A tre anni e mezzo di distanza da Fedeltà – vincitore del Premio Strega Giovani nel 2019 – Marco Missiroli torna in libreria con un nuovo romanzo, sempre per Einaudi: Avere tutto. Vietato però avvicinarsi a questo libro immaginandolo simile a Fedeltà o Atti osceni in luogo privato (Feltrinelli, 2015). Siamo infatti davanti a una storia (all’apparenza) più scarna, in cui tutto gira essenzialmente intorno a due personaggi: Sandro Pagliarani e suo padre Nando.
«Avere tutto»: la trama
Mi telefona mentre sono al supermercato. Lo saluto, lui si raschia la gola ma non parla. So che gira di notte con la Renault 5.
Gli chiedo se sta bene.
– Scusa il disturbo, – dice.
– Smettila.
Avere tutto comincia in medias res, con una telefonata di Nando al figlio Sandro. Fin dalle primissime righe troviamo i dialoghi serrati che caratterizzeranno tutto il libro. Sandro, quarant’anni, da tempo si è trasferito a Milano e annuncia al padre che tornerà da lui, a Rimini, in occasione del suo settantaduesimo compleanno. Un po’ è per desiderio di essergli vicino, un po’ per la curiosità di sapere perché ogni notte esce di casa e gira con la sua Renault 5, come gli è stato raccontato.
Sandro si trattiene a Rimini più tempo del previsto, compiendo un movimento opposto a quello della sua giovinezza. Dalla metropoli torna in provincia: torna dove è cominciato tutto. Rimini non è solo sinonimo delle sue radici, ma anche di alcuni fantasmi con cui fare i conti, primo fra tutti quello della madre Caterina, mancata qualche tempo prima. Una figura, chiamata solo «lei» per gran parte del libro, che riesce a essere presente pur nella sua evanescenza.
C’è anche un altro, ingombrante fantasma che Sandro è chiamato ad affrontare: la spirale della ludopatia, in cui è scivolato poco più che adolescente. Ha creduto di uscirne, a più riprese ci è ricascato. È il motivo per cui ha perso Giulia, il primo grande amore della sua vita. Inevitabile chiedersi come sarebbero state le cose a poter tornare indietro, magari imboccando strade diverse ai bivi più importanti. Nasce così, quasi per caso, una domanda che Sandro e Nando si scambieranno per tutto il libro: dove vorresti essere con un milione di euro in più e parecchi anni in meno? Sembra un gioco, in realtà sono due vite che provano a guardare dritto negli occhi i rispettivi rimorsi e rimpianti.
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Anche Nando si porta nel cuore un segreto, che attende di rivelare a Sandro al momento giusto. Accadrà alle battute finali del primo dei tre capitoli che compongono Avere tutto, ma non faremo spoiler. Da quel punto in poi, però, il romanzo sarà ancora più imperniato su un tema caro a Missiroli già dai tempi de Il senso dell’elefante (Guanda, 2012): il rapporto padre-figlio.
Crescere è scoprire che i genitori non sono eterni e che arriverà il momento in cui i ruoli si invertiranno e spetterà ai figli accudire i padri. Con l’età, per chiunque il pensiero della morte dei genitori si fa sempre meno astratto, fino a diventare una paura concreta che ci accompagna giorno dopo giorno. Qualcosa a cui andiamo incontro tutti, senza sconti, ma che non per questo spaventa di meno. Con Avere tutto Marco Missiroli guarda in faccia questa paura e la affronta insieme a Sandro Pagliarani, ma anche insieme ai lettori.
Un perfetto equilibrio di presenze e assenze
In Atti osceni in luogo privato il protagonista Libero Marsell diventava grande attraverso i numerosi incontri che plasmavano la sua esistenza: la bibliotecaria Marie, la prima fiamma Lunette, fino ad Anna, l’amore della vita. In Fedeltà abbiamo seguito le vicende di ben quattro protagonisti – Carlo, Margherita, Sofia, Andrea –, raccontate con una suggestiva tecnica “a corrispondenza d’anime”. Tutto questo viene meno con Avere tutto. Quasi in ogni momento troviamo soltanto Sandro e Nando, oppure Sandro e un unico altro personaggio, sempre protagonisti di conversazioni brevi, serratissime, da pièce teatrale. Dei veri botta e risposta. Eppure, solo a una lettura molto superficiale potremmo affermare di essere di fronte a un romanzo scarno – guai a lasciarsi ingannare dall’esiguo numero di pagine: 168. Avere tutto è invece un’opera fortemente icastica, in cui si percepisce che ogni singola parola è stata soppesata con cura prima di arrivare sulla pagina.
Come in una composizione musicale, in cui le note si alternano a pause disposte sullo spartito tutt’altro che a caso, anche in questo romanzo il non detto, i silenzi contano tanto quanto le parole. In qualche caso anche di più. Ne è un bell’esempio la figura di Giulia, ancora più evanescente di quella di Caterina. Evocata a più riprese nel corso del romanzo, riusciamo a vederla davvero solo in pochissime righe:
Quando Giulia ha scoperto l’ammanco sul conto in comune non le ho assicurato niente, non ha voluto che le assicurassi più niente. È venuta a prendersi le sue cose mentre ero in ufficio.
Portava davvero il caschetto? All’inizio i capelli erano alle spalle. Forse né uno né l’altro. Era bruna, era corvina. Le mani lisce da pianista: aveva suonato perché lo voleva la madre. Mi arrivava al torace, o al collo. E il naso, la bocca, com’erano, c’era anche un neo su uno zigomo. Giulia, il fantasma.
Paradossalmente, a detta di Missiroli quello di Giulia è il personaggio che gli ha richiesto il maggior lavoro, nonostante sia quello che compare di meno sulle pagine. La sua presenza, però, aleggia ovunque. Ci sembra di percepire non solo lei, ma ciò che rappresenta: il perenne impulso di Sandro ad avere tutto – con il gioco d’azzardo –, che lo porta a perdere non solo ingenti somme di denaro, ma anche la possibilità di una vita con lei. Per usare un termine coniato dallo stesso Missiroli in Atti osceni in luogo privato potremmo considerare Giulia, ma anche Caterina, delle «presenze-bassorilievo»: persone che ci sono state senza esserci troppo, la cui presenza è in qualche modo ancora tangibile.
Una generazione che non può avere tutto
– Era felice?
– Non è che siamo mai felici noi.
– Voi?
– Dovevi fare il carabiniere e interrogare giù alla Destra del Porto.
– Com’è che siete, dài.
E avrei voglia di dirglielo: siamo nel mezzo della vita.
I lettori millennial avranno forse la sensazione di rispecchiarsi nella grande precarietà che contraddistingue la vita di Sandro. È un consulente creativo freelance, dalle idee brillanti che però non riescono a tradursi nella tranquillità economica della generazione dei suoi genitori («Pagano il lavoro a centoventi giorni. Pagano il lavoro a centottanta giorni. Non pagano.»). Nando fatica a capire l’incertezza in cui versa il figlio, la stessa delle altre persone della sua età che stanno nel mezzo della vita come nel mezzo di una tempesta. Sono quarantenni con ben poco di concreto in mano.
Non è la prima volta che Missiroli dipinge scenari del genere. Anche Carlo, uno dei protagonisti di Fedeltà, si ritrovava a oltre quarant’anni con un «curriculum a singhiozzo». Ma, mentre questa situazione portava Carlo a un continuo reinventarsi, passando da una cattedra di Tecniche della narrazione a una candidatura all’ufficio marketing di un birrificio, per Sandro rappresenta invece una spinta a gonfiare ulteriormente il piatto al tavolo da poker. Forzare la mano per avere tutto, accettando il rischio di rimanere senza più nulla.
Una storia di fragilità
A livello stilistico, colpisce molto la scelta dell’autore di adottare una tecnica “ad alternanza di pensieri”, come se Sandro fosse sempre in bilico tra presente e passato, entrambi segnati da quella ludopatia ventennale da cui non riesce davvero a staccarsi. È una tecnica che esprime questo continuo avanti-e-indietro in modo particolarmente azzeccato. Forse in un primo momento può risultare straniante e obbligare i lettori a tornare sui propri passi e rileggere uno stesso paragrafo, ma basta poco per abituarsi e rimanerne catturati. Una parte di Sandro è a Rimini, un’altra parte di lui ripercorre la storia del «vizio», come viene chiamato per tutto il romanzo.
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Missiroli ha spiegato di essere affascinato dai vizi, poiché consentono a una persona di «vedere sé stessa spinta all’estremo». Ma forse questo discorso può valere in generale per ogni fragilità. Il romanzo che ha scritto è in realtà la storia dell’affastellarsi delle vulnerabilità più profonde di Nando e Sandro, delle cadute che ancora inquinano il loro presente. Il desiderio di avere tutto è insieme propulsione e dannazione, che accompagna Sandro fino a uno dei passaggi più belli del libro, che forse a una prima lettura scivola via quasi en passant:
Stiamo zitti, poi mi augura buona serata e le è rimasta la voce bella e anche io potrei dirle: amore.
Passata un’ora e mezza sono in macchina e mi riviene lei, il suo modo serio di dire scambio molecolare. E anche dopo, parcheggiando al bar Ilde e incamminandomi verso l’appuntamento, Bibi nell’attimo prima del gioco, quando le cose certe si arrendono alle cose possibili.
A Rimini Sandro ha cominciato a frequentare una nuova donna, Beatrice Giacometti detta Bibi (il nome non è casuale: è uno squisito omaggio alla donna amata da Dino Buzzati, morta di peritonite nel 1932). Verso la fine del romanzo lui sente salire di nuovo la febbre delle carte e riesce a trovare posto a un tavolo per tornare a giocare. Poco prima di avviarsi telefona a Bibi, le nasconde cosa ha davvero intenzione di fare quella notte. Eppure, mentre va all’appuntamento la sua mente torna all’improvviso a lei. «Le cose certe si arrendono alle cose possibili», scrive sibillinamente Missiroli. Come era stato con Giulia, anche stavolta le certezze di una relazione stabile soccombono di fronte al brivido del gioco? O forse, quella notte, sarà la sola certezza granitica della vita di Sandro – il vizio – a piegare la testa di fronte alla possibilità di ricominciare davvero?
Il romanzo più sincero di Marco Missiroli
Con Avere tutto (acquista) Marco Missiroli firma quello che senza dubbio è il suo romanzo più schietto. Anche Fedeltà e Atti osceni in luogo privato potevano contare su una certa sincerità di fondo, ma è qui che l’autore si mette davvero a nudo. Torna alla scrittura in prima persona e trova il coraggio di scrivere una storia che attinge molto dal suo vissuto personale.
«Io vivo di ciò che gli altri ignorano di me», leggiamo nell’esergo. Missiroli sceglie di farci ignorare qualcosa di meno sulla sua vita, invitandoci al contempo a scavare nella nostra con la stessa intensità. Tutti abbiamo giorni della nostra infanzia tuttora indecifrati, tutti abbiamo segreti dolorosi che aleggiano da anni, se non da decenni. Forse risolvere e avere tutto non è possibile, sembra dirci il protagonista Sandro Pagliarani; ma possiamo pur sempre compiere un gesto di cui non ci siamo mai creduti capaci e scoprirci d’un tratto liberi.
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