Tra le pagine di Follie di Brooklyn, Paul Auster ha scritto che:
Quando una persona è abbastanza fortunata da vivere all’interno di una storia, da vivere in un mondo immaginario, i dolori di questo mondo svaniscono. Perché fino a quando la storia continua, la realtà non esiste più.
Quella realtà, su di lui, si è abbattuta duramente. Dopo mesi di malattia, a lungo taciuta, l’autore newyorkese si è spento a 77 anni nella sua casa di Brooklyn. Le parole, però, non lo hanno mai abbandonato, accompagnandolo anche nel letto di ospedale in cui ha scritto il suo ultimo libro Baumgartner: un testamento letterario sul fluire dell’esistenza e il potere del ricordo. D’altronde, per lui la scrittura è stata fin dall’inizio uno «sforzo totale», a cui è sempre stato necessario affidare «tutto ciò che si ha.»
Chi era Paul Auster?
Scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico statunitense, Auster era nato a Newark il 3 febbraio del 1947. Maestro del postmodernismo americano insieme a Thomas Pynchon e Don DeLillo, ha catturato nella sua prosa essenziale e incisiva l’essenza misteriosa della condizione umana. Spesso ha raccontato del suo primo contatto con la scrittura: all’età di otto anni, durante una partita dei New York Giants, il suo eroe del baseball Willie Mays gli rifiutò un autografo per la mancanza di una matita. Da quel giorno, Auster non uscì più di casa senza e non si stancò mai di appuntare storie nei suoi taccuini.
Autore, tra gli altri, de La trilogia di New York, Sunset Park, 4 3 2 1, L’invenzione della solitudine, Leviatano, Il libro delle illusioni, ha dato vita ad un universo frammentato e dominato dalla «musica del caso», in cui ogni «slittamento dell’esistenza» frutto dall’imprevisto è continuamente plasmato dalle forze della coincidenza. I personaggi che popolano le sue pagine sono figure solitarie, intrappolate in un costante gioco di maschere, a cui non resta che provare a «decifrare il proprio caos» e dare forma ad un’identità indefinibile. Quasi come degli investigatori, si ritrovano a sciogliere enormi enigmi esistenziali, persi nei labirinti metropolitani della «città di vetro». Anche il percorso artistico di Auster è stato caratterizzato da una continua ricerca di nuove sfide, dimostrando una versatilità e una curiosità intellettuale senza pari: dalla prolifica produzione in prosa alle sperimentazioni con la poesia, dalle sceneggiature cinematografiche per Smoke e Blue in the face alla direzione di Lulu on the bridge e The Inner Life of Martin Frost.
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«Alcune storie continuano senza il loro autore»
Le sue opere, giochi di specchi tra realtà e finzione, hanno sempre rappresentato un luogo sicuro, in cui qualsiasi estraneo è riuscito a trovare rifugio in uno spazio d’intimità assoluta. Tra le righe, non sorprende l’utilizzo della seconda persona singolare: quel tu gli ha permesso ogni volta di far sentire il lettore parte di ogni storia, di ogni esperienza, di ogni parola.
La verità è che un libro è un posto unico al mondo, è un luogo senza spazio, l’unico luogo in cui due estranei – lo scrittore e il lettore – possono incontrarsi intimissimamente e condividere i pensieri e le emozioni più profonde.
In Taccuino rosso, Auster sosteneva che «i libri non sono mai finiti, che è possibile per alcune storie continuare a scriversi senza il loro autore.» Non c’è dubbio che le sue continueranno a farlo.
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