Cos’è diventato il consenso dopo #MeToo?

«Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa» di Michela Marzano

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«Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa» di Michela Marzano

Lo scorso 12 settembre la scrittrice e filosofa Michela Marzano è tornata in libreria con un nuovo romanzo, Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa, edito da Rizzoli. Si tratta della sua quarta opera di narrativa, dopo L’amore che mi resta (Einaudi, 2017), Idda (Einaudi, 2019) e Stirpe e vergogna (Rizzoli, 2021), con cui l’autrice tocca temi molto attuali: il consenso e la cultura dello stupro.

«Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa»: la trama

La protagonista di Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa è Anna, una giornalista e docente universitaria che, con la nascita del movimento #MeToo, ripercorre diversi momenti della sua vita e si chiede se si è trattato solo di episodi sgradevoli o di vere e proprie violenze. C’è stato Pierfrancesco, con cui a quattordici anni ha avuto una prima esperienza sessuale nel segno della prevaricazione: «Poi, però, non si era mica fermato quando gli avevo detto che spingeva troppo con il dito, e quando sono andata in bagno, sulla carta igienica, c’era una striscia di sangue. E dopo non mi ha nemmeno più rivolto la parola».

O c’è stato Daniele, un compagno di università che l’ha obbligata a un rapporto indesiderato approfittando del fatto che lei aveva bevuto un po’ e si sentiva in colpa a rifiutarsi: «Non avevo granché voglia, anzi, non ce l’avevo affatto, Daniele non mi piaceva, […] ma come facevo a dirglielo? Era stato così gentile, prima la stanza alla Cité, poi i consigli, poi pure la cena, come facevo?». Ogni volta Anna ha fondamentalmente dato la colpa a sé stessa per non essere riuscita a imporsi, chiedendosi: ma come fanno, le altre, a farsi sempre rispettare? Con la nascita del movimento #MeToo, però, inizia a guardare la sua storia da una prospettiva diversa.

Lo “stupro giusto”

Pur avendo ceduto in più occasioni a rapporti che non voleva, Anna non si è mai sentita davvero una vittima di stupro anche per timore di mancare di rispetto alle vittime “vere”:

E mi stupisco di aver detto “vittima”, perché vittima? Detesto sentirmi vittima, detesto togliere quel ruolo a chi, vittima, lo è davvero, una vittima c’ha addosso i segni, tagli, lividi, ossa rotte, sangue, io semmai sono stata un’aguzzina, l’aguzzina di me stessa.

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Nel corso delle sue lezioni su sessualità e consenso, Anna si rende conto che ancora oggi è molto radicata l’idea che esista uno “stupro giusto”, sostanzialmente quello in cui la vittima viene aggredita da uno sconosciuto in un vicolo buio. Quello per cui nessuno si sognerà mai di chiederle come era vestita o di insinuare che in qualche modo se la sia cercata. Eppure, dati alla mano, le violenze sessuali in cui vittima e aggressore si conoscono – e spesso hanno perfino un legame stretto – sono le più diffuse. In questo caso, però, capiterà di frequente che si stenti a credere che si sia davvero di fronte a uno stupro. Non sarà un’esagerazione? E se semplicemente lei non si è opposta in maniera abbastanza netta? È l’obiezione che solleva uno studente di Anna, Thomas, tra i più perplessi di fronte ai discorsi sul consenso:

Intendiamoci, nulla giustifica lo stupro, né l’alcol, né la droga, nemmeno se una si veste in maniera provocante; e se quando fanno l’amore lei gli dice di fermarsi, lui lo deve fare, non c’è verso; ma se lei non glielo dice, se lei non dice no, oppure basta, oppure fermati, lui come fa a capire che si deve fermare? Poi magari il tizio è un coglione, ma senza messaggi chiari, sfido chiunque a capire.

L’idea dello “stupro giusto” non mina solo la credibilità della vittima – che sempre vittima è, anche senza lividi o ossa rotte – davanti agli altri, ma anche davanti a sé stessa. Con che coraggio paragonare la sua situazione, in cui ha solo ceduto a qualcosa che non desiderava, a quella di una donna che finisce al pronto soccorso? Non sarà una mancanza di rispetto per le “vittime vere”? Di più: se non si esprime il proprio dissenso in maniera abbastanza chiara, non si ha almeno parte della responsabilità di quanto accade? Eppure, come capiscono insieme Anna e i suoi studenti, spesso i rapporti di forza tra i sessi sono così sbilanciati che per una donna è più semplice cedere che dire di no. Cedere, però, non è sinonimo di acconsentire.

Un libro di forte attualità

Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa è un’opera di scottante attualità, che tratta un tema – la violenza di genere – che troppo spesso occupa le nostre cronache nere, e al quale siamo ormai quasi assuefatti. In Italia dall’inizio del 2023 si sono contate oltre ottanta vittime di femminicidio, e con tutta probabilità questo numero non resterà immutato da qui alla fine dell’anno. Lo ha constatato con amarezza anche la stessa Marzano in un commento uscito sulla Stampa lo scorso 30 settembre, a poche settimane dalla pubblicazione del romanzo:

Persino io ho perso il conto di tutte le parole che ho disseminato sui giornali o sui social o in televisione, persino nel mio ultimo libro, per cercare di dare voce alle vittime, spiegare cosa c’è dietro tanta violenza, decostruire la cultura degli stupri, fare a pezzi gli stereotipi di genere, riscrivere la grammatica delle relazioni affettive. Mi sento impotente. Sono impotente. A che serve versare litri di inchiostro quando nulla cambia, e ogni settanta ore una donna muore ammazzata?

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Non è senz’altro un problema che si risolverà dall’oggi al domani, e serve affiancare ad azioni a breve termine, che curino il sintomo, altre a lungo termine, che curino le cause. Occorre smontare la cultura dello stupro che impregna la nostra società e capire che prevaricazioni e violenze – anche quelle all’apparenza minime – di cui le donne sono vittime ogni giorno creano il retroterra culturale da cui nascono poi stupri e femminicidi. Ed è su questo retroterra che bisogna agire. Nel libro si parla giustamente di continuum:

A proposito, conoscete la teoria del continuum?
È l’idea che c’è una continuità nella violenza che spazia dai commenti sessisti, tipo catcalling, fischi e cose del genere, ai palpeggiamenti in metro o per la strada, fino alle molestie fisiche e allo stupro, è come una linea continua dove ciò che cambia è il grado di violenza esercitata, ma è sempre e comunque una forma di violenza.

Un libro in cui ogni donna si riconoscerà

Dopo la lettura di Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa resta una sola certezza: ogni donna si ritroverà almeno in una frase o una situazione presente nel libro. Anche chi non è stata vittima di gravi violenze ripenserà ad almeno un momento in cui un uomo non ha rispettato un paletto che lei aveva posto o ha sottovalutato un suo malessere. La protagonista prova a mettersi nei panni degli uomini che nel corso degli anni l’hanno fatta soffrire, chiedendosi come si sarebbe comportata lei a parti invertite:

Cosa avrei fatto io se l’altra persona mi avesse detto: no, oppure aspetta, oppure non ora?
Immagino la scena. E subito penso: scusa.
Avrei chiesto scusa per non essere stata capace di capire che stavo andando oltre, troppo veloce, troppo lontano. Avrei chiesto scusa per aver anche solo osato immaginare di aver capito, mentre non stavo capendo nulla. Avrei chiesto scusa, vergognandomi di ciò che stavo facendo. Scusa. Ti chiedo scusa.
Ma a me non è mai capitato nemmeno una volta che un ragazzo o un uomo mi chiedessero scusa.

Eppure, ci dice Marzano, non sempre gli uomini non si scusano perché sono cattive persone. Esistono anche casi in cui non si rendono effettivamente conto di non essersi sincerati del consenso di una donna, dandolo per scontato e basandosi sull’idea che lei non abbia detto di no in modo esplicito. Non a caso, in uno dei passaggi più belli e significativi del romanzo Thomas ripensa a un’occasione in cui era certo di non aver mancato di rispetto a una ragazza e d’un tratto si chiede se le cose stanno davvero così e, nel caso, come rimediare. Leggendo questo libro le donne si riconosceranno; per gli uomini potrebbe essere una bella occasione per empatizzare con un punto di vista diverso.

Generazioni che si passano il testimone

In Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa (acquista) ritroviamo l’immaginario che Michela Marzano ricrea nei suoi libri fin dai tempi di Idda. Pur non trattandosi di un’opera autobiografica in senso stretto, non mancano le analogie con il vissuto dell’autrice: come lei, Anna è una docente universitaria italiana emigrata a Parigi. Marzano racconta di avere un rapporto speciale con i suoi studenti, connotato da una tenerezza quasi materna. E ritroviamo questa tenerezza anche in Anna, che ai suoi ragazzi insegna ma da loro finisce anche per imparare molto. Scopre quanto è cambiata la percezione e la consapevolezza delle nuove generazioni intorno al consenso; spera che queste non ripetano gli stessi errori di quelle che le hanno precedute. E, soprattutto, è grazie a loro che alla fine impara, in qualche modo, a perdonare il suo passato.

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

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