crudezza che non lascia scampo. Solo una penna raffinata e visiva come quella di Jauffret poteva, forse, descrivere la gravidanza che portò alla luce una delle figure più terribili della storia umana, senza lasciar spazio a sentimentalismi o illusioni.
Malgrado tutto, però, 1889 merita la nostra lettura. Uno sguardo dall’esterno verso quella vita che sta per nascere e cambierà la vita di gran parte della popolazione mondiale.
«1889»: la trama
Il romanzo porta nel titolo l’anno in cui Klara – madre di Hitler – porta avanti la sua terza gravidanza. Sposata con quello che definisce lo Zio – con cui condivide davvero legami famigliari, probabilmente di cuginanza – dopo aver lavorato per lui come domestica, Klara partorisce due bambini prima di Adolf: Gustav e Ida. Entrambi, però, muoiono qualche anno dopo di difterite. Nella realtà, Klara ebbe un terzo figlio, Otto, morto anch’esso in gioventù.
Questa nuova gravidanza per Klara arriva, quindi, carica di terrore, sia per la paura di una nuova morte prematura – che potrebbe sconvolgere già la sua flebilissima salute mentale – sia per il senso di dovere verso lo Zio, Alois Hitler, che desidera ardentemente portare avanti il suo cognome e creare una numerosa dinastia.
Gli ho semplicemente chiesto se Dio poteva vendicarsi dei peccati di sua madre addebitandoli ai suoi figli.
«Chi vi credete di essere per rivendicare l’onore della vendetta divina?»
Poi mi ha chiesto se Dio mi aveva concesso la gravidanza sperata. Gli ho chiesto se invece del bambino desiderato non potessi invece avere dentro di me un distorto presentimento.
L’oppressione subita
Klara, durante tutto il romanzo, è vessata continuamente da chiunque la circondi. In primo luogo dal marito, che non riesce a considerare come tale ma solo come Zio. Alois Hitler la tormenta per ogni cosa, soprattutto riguardo ai suoi doveri di moglie. Klara non ha pace nella sua casa, soprattutto dato che i suoi figli sono entrambi morti mentre i figli della prima moglie di Alois stanno crescendo bene e sani. Le speranze di Klara verso questa nuova gravidanza la portano a continui stati di ansia.
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Per evadere da quella tensione, Klara si rivolge alla Chiesa. Fedele devota, è però circondata da fedeli ancora più bigotti di quanto Klara non appaia, prima di tutti l’abate Müller che, invece di ascoltarla e perdonarla, l’accusa e le nega l’assoluzione, trascinandola ancora di più nel baratro di una vita di violenza.
I dolori svanirono. Sopportavo in silenzio il dovere coniugale. L’abate mi avrebbe inflitto una pesante penitenza ogni volta che avessi confessato di aver inventato un disturbo per cercare di scoraggiare lo Zio a montarmi.
«Figlia mia, non siete una giumenta».
«Padre, cosa posso fare per avere un po’ di tregua?».
«Tacere, queste cose devono essere taciute».
Una gravidanza veggente
Ciò che rende questa storia affascinante è come, man mano che la gravidanza prosegue, il feto dentro di lei comincia quasi a mandarle dei messaggi. Klara si ritrova a pensare o immaginare cose strane, parole di cui non conosce il significato, immagini che il lettore può ben ricollocare nella storia futura. Quello che diventerà Adolf Hitler comincia a insinuarsi nella mente di Klara, inizia a contorcerla su temi che lei non può comprendere né sostenere mentalmente, opprimendola ancora di più.
D’altronde se la madre del Diavolo avesse ucciso suo figlio subito dopo il battesimo egli non avrebbe potuto spandere il dolore nel mondo e sarebbe salito delicatamente al Cielo come il fumo dell’incenso. Egoiste le donne a preferire la propria salvezza a quella di un essere che non le ha supplicate di vivere e che forse sarà dannato.
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Klara inizia quindi un dibattito interiore riguardo chi avrà in grembo e chi diventerà, sotto la pressione del padre Alois, che lo immagina già maschio e comandante, fautore di una numerosa dinastia che popolerà l’intera Europa. Non c’è spazio per i suoi desideri: Klara segue solo gli ordini a lei imposti, anche dal piccolo che si ritrova in grembo. La pace non è qualcosa che ha vissuto veramente nella sua vita, è qualcosa che Alois perfino spera per l’Europa per poter espandere il proprio dominio. In tutta l’opera, ciò che governa le azioni dei personaggi e i loro pensieri è la violenza, di cui Klara è perennemente vittima.
Una storia necessaria
Per quanto il racconto sia crudo e poco adatto a stomaci leggeri, 1889 (acquista) è comunque un’opera necessaria. Non si impone come pornografia del dolore di una donna vessata o come esaltazione di un essere umano in compimento verso l’orrore che compirà in futuro. La storia vuole mostrare la profonda umanità di una donna in difficoltà, che tenta il meglio di sé stessa contro le avversità che continuano a piombarle addosso, da ogni lato. Una forza invidiabile nella grandissima fragilità che la caratterizza.
Klara diventa protagonista indiscussa, oltre quel figlio che potrebbe renderla invisibile come mero corpo che lo accoglie. Invece è lei che rimane al centro dell’attenzione, mentre Adolf Hitler non viene mai nominato per tutto il romanzo, nemmeno dopo la sua nascita. Ogni volta viene usata una perifrasi o il nome viene lasciato intendere, senza bisogno di menzionarlo. Questo non è un libro su di lui, per quanto si imponga nella mente di Klara prima ancora di nascere, ma su chi ha lottato fino all’ultimo respiro per avere un piccolo momento di gioia.
Quando moriamo ci accorgiamo che forse la nostra vita non è stata altro che una lunga scia di parole sentite, dette, sognate, tracciate con un gessetto su una lavagna.
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