In occasione della XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro, sabato 21 maggio si è svolta la cerimonia di premiazione della 48° edizione del Premio Letterario Internazionale Mondello – Sezione Autore Straniero. Seguita da Lorenzo Fabbri, fedele traduttore dell’autrice per L’Orma Editore, Annie Ernaux si è raccontata al pubblico di Cuori selvaggi (dal tema del Salone di Torino 2022), presentata da Lorenzo Tomasin e Giovanni Puglisi.
Annie Ernaux come l’abbiamo sempre immaginata
La vita vera per me è stare davanti a un foglio, la vita vera per me è scrivere.
Gli anni, L’evento, Memoria di ragazza, Il posto, sono solo alcuni dei titoli che hanno dato modo ai lettori italiani di conoscere la scrittrice francese che di recente è uscita in Italia con Guarda la luce, amore mio.
Ripercorrere la sua storia, durante l’evento, è stato un po’ come perdersi un’altra volta tra le pagine dei suoi libri, complice il profumo della carta che annebbia i pensieri tra i padiglioni del Lingotto Fiere. L’infanzia, gli anni di studi, il rapporto familiare, l’estrema fortuna che l’autrice riconosce nella possibilità che ha avuto di frequentare l’Università. Si sentiva una «miracolata a livello sociale». Ma può bastare lo studio per sentirsi uguale agli altri? No, la scuola non è sufficiente quando si parla di égalité.
Avevo una gran voglia di scrivere.
Se, da un lato, i romanzi che scrive fanno pensare all’autofiction, dall’altro si fa presto a scoprire che Annie Ernaux nel raccontarsi sa distaccarsi dal suo personaggio. Nel momento in cui scrive rinuncia all’invenzione.
«Il mio lavoro è di tipo diverso. L’io è uno strumento di proiezione» per comprendere ciò che ha attraversato la sua vita, ciò che ha guardato. Infine, immortalarlo sulla carta ma con magistrale distanza.
E diventa lo specchio di questi avvenimenti. La sua, spiega, è «una strana forma di leggerezza», si lascia attraversare dalle cose. E quando scrive non ha nessuno davanti a sé. «Soltanto il tempo, e non molto». Così scrive ne Gli anni:
La distanza che separa il passato dal presente si misura forse dalla luce che scivola sui volti, proietta le ombre, disegna le pieghe di un vestito di una foto in bianco e nero; dalla sua chiarezza crepuscolare, qualsiasi sia l’ora in cui è stata scattata.
Un’ora e dieci di sorrisi e dediche è l’ultima promessa che Annie Ernaux mantiene prima di congedarsi. E poi torna a nascondersi dietro le storie dei suoi libri. Lei, così sobria e leggera. Proprio come l’abbiamo sempre immaginata.
Scavare nei sentimenti, nei pensieri, nel proprio io, è ciò che spinge i 168.732 cuori selvaggi a perdersi tra i vari stand.
Bilancio più che positivo per quest’edizione del Salone di Torino (conclusasi ieri). Il Salone della rinascita, della speranza, nonostante siano passati solo sette mesi dalla scorsa edizione, tenutasi eccezionalmente in autunno.
È stato come tornare a casa, felici nel ritrovare vecchi amici fedeli e di scoprire il Bosco degli Scrittori di Aboca (con oltre mille piante che hanno portato aria nuova e fresca nell’infernale Padiglione Oval) e l’esilarante sorpresa di trovare l’amore con il Salone (a proposito, qualcuno è poi riuscito a trovarlo?).
Per concludere, ci sono passioni e amori che non hanno una forma, e spendere due parole adesso sul Salone sarebbe un po’ come cercare di descrivere una storia d’amore: ha i suoi pregi, il più delle volte dei difetti. Eppure è sempre a lui che facciamo ritorno.
In copertina: Annie Ernaux al Salone Internazionale del Libro. Da: facebook.com/SaloneLibroTorino
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