Fiabe e classici fanno parte del medesimo, imprescindibile, patrimonio collettivo che nutre l’immaginario di tutti gli adulti e i bambini appartenenti ad una stessa cultura. Il fiorire di adattamenti cinematografici, digitali e di riedizioni cartacee entro cui si riplasmano vecchi mondi e universi conosciuti, in favore di una maggiore aderenza alle esigenze del nuovo pubblico d’arrivo, si fa oggi testimone di una tendenza particolare.
Il panorama culturale contemporaneo induce infatti a pensare che sia in atto un processo di ridefinizione dei territori della narrazione, attraverso un rimescolamento di generi e media sempre più ingente. Storie e personaggi, che in origine erano appannaggio di un’unica dimensione narrativa, ora sono approfonditi a tutto tondo e topoi legati al fiabesco vengono esplorati nelle più svariate sperimentazioni. Così fanno gli apolidi protagonisti, forti del patrimonio memico che li accompagna e agili nel sottoporsi a continui mutamenti per potersi adattare alla nuova realtà che li circonda.
Le mille fogge di «Alice nel paese delle meraviglie»
Una sorte simile spetta ad Alice, che a partire da quel volumetto scaturito da una famosa gita in barca – e redatto solo qualche anno più tardi da Lewis Carroll (1865) – non fa che imbattersi continuamente in sé stessa, seppur «travestita in mille fogge». Che sia la bambina bene educata e dalle lunghe ciglia proposta da Walt Disney (1951), l’eroina burtoniana allucinata e combattiva (2010) o un meno sospettabile Neo, costretto a scegliere tra una pillola blu e una pillola rossa prima di tuffarsi nella tana del Bianconiglio (1999), la piccola Alice Liddell continua ad esercitare su tutti noi un fascino sorprendente.
Quali sono dunque le caratteristiche che hanno contribuito a consacrarla nell’olimpo dei «personaggi mondo»? Quali gli aspetti in grado di aiutarla a sopravvivere attraverso tempi e logiche?
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In primo luogo, il merito è da ricercare nella peculiarità dominante e fondamentale di Alice nel paese delle meraviglie, una nota personale capace di caratterizzare la protagonista più di ogni altra. Per descriverla, si può prendere in prestito uno specifico termine dall’eroe picaresco per antonomasia: polýtropon. Infatti, così come Odisseo nel suo peregrinare, anche Alice si scopre «multiforme». Per aspetto e ingegno, per i molti giri, per il ventaglio di sfaccettature che compone l’universo singolare entro cui Carroll ne delinea le avventure, la bambina riesce a racchiudere in nuce l’emblema della trasversalità.
«Alice nel paese delle meraviglie» e le molte-forme
Improvvisamente inadeguata tanto nella sua forma fisica quanto nella sua impostazione mentale, Alice è costretta a sottoporsi a continui mutamenti per potersi adattare al nuovo panorama che la circonda. Nel corso dell’avventura che la coinvolge, diventa sempre più grande, poi via via più piccola, quindi subisce una serie di modifiche corporee che alcune letture assimilano ai cambiamenti fisici che attraversa un bambino sulla soglia dell’adolescenza.
Diviene così ospite, e non più legittima proprietaria, di un corpo che si allunga e deforma, sfuggendo alla solita percezione di sé della bambina che era quando ancora oziava annoiata su un bel prato inglese. A scalzare l’indolenza iniziale è la necessità di rincorrere le «giuste dimensioni», al fine di raggiungere l’obiettivo desiderato: che sia esso un bellissimo giardino o il ritrovamento della propria identità.
La prospettiva rifratta
Quello di Alice nel paese delle meraviglie (acquista) è un mondo bizzarro, che snoda vie e sentieri tanto anarcoidi quanto lontani dalla strada maestra del ferreo dogmatismo tipico dell’età vittoriana. Si tratta di un «altrove» che porta lontano dal «qui» della concreta esistenza. Sebbene esso presenti un’antinomia non nuova al panorama della narrativa, rivela, però, una particolare modalità attraverso cui lo sguardo della protagonista si rifrange e moltiplica dal momento in cui muove i primi passi all’interno del nuovo contesto.
Il punto di vista di Alice muta insieme a quello del lettore, restituendo immagini di volta in volta diverse, più sfumate, sempre meno riconducibili ad alcunché di familiare. In questo senso, l’eroina viene posta in un ambiente che funge in ogni dove da «specchio deformante», in un gioco di rimandi in grado di alterare il regolare binomio causa-effetto, problema-soluzione.
Il multi–mondo linguistico
Così Alice si ritrova a testare la natura multiforme che la colpisce tanto sul versante intellettivo e fisico, quanto sul piano della logica e del linguaggio, altro fulcro nodale del capolavoro di Carroll. In particolare, l’universo linguistico del nonsense è ricco di espressioni cifrate, indovinelli e formule bislacche, nonché capace di costruire messaggi inediti e difficili da sciogliere.
Lo stesso dialogare risulta spesso pericoloso per la bambina, tanto che ogni sua presa di parola finisce apparentemente per confonderla, tradendo le sue aspettative. Quanto più ragiona tanto più sbaglia: incespica tra una locuzione e la successiva, si lascia rallentare da svariati lapsus o non correla in modo opportuno le informazioni reperite. A «disertare» è poi lo stesso bagaglio culturale che la diligente bambina ha raccolto, qui sobbarcato dalla legge del «motto di spirito» e dai bisticci linguistici che investono ogni situazione comunicativa.
Come sopravvivere?
L’abilità di riplasmare le proprie coordinate in favore delle vicissitudini in cui costantemente si trova invischiata costituisce il nucleo centrale della modalità espressiva con cui la protagonista interagisce con il mondo. Alice si perde, si rende plastica e poi ritrova sé stessa, scoprendosi capace di padroneggiare ogni nuova sfaccettatura senza tradirsi mai. Sapersi adattare a logiche e circostanze differenti secondo quanto richiesto dalla necessità del momento è la peculiarità dominante dell’eroina: una risorsa che le consente non solo di sopravvivere all’interno del romanzo che ne ha delineato la prima foggia, ma anche attraverso secoli, autori e uditori sempre nuovi.
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