L’ultima uscita – e finora unica, per quest’anno – nella prestigiosa (e bellissima) collana Incursioni di Italo Svevo Edizioni, è Animale di Giuseppe Nibali. Quando si prende in mano un libro di Italo Svevo c’è sempre quella meraviglia del sapere il duro lavoro di selezione degli autori italiani emergenti, mista all’adrenalina del dover separarne le pagine intonse.
Giuseppe Nibali, giovanissimo (classe 1991), nato a Catania, poeta prima di tutto, pubblica quindi con la casa editrice triestina il suo primo romanzo (acquista).
Una storia di ritorni
Di ritorni si parla spesso, ma non sempre lo si fa in un modo originale. Si tende sempre a voler esaltarne l’aspetto catartico e di redenzione che finisce sempre per intaccarne la storia, sino a renderla la stessa nenia, ripetuta semplicemente in modo diverso.
Quello che colpisce di questo romanzo è che comincia con un protagonista già in viaggio – il padre ha avuto un malore, uno di quelli dai quali si esce difficilmente. Non si tratta di autobiografia (l’autore lo specifica molto bene all’inizio, appena prima di cominciare la lettura), e dunque la scrittura non conserva quegli elementi drammaticamente personali, ma regala ampi spazi alla narrazione a alla creazione di storie.
Giuseppe torna da Bologna alla Sicilia, la sua terra natia, non perché vuole ma perché è costretto dalle condizioni del padre; e questo riavvicinarsi di spazi, accorciarsi di distanze, provoca in lui la scintilla che spesso capita a chi torna – un sentimento difficile da dire.
Quei tempi sono andati, quell’uomo in realtà è morto da tempo. Il Sergio che ha davanti confonde i nomi, le persone, i ricordi, e ora si fa muovere il braccio destro come se non fosse il suo, disegnando grandi cerchi in aria. […] è un complesso di carne cadente, suo padre.
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Storie nella storia
Le storie che Giuseppe ci racconta sono quelle dei video Youtube guardati tra una pausa e l’altra, ma sono anche quelle che raccontava il padre al figlio bambino. In un procedere disgregato, a tratti frammentario, si costruisce quindi una nitida visione d’insieme, forse la visione di spaesamento che permea le generazioni costrette fuori sede (un tema caldissimo nella narrativa contemporanea).
Quindi la storia portante potrebbe essere un pretesto, emotivamente carico e confezionato in uno stile vibrante e poetico, per raccontare in realtà altre storie – alcune docili e amaramente dolci, altre cruente e cariche di pathos. Partendo da quelle che, numerose, hanno costellato la sua infanzia fino a rendersi parte di lui, senza che nemmeno il protagonista ne abbia volontà e controllo. Che è poi un po’ la storia che riguarda tutti.
Da bambino sognava un’altra vita, non questa di cui nemmeno si è accorto, un’altra vita. […] In quello stesso mare, Sergio gli aveva insegnato a nuotare, in quei cento metri quadri di mondo lui aveva capito l’acqua e come domarla. Non aveva invece capito mai l’uomo che aveva accanto. Adesso sa bene quanto sia difficile nuotare.
Un uomo come tanti
E così Nibali ci conferma che la conoscenza profonda delle persone passa attraverso il tempo e i luoghi, i luoghi soprattutto. Che ne sarebbe di suo padre senza il mare? Perché è pur vero che «suo padre invece sapeva amare, parlare, discutere, conosceva le cose», ma di fronte poi alla morte siamo indiscutibilmente simili, per quanto diversamente ci siamo sforzati di voler vivere.
Così un viaggio da Bologna verso Giardini Naxos, verso un padre né visto né sentito negli ultimi anni, si trasforma in un viaggio di ricerca del sé che tutti prima o poi siamo obbligati a fare, attraverso i luoghi cari, il radicamento alla terra, gli affetti (anche quelli dimenticati).
Attraverso una scrittura con picchi alti e tortuosi, Nibali ci regala un piccolo compendio “del ritornare”: cosa significa, cosa ci aspetta, e cosa dobbiamo lasciare che sempre avvenga.
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