«Prima che mi sfugga». L’invenzione del padre

Il romanzo d'esordio della francese Anne Pauly si confronta con la perdita di un padre da riscoprire

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prima che mi sfugga

Per parlare del lutto, in un suo breve romanzo del 2016 per nottetempo Gabriele Di Fronzo coniò l’espressione «il grande animale». Il protagonista del suo romanzo, Francesco Colloneve, è un tassidermista che rielabora la perdita del padre – il grande animale del titolo – svuotando i luoghi vissuti dall’uomo e passando in rassegna oggetti e ricordi.

Una cosa analoga la fa anche la scrittrice Anne Pauly alla perdita del padre Jean-Pierre, avvenuta dieci anni fa. L’autrice francese si confronta con questa perdita nel suo romanzo d’esordio Prima che mi sfugga (L’Orma Editore, 2022) tradotto in italiano da Marta Rizzo.

La trama di «Prima che mi sfugga»

Nel 2012, durante la settimana di Ognissanti, i fratelli Anne e Jean-François Pauly, originari di Poissy, devono confrontarsi con un evento che ha stravolto le loro vite. Si tratta della morte del padre Jean-Pierre, avvenuta in ospedale a seguito di un’embolia polmonare.

Jean-Pierre è stato per i suoi figli un padre molto particolare. Oltre ai problemi con l’alcol e il lavoro, era spesso preda di attacchi violenti verso la famiglia, e aveva un rapporto complicato con la moglie Françoise, morta prima di lui.

Sbrigando le faccende burocratiche per l’organizzazione del funerale e passando in rassegna gli oggetti del padre, Anne si ritroverà, parafrasando Marco Peano – un altro scrittore italiano che si è confrontato con il tema del lutto in L’invenzione della madre (minimum fax, 2015) – a «inventarsi il padre»; a cercare, cioè, di costruire il complicato puzzle della figura paterna.

«Prima che mi sfugga»: arginare l’oblio

Prima di parlare di Prima che mi sfugga (acquista), sarebbe interessante soffermarsi sul titolo originale Avant que j’oublie. Il verbo oublier in francese significa “dimenticare” e “trascurare”, ma in italiano è reso come “sfuggirsi”. Nel romanzo di Pauly, infatti, si nota una certa urgenza nell’afferrare gli oggetti e i ricordi del padre prima che la morte e la sepoltura di questi lo inghiotta del tutto; prima che, quindi, il padre scappi alla figlia.

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Questo senso di urgenza non solo è dato da uno stile asciutto, scarno, dall’uso della tecnica dell’accumulo, ma anche attraverso il continuo alternarsi del presente del lutto e del passato. Il presente si alterna a flashback in cui Jean-Pierre era vivo e non solo doveva confrontarsi con il cancro, ma anche con l’alcolismo, la morte della moglie e la sua adolescenza.

Il “grande animale” dei fratelli Pauly

Anne e suo fratello Jean-François devono, dunque, svuotare e imbalsamare – per tornare a Di Fronzo – il grande animale, ovvero il padre. I due fratelli Pauly sono costretti a sgomberare ciò che il padre ha lasciato loro per ricomporre la sua vita e la sua figura. I protagonisti cercano di dare dignità a un vinto, a una persona che, nonostante la sua durezza, era vittima dei suoi stessi fallimenti.

Leggendo Prima che mi sfugga vengono in mente le parole che Francesco Colloneve dice nel corso della sua storia:

Ho fatto esperienza che qualunque cosa non si voglia perdere va innanzitutto vuotata, bisogna fare spazio, sgomberare, portare via quello che c’era in precedenza, occorre sempre togliere: solo così, ciò che altrimenti subito scomparirebbe, rimarrà nostro per sempre.

Il deteriorarsi di un padre

Anne Pauly ci introduce fin dall’inizio all’idea di smembrare la figura del padre per ricostruirla. «Mi ero ritrovata sola con lui», afferma la protagonista, «il mio catorcio, la mia canaglia senza una gamba, il mio re misantropo, la vecchia carcassa di mio padre».

I termini “catorcio” e “carcassa” danno subito l’idea di un padre che idealmente si sta deteriorando, poiché con la sua morte rischiano di sparire i ricordi a lui legati. Anne inizia, così, a mettere ordine alla sua vita a partire dagli oggetti di cui dovrà presto sbarazzarsi:

Quella scrivania e quei libri sul tao, sul Giappone, su Montaigne e sulle poesie di François Villon, che sfogliava senza leggerli davvero, erano, credo, il suo sogno di saggezza, la sua recita personale per vendicarsi di un’infanzia di miseria e del disprezzo sociale che si era sentito addosso per tutta la giovinezza.

Svuotare e smembrare il padre

Per fare ordine nella vita del padre, la donna deve svuotare le sue stanze, passare in rassegna i suoi oggetti e i ricordi che a lui lo lega. Assieme a suo fratello, che verso il padre non prova compassione, Anne «fa ordine per capirci qualcosa»; per scoprire la verità su suo padre, sul suo bisogno di essere accudito e il suo insistere nel riallacciare i rapporti con i figli dopo la morte della madre.

Fare ordine, dunque, vuol dire immergersi negli spazi e negli oggetti del padre; cercare di conservarli e non buttarli via per far sì che il suo ricordo non sfugga:

E in fin dei conti sarebbe stato tutto talmente triste e doloroso che a un certo punto avremmo smesso di andarci, in quel tetro deposito, e ci saremmo persino chiesti, a posteriori, cosa potesse esserci di tanto prezioso in quegli scatoloni da conservarli così a lungo, e poco a poco, una volta scomparse anche dalla nostra memoria, assieme alla loro storia. Ecco come si intrecciano l’oblio e l’abbandono, e mi faceva venire voglia di piangere.

La verità sul padre

Per Anne, dunque, vale lo stesso discorso di Mattia, il protagonista di L’invenzione della madre: «ogni ricordo è un corpo in cui l’ovale del viso è assente: un buco, come in una fotografia di cui qualcuno ha ritagliato il volto del soggetto». Ogni ricordo e ogni oggetto porta la protagonista a reinventare suo padre; a spogliarlo dell’immagine negativa che l’uomo si era creato:

La vera personalità di mio padre, spogliata dai fetidi stracci dell’alcol, era riemersa: quella di un uomo contemplativo ma goffo, gentile ma rozzo, generoso ma egocentrico, divorato dall’ansia, dalla timidezza, incredibilmente impacciato. Un dilettante della vita. Contro ogni aspettativa, il mostro era umano, vulnerabile, affettuoso.

Ecco, allora, perché Anne ha dovuto fare «le veci dell’arto di cui era stato privato» il padre. La perdita della gamba del genitore durante la malattia indica metaforicamente un vuoto da colmare; quello di una verità che è stata negata attorno alla sua figura. Ed è così, quindi, che Anne scopre che in realtà il padre soffriva di alcolismo perché frustrato nel non essersi mai realizzato e nelle difficoltà incontrate nel corso della propria vita: un padre morto giovane e gli studi abbandonati perché nessuno lo ha mai sostenuto, e soprattutto un amore, quello per Juliette, che non si è mai concretizzato.

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(Re)invenzione di Jean-Pierre

La protagonista non rinuncia a sbarazzarsi degli oggetti e delle lettere del padre, e così facendo riscopre – e reinventa – Jean-Pierre. La donna scopre un padre che andava fiero della sua famiglia e dei suoi due figli, la cui durezza, i cui problemi con l’alcol e moti violenti non erano frutto di una cattiveria insita nel suo essere, ma di una solitudine e un’incomprensione con cui ha sempre convissuto.

Tocca alla figlia, allora, una scrittrice, accudirsi del “re misantropo” per riconfigurarlo, per far sì che venga riconosciuto per quello che veramente era: una persona in cerca d’amore, in preda a dei demoni più grandi di lui, da cui non è più riuscito a liberarsi. Spetta ad Anne, perciò, ricomporre i pezzi del suo grande animale, per ridargli la pace, e dunque una nuova vita.

«Prima che mi sfugga»: mettere ordine al caos del lutto

Prima che mi sfugga è leggero, delicato, alle volte ironico, non scade mai nel banale, nel pietismo e in una certa pornografia del dolore per catturare l’empatia dei lettori. Anne Pauly ci racconta la morte come una rinascita, una seconda possibilità da dare a chi in vita è stato sconfitto da demoni più grandi di sé. La morte per Anne Pauly è un modo per rivivere il passato, per comprendere gli sbagli commessi e amare chi si è perso.

Qual è la versione finale? È possibile confessarle fino a che punto abbiamo rovinato, per il nostro male di vivere, l’esistenza degli altri? Entrando ho salutato la signora con un semplice cenno della testa, vagamente persuasa che a lei, soltanto a lei, fosse spettato un bilancio e magari delle scuse, mentre io avevo passato ore a perlustrare i minimarket della città più vicina per scovare i suoi biscottini BN gusto vaniglia.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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