«Affari di libri», viaggio nella scrittura in 10 interviste

Mariagloria Fontana intervista 10 autori italiani contemporanei

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Affari di libri

È uscito lo scorso aprile, per i tipi di Giulio Perrone Editore, Affari di libri (acquista), scritto da Mariagloria Fontana. Il titolo e i contenuti richiamano il programma che l’autrice conduce su Radio Radio, dedicato a interviste a personaggi del panorama editoriale. Anche il libro contiene delle interviste, per l’esattezza dieci, a cinque scrittrici e cinque scrittori italiani contemporanei: Teresa Ciabatti, Roberto Cotroneo, Viola Di Grado, Chiara Gamberale, Lisa Ginzburg, Marco Missiroli, Andrea Pomella, Luca Ricci, Nadia Terranova ed Emanuele Trevi.

«Affari di libri»: alla ricerca di un metodo di scrittura

Affari di libri è un viaggio nel significato dell’atto della scrittura per ognuno degli scrittori elencati sopra, diversi per background, temperamento, idee, manie. L’autrice cerca in particolare di capire qual è il metodo che applicano al momento di mettersi davanti alla tastiera e scrivere un libro. Ma nel corso della lettura ci si rende conto che è impossibile trovare delle regole univoche quando si parla di scrittura e che, dunque, non esiste nessuna ricetta infallibile che consenta di scrivere un buon romanzo. C’è chi, come Roberto Cotroneo, è molto metodico e ha le idee chiarissime sulla quantità precisa di pagine cui un bravo scrittore può lavorare in una giornata:

Quando scrivo romanzi [scrivo] non più di tre pagine al giorno, vale a dire cinque, seimila battute. Non si può di più. Chiunque dica di aver scritto venti pagine di un libro in una mattina, bisognerebbe prendergli il libro e cestinarlo.

Emanuele Trevivincitore del Premio Strega 2021 – non si è dato un numero fisso di pagine, ma scrive sempre due ore al giorno: dalle dieci a mezzogiorno. Ha invece un’idea diametralmente opposta Viola Di Grado, secondo cui è impossibile ingabbiare la scrittura in schemi o routine:

Devo continuare a sentire la scrittura per quello che è: una cosa completamente autarchica e autonoma. È la scrittura stessa che mi porta a scegliere gli orari, non vuole che io scelga qualcosa. Deve rimanere libera, perché è comunque soggetta a un’ispirazione.

Se il mondo esterno influenza la scrittura

Una domanda che Mariagloria Fontana pone a ogni scrittore riguarda le influenze letterarie: che ruolo ricoprono nella stesura di una nuova opera? È giusto leggere altri libri mentre si lavora al proprio o si rischia di perdere la propria voce? Questo è, per esempio, il timore di Marco Missiroli. Ammette infatti che mentre si scrive si tiene alla larga da ogni lettura che possa avere un influsso negativo sul manoscritto:

Mentre scrivo, leggo il meno possibile, tranne i testi che mi servono per lavoro (recensioni, interviste) e i testi che mi servono per il libro stesso che sto scrivendo. Temo sempre che qualsiasi cosa legga possa influenzarmi, lo stile soprattutto.

Questo timore non è invece condiviso da Viola Di Grado, che sentenzia: «Non credo nella castità del sottrarsi all’arte altrui, perché vivere è cedere sempre alla contaminazione». Allo stesso modo, una domanda che molti di noi si fanno – e che Mariagloria Fontana ha avuto la possibilità di fare agli autori che ha intervistato – è: per scrivere bene è meglio isolarsi dagli altri oppure lavorare in un contesto potenzialmente pieno di distrazioni, da cui però si possono ricavare nuovi spunti? Chiara Gamberale è sempre stata molto radicale in questo, al punto che prima della nascita della figlia era solita lasciare il caos di Roma al momento di scrivere un nuovo libro e dedicarsi alla sua stesura su un’isola con il minor numero possibile di abitanti. Marco Missiroli, invece, trova che ciascun libro abbia bisogno di essere scritto nel luogo più consono alla storia:

Ogni libro ha un luogo diverso in cui viene scritto, per esempio «Fedeltà» è stato scritto in un bar a Milano, «Atti osceni» è stato scritto in un ufficio dimenticato della mia vecchia redazione e un po’ a casa. Ogni tipologia di storia secondo me sceglie il proprio luogo perché ha bisogno di quell’atmosfera differente.

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Le influenze del mondo esterno riguardano anche l’inclinazione di uno scrittore a una vita sociale più o meno attiva. C’è chi, come Teresa Ciabatti, rivela di non apprezzare viaggi e mondanità: la dimensione che più le si confà è quella della scrittrice solitaria, chiusa in casa a lavorare ai suoi romanzi. Di tutt’altro avviso è Emanuele Trevi, che spiega di non comprendere chi si isola per scrivere e di amare molto uscire ogni sera. Lo scrittore non può sottrarsi alla sua esperienza e al mondo nemmeno secondo Andrea Pomella, che asserisce: «Il vissuto entra sempre nella scrittura, poi ognuno lo rielabora. Ma la scrittura si alimenta della vita. Di che altro, sennò?».

Perché si scrive?

In ogni caso, la domanda che viene puntualmente posta a ogni scrittore – e che ognuno, sotto sotto, teme – è: perché si scrive? Una domanda inflazionata, ma per la quale non è mai semplice trovare una buona risposta. Dà una sua interpretazione Lisa Ginzburg, che vede nella necessità la vera spinta alla scrittura: «Se davvero quel che si ha da raccontare è indispensabile per sé, se si ha davvero qualcosa da dire e preme forgiarlo con il maggior grado possibile di verità per se stessi per primi, allora ne vale la pena». Luca Ricci rigetta l’idea che la scrittura debba intrattenere i lettori: per lui la sua prima – forse oggigiorno trascurata – funzione deve essere quella della consolazione.

Andrea Pomella sposta il fulcro della domanda: da perché a per chi si scrive. E mette in guardia contro la pericolosa tendenza all’autoreferenzialità, figlia del crescente ricorso all’autofiction:

Sento spesso dire: io scrivo per me stesso. Ma che significa? Non ha senso. La scrittura è stata inventata per comunicare da uomo a uomo. Scrivere risponde al bisogno di comunicare qualcosa a qualcuno. Se poi si scrive con l’intento di cambiare il mondo – cosa di cui sono profondamente convinto – allora si è scrittori. Per cambiare il mondo intendo anche solo spostare una virgola del mondo. Quando i miei lettori mi dicono che l’avermi letto ha cambiato la prospettiva che avevano di un determinato argomento, per me significa aver contribuito a cambiare il mondo.

Ben venga quindi la necessità bruciante di scrivere, ma solo se si ha un vero pubblico e non ci si rivolge al proprio riflesso allo specchio.

Si può imparare a scrivere?

Affari di libri può senz’altro intrigare chi ha nel cassetto il sogno di scrivere un romanzo e cerca consigli nelle parole di alcuni tra i principali autori del panorama letterario italiano contemporaneo. Eppure, così come dalla lettura si capisce che non c’è un metodo universalmente valido per scrivere un buon romanzo, resta anche il dubbio che la scrittura non possa essere né insegnata né imparata. Roberto Cotroneo afferma che non si può certo insegnare uno stile, ma si può insegnare a non commettere errori, primo tra tutti quello di sopravvalutare i propri testi: «Se riesci a insegnare a guardare il testo in maniera critica, come se non l’avessi scritto tu, hai fatto già molto».

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Anche Nadia Terranova ammette che il talento non può essere insegnato, ma sottolinea che in ogni caso è necessario esercitarlo, per evitare che sfiorisca:

Credo che ci si debba e ci si possa esercitare nella scrittura. Invece, il talento non si può insegnare. Però una persona che ha un talento grezzo, cioè la maggior parte, su di lei può lavorare. Io stessa ho lavorato su di me in questo senso e per molto tempo. Non c’è talento senza esercizio.

Chi sogna di cimentarsi nella scrittura può ricavare dalla lettura di Affari di libri (acquista) uno sprone a trovare il metodo e i rituali più congeniali per sé, a ricercare la propria voce e affinare incessantemente il proprio stile. Solo così, forse, ogni pagina potrà diventare migliore della precedente.

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Nel 2020 è stato pubblicato il suo romanzo d’esordio, «Noi quattro nel mondo».

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