Se le anime sono morte

«Le anime morte » di Nikolaj Vasil'evič Gogol'

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«Le anime morte» di Nikolaj Gogol'

Le anime morte venne concepito da Nikolaj Vasil’evič Gogol’ come la prima parte – volutamente la più grottesca e dissacrante – di un grande poema sulla Russia. Gogol’ godeva già allora di grande ammirazione da parte del pubblico e degli altri colleghi suoi scrittori, e la stesura di questo poema avrebbe dunque costituito «l’uscita in grande stile», la chiusura degna, di una fortunata carriera letteraria. Nonostante le ottime premesse, però, il poema fantasticato da Gogol’ non vide mai la luce, poiché in ben due occasioni l’autore distrusse – appiccandogli fuoco – tutto quanto scritto dopo Le anime morte. Di questo sogno letterario non ci rimane dunque che un lungo, irriverente e demistificante brandello, in cui la satira la fa da protagonista e il freddo non cessa mai.

Gogol’ e Verga a confronto

In linea con l’idea originale di Gogol’, il poema avrebbe dovuto rappresentare un cammino allegorico attraverso gli strati sociali e culturali della Russia, un’opera forte, mordace, ispiratrice di sentimenti di denuncia e di riscatto. Al truffaldino protagonista Čičikov, parimenti con lo sviluppo dell’opera secondo una progressione ascendente, si sarebbero dunque dovuti contrapporre personaggi a mano a mano più probi ed esemplari. Il profilo di questo irrealizzato poema ricorda l’intenzione di Giovanni Verga di comporre il cosiddetto «ciclo dei Vinti» – anch’esso rimasto incompiuto – che, partendo dalla cruda disgrazia dei Malavoglia e proseguendo con le scarpe scomode di Mastro don Gesualdo, si sarebbe dovuto faticosamente arrampicare sui gradini della società, concludendosi con L’uomo di lusso.

Tuttavia, se da una parte Verga impiegava l’idea dell’ascesa per dimostrare che «la fiumana del progresso» travolge tutti, che la lotta per l’esistenza è un’esperienza invariata, ugualmente distribuita tra le classi sociali, Gogol’ fantasticava un percorso esemplare, quasi un cammino di redenzione, per i suoi personaggi e, per estensione, per il popolo russo.

Il cappotto di Gogol’

Čičikov è sì il protagonista immorale e grottesco de Le anime morte, ma anche il pioniere, il primo esploratore di un nuovo movimento all’interno della letteratura russa, che fa della critica, dello smascheramento, il cardine fondamentale del racconto. È l’antieroe russo, il cui testamento (im)morale avanzerà con i personaggi di Dostoevskij e Tolstoj, dando origine a una stagione letteraria magnifica e travolgente. Questo è probabilmente ciò che intendeva dire Dostoevskij quando, commentando la letteratura a lui contemporanea, affermò che «siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol’». Attraverso questo gioco di parole («Il cappotto» è infatti il titolo di un celeberrimo racconto dello stesso Gogol’), Dostoevskij ribadì l’eredità spirituale del grande Nikolaj, il cui spirito artistico riecheggiò nelle penne dei grandi autori russi che lo seguirono.

Commerciando anime

Si racconta che a suggerire a Gogol’ l’idea de Le anime morte fu Puškin, che a sua volta trasse ispirazione da un fatto di cronaca. La storia di Čičikov è, difatti, quel tipo di vicenda che attira l’attenzione dei giornali, ma anche l’interesse di loschi soggetti, che leggendone le particolarità sulla carta penseranno: «perché non ci sono arrivato prima io!».  L’occupazione del nostro protagonista è, infatti, piuttosto semplice quanto disarmante per la sua diavoleria. Čičikov acquista e impegna anime morte, cioè contadini defunti ma non decurtati dall’ultimo censimento, per i quali i proprietari pagano ancora le tasse. Con l’idea, che egli definisce essere «la più luminosa idea mai nata in mente umana», di crearsi una schiera di servitori eterei, da ipotecare a fini di guadagno.

Gli spunti riflessivi forniti da questa vicenda sono molteplici; in primis il grottesco accostamento tra l’idea di anima, di spiritualità, di rispetto nei confronti dei defunti, e la bieca fame d’arricchimento dello squallido protagonista. In secondo luogo, la bruttezza e la disarmonia dei proprietari dai quali Čičikov compera le anime che, per quanto singolarmente caratterizzati, condividono tutti una tendenza all’accidia e all’istupidimento. Perché, se è vero che Čičikov commercia in contadini defunti, è anche vero che i padroni di tali “anime” (al tempo, termine utilizzato per indicare i servi della gleba), sono morti d’una morte peggiore: quella dello spirito.

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Il senso del viaggio di Čičikov, combattuto tra freddo, una carrozza poco accogliente, e i battibecchi quotidiani con il servo Petruška, arriva diretto al lettore: è Gogol’ che ci tende la mano e ci invita a percorrere un viaggio nella sua Russia, che egli vede come terra di disillusioni, impoverita, che si sta lentamente occidentalizzando. Čičikov non è che un tassello entro questo quadro di desolazione, e l’autore rende meravigliosamente l’idea nelle prime righe del romanzo, quando presenta il protagonista in questi termini:

Nella carrozza sedeva un signore, che non era proprio un bell’uomo, ma non era neppure di brutto aspetto, né troppo grosso né troppo esile; non si poteva dire che fosse anziano, ma neppure, d’altronde, che fosse troppo giovane.

Egli è dunque solo un simbolo, una macchietta, che fa da Cicerone mostrando i meccanismi d’una Russia in crisi, con franchezza ed ironia. Perché la grandezza di Gogol’, l’elemento di straordinarietà delle sue Anime morte (acquista), sta nel presentare la rovina attraverso la satira e l’irriverenza. È ciò che Pirandello contrapponeva al comico: è il «sentimento del contrario», che nasce da una riflessione e ne scatena altrettante. È prendere coscienza con passione, senza abiurare la volontà di denuncia, come solo chi ha davvero a cuore una questione riesce a fare.

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Mavi Soda

Classe 2003, studia Psicologia e Linguistica a Londra. Da sempre coltiva un amore per tutto ciò che riguarda le parole, che ritiene la più grande invenzione della storia umana, per citare David Peterson. Da bambina leggeva camminando, finché non ha sbattuto la testa contro un palo e ha capito che fosse un’attività da fare seduti. Ama scrivere e inventare storie, leggere e rileggere; fa le orecchie alle pagine più spesso di quanto le piaccia ammettere.

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