Addio a Daniele Del Giudice

Si è spento lo scrittore del mistero e della leggerezza calviniana

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Daniele Del Giudice

Si spegne all’età di 72 anni a Venezia, dove si era ritirato in una residenza nella Giudecca, lo scrittore Daniele Del Giudice. Malato da tempo, dopo una lunga malattia che gli aveva impedito di continuare la sua attività di scrittore, Del Giudice avrebbe ricevuto il Premio speciale alla carriera della Fondazione Il Campiello sabato prossimo.

Dopo le morti più recenti di Roberto Calasso, Antonio Pennacchi e Laura Lepetit, se ne va un altro grande protagonista della letteratura e dell’editoria italiana. Uno scrittore, in questo caso, molto schivo e riservato, le cui opere hanno saputo fare un grande rumore appassionando tanti lettori.

Chi era Daniele Del Giudice?

Daniele Del Giudice nasce a Roma nel 1949. In varie interviste, lo scrittore raccontava di come da piccolo suo padre, prima di morire, gli regalò una macchina da scrivere e una bicicletta, presagi di quelle che sarebbero state – parafrasando la sua celebre raccolta di racconti – le sue «manie»: la scrittura, il movimento e lo spazio.

Del Giudice non termina gli studi universitari, poiché comincia a collaborare per varie testate giornalistiche come critico letterario, tra cui “Paese Sera” a Roma, assieme all’amico Franco Cordelli. La carriera giornalistica, però, sfocia in quella di scrittore quando nel 1983 Italo Calvino vede in lui un suo futuro erede e lo porta a pubblicare il primo romanzo Lo stadio di Wimbledon (acquista) (di cui nei prossimi mesi uscirà una nuova edizione, sempre per la casa editrice torinese), per poi diventare nel 1986 fra i più giovani consulenti della casa editrice di via Biancamano.

Dalla pubblicazione del suo primo romanzo in poi Daniele Del Giudice continuerà a scrivere fino all’arrivo della sua malattia, il morbo di Alzheimer. Non sono mancati i premi durante la sua carriera, tra cui il Premio Viareggio Opera Prima nel 1983, il Premio Bergamo, il Premio Bagutta, il Premio Feltrinelli dell’Accademia Nazionale dei Lincei per l’opera narrativa e due candidature – nel 1994 e nel 1997 – al Premio Campiello, che quest’anno gli conferirà il Premio alla carriera con la seguente motivazione:

Fin da giovane Del Giudice ha mostrato di possedere uno sguardo originale sulle cose e una meticolosa, rigorosa, selezione delle parole. Quelle parole che sono state le compagne della sua vita e la cui scelta e la cui disposizione avevano colpito Italo Calvino, che rimase folgorato dal romanzo “Lo stadio di Wimbledon”. Del Giudice ha saputo frequentare la leggerezza – intesa nel senso che proprio Calvino attribuiva a questo temine – facendola incontrare con la profondità di un viaggio permanente, mosso dal dubbio e dalla curiosità. Il Premio Campiello rende dunque omaggio a un uomo che ama questa città, Venezia, in cui ha fatto vivere “Fondamenta”, l’iniziativa di ricerca di cui è stato appassionato promotore.

L’opera di Del Giudice fra mistero e leggerezza calviniana

Come ricorda giustamente Walter Veltroni, Presidente della Giuria del Campiello di quest’anno, l’opera di Daniele Del Giudice percorre il solco della leggerezza calviniana, concepisce cioè la scrittura come viaggio permanente mosso dal dubbio, dalla curiosità, ma anche da una profonda ricerca esistenziale.

Tra le sue opere vale la pena ricordare il già citato Lo Stadio di Wimbledon, incentrato sulla ricerca del protagonista – uno scrittore – di uno degli intellettuali più schivi e silenziosi di sempre, ovvero Roberto “Bobi” Bazlen. Un’opera che costituisce benissimo il punto di partenza per conoscere lo scrittore romano e la sua personalità schiva e riservata, ma dedita alla creazione letteraria come continua ricerca.

È del 1985, invece, Atlante Occidentale (acquista), un’opera incentrata, questa volta, sulla fisica, e che narra dell’incontro reale avvenuto a Ginevra tra lo scrittore Ira Epstein e il fisico del CERN Pietro Brahe. Attraverso questo romanzo, Del Giudice si incentra sulla dicotomia tra la razionalità scientifica e la letteratura, sui limiti della prima e sulle capacità della seconda di cogliere la complessità del reale.

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Epstein e Brahe sono accomunati dalla passione per il volo, altre grande ossessione di Daniele Del Giudice su cui sono incentrate le opere Staccando l’ombra da terra del 1994, raccolta di racconti che tratta di storie ed esperienze legate al volo, fra cui quella dell’autore francese Antoine de Sant-Exupéry, e testo scritto per uno spettacolo teatrale di Marco Paolini sulla tragedia di Ustica I-Tigi. Canto per Ustica del 2009.

Da ricordare ci sono non solo le raccolte di scritti In questa luce (2013) e Orizzonte mobile (2009), quest’ultimi dedicati al tema della spedizione, ma anche i racconti, fra quelli della prima raccolta Mania (1997) e il celebre racconto lungo Nel museo di Reims (1988), ora racchiusi in un volume unico del 2016 per le Letture Einaudi, di cui Tiziano Scarpa nella prefazione scrive quanto segue:

Alla fine, tutte le descrizioni di Del Giudice non sono altro che tentativi di mettere in evidenza ciò che scorre sotto la crosta terrestre dell’epoca, sotto le placche continentali dei suoi nuovi oggetti e dispositivi e terminologie passeggere: la cosa indicibile, imprendibile, ineffabile: la più strana di tutte, la più inspiegabile, quella che illumina tutte le altre senza poter essere mai vista: la cosa gratuita, indisponibile, irreparabile: il tempo.

Che si tratti di un cieco che cerca di immaginare i quadri che osserva al museo, di uomini alle prese con l’ossessione per la musica, di fortezze militari simili alla Fortezza Bastiani del Deserto dei Tartari o di mercanti venditori di tempo, i racconti di Daniele Del Giudice sono la massima espressione del potere che la letteratura ha di farci viaggiare nel tempo e nello spazio, cercando sempre e continuamente di interrogare se stessi e la realtà circostante, inseguendo l’assoluto come gli aerei tanto cari all’autore che sempre inseguono il cielo.

Che cosa resta di Daniele Del Giudice?

Con Daniele Del Giudice se ne va uno scrittore di ampio respiro europeo, sicuramente meritevole del Premio Nobel. Uno scrittore lontano dai riflettori, soprattutto a causa della sua malattia, ma che rappresenta un modo di fare letteratura che sta per scomparire: una letteratura calviniana, leggera e curiosa, capace di inseguire la nostra sete di conoscenza e di assoluto, poiché l’importante non è ciò che si ottiene, il profitto, ma il viaggio che la complessità del reale ci regala ogni volta che cerchiamo di penetrarlo.

Questo sabato, in occasione del Premio Campiello, Del Giudice avrebbe ricevuto il Premio Fondazione Il Campiello alla carriera. Sicuramente, per via dell’Alzheimer, non si sarebbe reso conto di questo riconoscimento, ma noi lettori ci rendiamo conto di trovarci di fronte a uno scrittore senza pari, l’ultimo della sua specie. A noi non resta soltanto che leggere ciò che ha lasciato e continuare con lui a addentrarci nel mistero della nostra esistenza, salutandolo con queste righe tratte da Nel museo di Reims:

È come con le nuvole, quando potevo ancora vederle, bastava un minimo appiglio per dare loro una forma: una grande nave nel cielo, un grande spazzolino da denti, un animale grande accucciato. Devo difendermi da quell’immaginazione che collega le stelle tra di loro, come i punti di una vignetta enigmistica, e fa dire «l’Orsa!» o «il Carro!», mentre tutto nella realtà è staccato, disunito, non messo lì per assomigliare a qualche cosa.

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Immagine in evidenza: Daniele Del Giudice. Di Manuelarosi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=113725024

Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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