Una visione infantile della malattia

«La bambina sputafuoco» Giulia Binando Melis

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«La bambina sputafuoco» Giulia Binando Melis recensione libro

Il dolore è universale, ma quando tocca ad una bambina a sopportarlo tutto sembra assurdo e inconcepibile. Le malattie colpiscono, sfortunatamente, tutti, ma quando è una bambina a doverne sopportare il peso sembra quasi insostenibile. Il romanzo di Giulia Binando Melis, La bambina sputafuoco è il racconto di una malattia che però diventa avventura, cercando di sostenere quella sofferenza che fatichiamo anche ad immaginare.

Edito da Garzanti, pubblicato nel 2022, La bambina sputafuoco è un libro pregno di significato e magico nel suo stile di scrittura. Una lettura che colpisce e affascina, che riesce a folgorare il lettore e a tenerlo ancorato alle pagine. Tutto viene trascinato avanti dalla speranza.

«La bambina sputafuoco»: la trama

Il libro racconta la storia di Mina e della sua battaglia con il cancro. Tutto inizia dal momento in cui viene portata all’ospedale, poiché un dolore lancinante dovuto a «gli spilli» la pervadono durante una normale giornata di scuola. Da quel momento, Mina si trova in un mondo nuovo, con regole diverse dalle solite, a cui deve imparare a sottostare.

«Mina!», dice lei. «I tuoi raggi sono buoni».

Sorride e tiene le mani appoggiate ai fianchi piccoli, ha le dita piene di anelli con le pietre luccicanti. Quando mi dice così io sono sempre lusingatissima perchè mi sento un po’ il sole ma commestibile, come se fosse un piatto da mangiare che casca sulla terra a mezzogiorno e porta il pranzo per tutti.

All’ospedale, però, comincia a conoscere i suoi alleati, di cui si fiderà e con cui proverà a portare il peso della malattia. In un luogo dove tanti bambini arrivano con la stessa velocità e freddezza con cui tanti bambini se ne vanno, Mina trova Lorenzo. Nella stanza di fianco alla sua, magicamente collegata attraverso la stessa macchia sul muro, Lorenzo combatte la propria battaglia. Si distrae con giochi e finti combattimenti, come un cecchino alla finestra mentre spara proiettili di carta ai passanti sulla strada.

Il drago e il licantropo

Il romanzo, infatti, non racconta solamente la storia di Mina e della sua impresa eroica contro un male più grande di lei, ma anche la storia di amicizia che lega questi due bambini. Lì, da soli, in un luogo inospitale, combattono per uscirne vivi. Una storia dai tratti fantastici e leggendari, che Mina scrive alla sorella minore Olivia. Lei è un drago che trasforma tutti in spiedini, accompagnata da Lorenzo, un licantropo che lancia incantesimi «come Voldemort»: la sorella Olivia invece è uno gnomo, che scava gallerie per cercare di andarli a trovare.

«Secondo te perché ci hanno messo i buchi?».

Si gratta una guancia, non risponde subito. «Sono le vie di uscita»

Vengono accompagnati in questa campagna, quasi fosse una giocata di Dungeons&Dragons, dal Signore del Tonno, il prete che visita l’ospedale. Lui le porta sempre il tonno e così si conquista la sua nomea per Mina, sebbene all’inizio la bambina non comprenda veramente il motivo per cui lui venga così spesso a trovare i bambini.

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«La bambina sputafuoco»: lo stile

Il romanzo di Melis colpisce anche per il particolare stile in cui l’autrice ha voluto comporlo. La struttura della storia è divisa in quattro grandi capitoli che definiscono la vita di Mina dentro e fuori – nei periodi più felici – l’ospedale. Come Mina, ci ritroviamo a cercare aria attraverso quelle parole che sembrano ingabbiarci in quello stesso dolore e sospiriamo nei momenti in cui, con lei, ritorniamo a Campo San Giorgio, nel Varesotto. Anche nelle sue parole, ritroviamo una maggiore tranquillità e spensieratezza, ma consapevoli che «gli spilli» sono ancora dietro l’angolo.

Vigio ridacchia, gli si formano le fossette sulle guance, una volta mi ha detto che sono le impronte della Gina, la sua moglie che non c’è più.

Riguardo allo stile narrativo, La bambina sputafuoco (acquista) è scritto come solo una bambina potrebbe farlo, sebbene questo non disturbi per nulla la fluidità delle frasi. Il lettore viene conquistato da quelle frasi eccessivamente lunghe, con errori di punteggiatura. I dialoghi non sono segnalati, ma rimangono frasi intrecciate nella narrazione, come solo un bambino che non ne comprende ancora la differenza potrebbe scriverli.

Mina descrive tutto con quell’innocenza che solo la visione infantile può donare anche ad un tema così complesso e spinoso come il cancro. Vede tutto con grande semplicità, malgrado i momenti duri e anche i fin troppo veloci momenti felici. Mina osserva il mondo con uno sguardo dolce e sincero, donandoci una storia profonda, che ci arriva come una coltellata.

Una autobiografia apparente

Per il suo esordio, Giulia Binando Melis ha voluto raccontare una storia a lei molto vicina, tratta dalla sua stessa esperienza. I ringraziamenti finali sono un potente colpo al cuore, con tutti i nomi del personale medico che hanno reso possibile la sua guarigione.

Il romanzo non è un’autobiografia, ma ne ricalca tratti di esperienza vissuta che rendono la storia di Mina fortemente credibile e dona potenza alle sue parole. Riusciamo a vederla in quella stanza azzurra, mentre guarda i cartoni, non disturbando il sonno dei suoi genitori. Comprendiamo le sue paure e i suoi disagi, soprattutto in un momento della vita così delicato. Siamo partecipi della crescita della sua amicizia con Lorenzo, del loro desiderio di fuga, dei progetti per il futuro, di quello che accadrà alla fine.

I saluti non sono solo d’addio.

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Greta Mezzalira

Classe 1995, laureata in Filologia Moderna. Innamorata del teatro fin dalla prima visione di "Sogno di una notte di mezza estate" durante una gita scolastica. Amante di musical e di letteratura.

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