Nicola Ravera Rafele non è parigino. La sua prima volta a Parigi è stata a dodici anni: «quel primo sguardo d’amore» l’ha conquistato, segnando l’inizio di tanti altri successivi incontri. Nel suo nuovo saggio, A Parigi, edito Giulio Perrone Editore, ha deciso di tracciare una geografia letteraria, trasponendo su carta ricordi, sensazioni, luoghi della città, nel tentativo di racchiuderne l’identità, vista dagli occhi di chi non ci è nato, ma «rinato».
Sono occhi da straniero, lo strabismo di chi non è né turista, né abitante, ma ammicca verso tutti e due questi stati.
«We will always have Paris»
Questo punto di osservazione «privilegiato ed irrequieto», lo «strabismo» di chi non è abitante ma neppure turista, è stato prescelto da autori come Julio Cortázar, Mario Vargas Llosa, Ernest Hemingway, Scott Fitzgerald, Walter Benjamin e tanti altri. Ravera Rafele li rintraccia tutti e dà spazio alle loro parole. Racconta di intellettuali che hanno scelto di vivere questa città, scoprirla nelle sue ombre e luci, innamorarsene consapevolmente, senza vincoli affettivi di nascita. Autori che, come lui, hanno sperimentato un déplacement spirituale nella capitale francese. Perché Parigi è «uno stato d’animo, più che un luogo fisico».
«We will always have Paris», recitava Humphrey Boggart nel finale di Casablanca. Una frase iconica, in grado di esprimere quanto questa città non rappresenti solo uno spazio concreto, ma piuttosto un potente simbolo universale e, allo stesso tempo, soggettivo.
Un amore «strabico, privilegiato ed irrequieto»
Nelle pagine di A Parigi, le riflessioni dell’autore dialogano con quelle di altri scrittori, dando vita ad un viaggio letterario tra gli arrondissements, cinema, librerie, caffè, cimiteri, abitudini e angoli nascosti della capitale. Si rievocano personaggi come la Maga di Cortázar e la Niña Mala di Llosa, che, attraverso le loro avventure parigine, svelano man mano l’anima della città. Ravera Rafele conferma il potere dell’immaginazione e della letteratura: si può viaggiare a lungo e in qualsiasi luogo perdendosi tra le pagine di un libro.
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Conoscere Parigi, conoscere sé stessi
Come tutti gli autori proposti, anche Ravera Rafele è affetto dal vizio della flânerie: la condizione di chi si abbandona al vagabondare ozioso e curioso, originariamente descritto da Baudelaire. Questo girovagare apparentemente distratto, cela una insaziabile voracità di dettagli e si rivela lo spirito giusto per conoscere l’autentica essenza parigina. Come suggerisce anche Walter Benjamin, Parigi è «la terra promessa dei flaneûrs» perché è un «paesaggio fatto di pura vita».
Il vizio di perdersi tra gli arrondissements della capitale ha significato per tutti questi intellettuali l’occasione di conoscersi più a fondo, in un perfetto connubio tra scoperta e rispecchiamento. «Camminare per Parigi è camminare verso di me», scrive Cortázar.
«A Parigi»: un viaggio senza ritorno
A Parigi, a metà strada tra una guida e un saggio letterario, si presenta come un autentico taccuino di viaggio. Un piccolo quaderno in cui Ravera Rafele appunta pensieri, scrive di letteratura, musica, cinema, posti indimenticabili: uno spazio di carta in cui riflette su sé stesso e su come Parigi lo abbia segnato. L’intento è chiaro fin dalle prime pagine: imprigionare sensazioni prima che si «dissolvano» e conservarle «intatte» dalla minaccia del tempo.
A Parigi (acquista) è un inno d’amore, il racconto di un viaggio senza via di ritorno.
Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna, perché Parigi è una festa mobile.
«Festa mobile», Ernest Hemingway
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