Nella sua celebre Ode su un’urna greca, John Keats conclude con questi due versi: «“bellezza è verità, verità bellezza”, questo solo/sulla terra sapete, ed è quanto basta». L’unica verità che esiste è la bellezza dell’arte, della finzione, la costruzione di illusioni che fanno male, ma necessarie per mantenere i legami interpersonali.
Keats è nume tutelare della canadese Anne Carson nel suo testo-pastiche La bellezza del marito. Un saggio romanzato in 29 tanghi. Questo libro, di cui Nuovi Argomenti nel 2019 pubblicò alcuni estratti nel secondo volume della sesta serie, è uscito in versione integrale in libreria per La Tartaruga, casa editrice del gruppo della Nave di Teseo ora diretta da Claudia Durastanti.
«La bellezza del marito»: la trama
La bellezza del marito si apre con la seguente dedica: «dedico questo libro a Keats (sei stato tu a dirmi che Keats era un medico?) perché una dedica deve far difetto se si vuole che un libro resti libero e per la sua inclinazione ad arrendersi alla bellezza». Carson è nota per dialogare nelle sue opere con autori, testi e personaggi della classicità come Saffo ed Elena di Troia per affrontare temi legati all’amore e alla solitudine. Stavolta sceglie John Keats, poeta del Romanticismo inglese che ha votato la sua arte alla ricerca della bellezza.
Anche questo libro, dunque, è votato alla bellezza, ma nel senso di creazione di illusioni per mantenere in piedi un legame; quello del matrimonio, «Il posto malfermo, come lo chiamava mio marito», afferma l’io. La bellezza del marito narra di un io lirico – presumibilmente Anne Carson, ma potrebbe essere chiunque, se consideriamo che l’autrice ha sempre rifiutato la lettura autobiografica delle sue opere – alle prese con un marito che l’ha tradita. Un marito che l’io ha idealizzato fin dall’adolescenza nonostante la diffidenza di familiari e amici:
Come molte mogli elevai mio marito a divinità e lì lo congelai.
Cos’è la forza?
L’avversità di amici o familiari riesce solo a temprarla.
Tuttavia, per l’io il matrimonio e l’amore sono come un tango: un ballo che va portato avanti fino in fondo, senza esclusioni di colpi. Lei non può fare a meno del marito, e il marito non può vivere senza di lei. Nonostante un matrimonio ormai destinato a fallire, i due continuano a logorarsi nel profondo cercando di illudersi che la bellezza del loro amore sia ancora viva.
«La bellezza del marito»: pastiche a ritmo di tango
Catalogare La bellezza del marito non è impresa facile, come suggerisce il sottotitolo: Un saggio romanzato in 29 tanghi. È cosa nota che Anne Carson scriva testi che sfuggono a ogni tipo di categorizzazione. Essi possono essere saggi, romanzi, poesie, tutte e tre le cose o nessuna.
Non fa eccezione nemmeno questo libro, che adotta la forma del prosimetro per raccontare non solo un’esperienza personale, ma anche per argomentare con sguardo accademico temi universali. Questo è lo stesso modus operandi adottato, ad esempio, in Nox (inedito in italiano), dove l’autrice si confronta con il tema della morte a partire dalla traduzione del Carme 101 di Catullo e prendendo in esame la morte del fratello.
Questo pastiche rappresenta bene la fluidità dei rapporti umani, impossibili da incapsulare in forme esatte e rigide. Questo aspetto è stato ben spiegato da Antonella Anedda nella sua introduzione pubblicata sul secondo numero della seconda serie di «Nuovi Argomenti» nel 2019:
The beauty of the husband è una meditazione sul dissolvimento dei nostri legami e sulla nostra impotenza a trattenere chi amiamo, esattamente come è impossibile trattenere l’acqua tra le dita. Così i movimenti fluidi del tango si inceppano e si bloccano, le emozioni dei danzatori – come succede nella realtà – si fermano bruscamente proprio sulla sponda di una possibile ma in realtà impossibile fusione.
Se da un lato il “saggio romanzato” si confronta con il tema amoroso attraverso il rapporto fra l’io e suo marito e tirando in ballo testi di autori differenti – da Keats fino a Samuel Beckett e Kenzaburo Oē –, il tango emula la difficoltà da parte dei due di porre fine alla propria relazione pur andando incontro alla propria fine attraverso un ritmo incalzante e dei versi il cui contenuto trabocca senza fine.
Il linguaggio d’amore come menzogna
Il legame fra l’io narrante e suo marito è contrassegnato dalla menzogna. Nel mentire all’altro, spesso i due usano linguaggi e testi presi da altri. Se l’io (e indirettamente Anne Carson) si appropria dei testi degli altri, il marito fa suoi, invece, quelli della moglie:
Cos’è che connette davvero le parole e le cose?
Non molto, stabilì mio marito
e procedette a usare il linguaggio
nel modo che Omero attribuisce agli dei.
Tutte le parole umane sono note agli dei ma hanno per esse
significati completamente altri
accanto ai nostri.
Premono a piacimento l’interruttore.
I due parlano un linguaggio della menzogna attraverso cui proteggersi dal dolore e dalla fine. Il codice linguistico usato dai due, però, gli impedisce una comunicazione autentica, poiché li rende schiavi di una maschera – quella del matrimonio – da cui difficilmente riuscirebbero a uscire.
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Non è un caso che l’io dica «È banale. È come Beckett. Di’ qualcosa!». Samuel Beckett teorizzò la difficoltà di comunicare a causa della non totale corrispondenza fra parole e fatti, cosa che vivono i due; ogni loro parola non è altro che la dimostrazione di un ridursi in schiavitù all’altro. «Non aveva torto», afferma l’io, «quel triste antropologo a dirci che la funzione primaria del linguaggio è ridurre gli esseri umani in schiavitù. Gli usi estetici e intellettuali sono arrivati dopo».
«La bellezza del marito»: un’esistenza che non si fermerà
Qui, allora, ritorna il riferimento a John Keats: la bellezza è l’unica verità accettabile. Nonostante l’adulterio commesso da entrambi, i due sono costretti a mentire e a tenere in piedi il loro legame attraverso la bellezza, ovvero l’illusione di potersi amare di nuovo:
I poeti (siate generosi) preferiscono occultare la verità sotto
strati di ferro
perché è così che la vita appare: stratificata e sfuggente.
I due sono costretti a creare strati e strati di belle menzogne che paradossalmente diventano la verità. L’io pensa di tenere in pugno il marito attraverso le sue parole, ma in realtà dipende ancora da lui; il marito crede di essersi liberato dell’io, ma ancora la cerca, come dimostra il fatto di essersi appropriato di un suo testo che ha pubblicato su una rivista trimestrale, cosa che accadde a Carson nella vita reale dopo il divorzio dal primo marito nel 1980. Dopotutto, resta ancora uno a cui «non piaceva avviare ogni pensiero da sé» e «ciò che scriveva dipendeva da chi era con lui».
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L’io narrante e il marito sono «mortali, in equilibrio un giorno» che combattono una guerra in cui nessuno si vuole arrendere, un gioco di menzogne e illusioni che fa male a entrambi, ma necessario, poiché «la vita prevede dei rischi. L’amore è uno». Una volta che si ama una persona, diviene sempre più difficile lasciarla e dimenticarla: l’amore è un tango che va ballato fino alla fine, fatto di parole e pensieri che ci incatenano e da cui è impossibile liberarsi.
«La bellezza del marito»: tenersi stretta la bellezza
La bellezza del marito (acquista), come giustamente ricorda Antonella Anedda, racconta «un ricordo di una morte, morte di una vita a due e di una illusione di felicità». Narra l’impossibilità di andare avanti una volta finito un amore, la prigionia a cui ci costringe e la nostra ricerca di felicità attraverso la bellezza, l’unica verità possibile, poiché illusione di una felicità e di una libertà che altro non è che una schiavitù al ricordo dell’amore provato per l’altro.
La repressione parla del sesso meglio di qualsiasi altra forma
di discorso
o così affermano gli esperti moderni. Come fa una persona
ad avere potere su un’altra? È un quesito algebrico
eri solito dire. “Il raddoppiamento del desiderio è l’amore e il
raddoppiamento dell’amore è la follia.”
Il raddoppiamento della follia è il matrimonio
aggiunsi io
quando la soda caustica si era raffreddata, non volendo formulare
una regola aurea.
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