Già nella cinquina del Premio Strega Poesia e vincitrice del Premio Umberto Saba, L’amore da vecchia è l’ultima raccolta di Vivian Lamarque – fra le poetesse contemporanee più apprezzate.
Una silloge senz’altro varia e ricca di componimenti che di certo non teme d’annoiare il lettore. Con la sua consueta ironia, Lamarque gioca con la parola e ogni lettera diventa un soldatino di stagno pronto a obbedire – non senza qualche perplessità – agli ordini del suo generale. Un esercito fidato a cui la poetessa sussurra con tono in fondo materno: «non lasciarmi mai, Alfabeto».
L’allegria della scenografia
Più che in altre raccolte precedenti, Lamarque ragione sulla vecchiaia e sulla morte. Tematiche apparentemente lontane dalla sua produzione, ma in questa circostanza impellenti e urgenti. Giunta alla soglia degli ottant’anni la poetessa si confronta con l’anzianità, ma non ne emerge un quadro desolante e tanto meno pessimista.
La vecchiaia viene vissuta come una seconda infanzia e la poetessa – con l’allegria che le è propria – imbastisce una scenografia ricca di sincera speranza e meraviglia. Ricchezza di dettagli e suggestioni, senza che essi sfocino nei fronzoli e nel barocco:
Perché non sono un baobab e questa è l’infanzia?
Numero d’anni avere davanti quante le stelle sulle teste degli alberi. E giorni ancora di più.
[…]
Ma a vecchiaia il lieto fine manca? Non è detto!
E se ci fosse davvero il paradiso?
Come ci meraviglieremmo.
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La meraviglia della figlia
La rima conquista il verso senza che la poesia diventi stucchevole o scontata. Lamarque si abbandona alla meditazione e stupefatta ammira come un’eterna bambina il miracolo della vita. Riconoscendo se stessa come figlia della natura, ne ascolta ogni minimo sussulto e lo traduce in parole.
In una Milano metropolitana, riesce comunque – o forse ancora di più? – ad apprezzare e cogliere i dettagli di piante, animali, scorgendo in loro l’avanzare delle stagioni:
Guarda:
gli animali addormentati
sono diventati erba
erba di prato.
Si è accorto il sole
che non ci sono più?
E tu luna sai contare?
Lo vedi che
non torna più questa notte
il loro totale?
Un coro di foto
L’amore da vecchia è un grande album fotografico e da ogni scatto emerge un prezioso suggerimento per comprendere la vita degli altri e la nostra. Perché la raccolta diventa anche un omaggio alle relazioni umane perché – citando Evgenij Evtušenko – : «non sono uomini che muoiono, ma mondi». E Lamarque riesce a piene mani a coglierne il senso:
Se dietro le fotografie non scriviamo nomi
e cognomi, già nel giro di due
generazioni sarà tutto un coro
un infinito coro di chini sulle foto
a dire e questo? e questa? e questo
bambino? fratello? cugino? ma di chi?
[…]
E questo? e questa? forse uno zio
lontano? una lontana zia?
Ma quale zia e zia!
Ero io io io!
Sono io la mia fotografia!
Dunque, la poesia come antidoto contro la morte, capace di perpetrare la sua parola oltre il corpo reduce dagli anni. Una cura da condividere che trova il suo principio attivo nella memoria, nel ricordo degli altri. L’amore da vecchia trabocca di tenerezza e con l’innata complicità di una voce semplice e sincera si districa fra gli impervi territori del tempo e della caducità.
La parola sempre nuova
Lamarque affonda la propria conoscenza nella tradizione della fiaba e della favola, donando anima ad oggetti inanimati, compiendo il possibile nell’impossibile. Ora le parole da soldati più o meno disciplinati diventano foglie pronte a incoronare alberi e a imperlare il cielo – perché d’altronde tra le foglie e i fogli per la scrittura manca solo una lettera:
Dipenderà dalla poesia e dalla rosa
– una tra i fogli l’altra tra le foglie –
se di qualche millimetro col tempo
cresceranno, o se resteranno lì inerti
sul foglio e nel caso, senza una nuova
parola, senza una foglia nuova.
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La cicatrice felice
In occasione dell’incontro al Salone del Libro di Torino, Vivian Lamarque ha ricordato una frase di Pascoli a lei molto cara. Il poeta, ormai giunto alla vecchiaia, ricorda come sia ancora pieno di idee, iniziative, ricolmo come – parafrasandolo – una zucca piena di semi. Perciò con la vecchiaia non si perde di certo l’ispirazione, anzi.
Come la stessa Lamarque ammette, L’amore da vecchia (acquista) doveva essere una raccolta ancora più voluminosa ma in conclusione si è optato per un corpus più contenuto ed omogeneo. Questo per dire che la poetessa continua a scrivere, imperterrita. E che quindi le sue lettere come foglie possano depositarsi – e persistere – per tutta la città senza mai avvizzire, così da sconfiggere il dolore e la mancanza:
Che anche lei
la cicatrice
persino lei
la cicatrice
possa
un giorno
diventare
quasi
felice?
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Ha scritto le stesse cose che ho pensato leggendo questa raccolta di Lamarque.
Si, condivido. La leggerezza del suo linguaggio, giocoso e ironico, è quella di una bambina che ha raggiunto la saggezza di meravigliarsi sempre di fronte ai misteri della vita.
Leggerla è stato un piacevole viaggio.