Milanese di nascita, Ilaria Gaspari condivide con la poeta e autrice Ingeborg Bachmann una piccola parentesi di vita berlinese e romana. Ed è proprio in questo viaggio a ritroso nelle città che Ilaria Gaspari indaga sul passato, sulla vita dell’autrice austriaca che visse nella città fra il 1963 e il 1965, A Berlino. Con Ingeborg Bachmann nella città divisa (Giulio Perrone Editore, 2022).
Insegue il suo «fantasma tabagista che fuma sigarette francesi» a Roma, la città in cui morì la sera del 26 settembre 1973, proprio a causa della brace di una sigaretta che le bruciò la vestaglia in un momento di torpore. Com’è chiaro dal titolo, il viaggio continua e riporta per tre giorni le due donne a Berlino.
Berlino non è la mia città e non è nemmeno la sua. […] Ora voglio imparare a guardare, ad ascoltare Berlino, prendere in prestito gli occhi con cui lei ha studiato la città; voglio provare a riscattare la sua sofferenza. E se poi non dovessi riuscirci, almeno avrò visto qualcosa di nuovo.
«A Berlino», la mappa di un passato inafferrabile
Per la collana Passaggi di dogana, a cura della Giulio Perrone Editore, Ilaria Gaspari ha scelto di esplorare Berlino, ben certa che questo gesto avrebbe comportato un ritorno indietro nel tempo, un ritorno alla città «Sodoma di insonni».
Come una flâneuse distratta, passeggia lungo la Sprea, si lascia guidare dal mistico odore della metropolitana, seguendo una mappa (recuperata in uno späti) e una guida silenziosa che non si lascia decifrare.
Il libro, sotto forma di diario, elenca i luoghi visitati anche a suo tempo da Bachmann (non mancano i brani o monumenti e edifici particolari che il suo fantasma ha abitato) e, in aggiunta, non può fare a meno di includere parte della storia della città divisa, frammentata (la costruzione e la caduta del Muro).
«Devi scriverci un libro», mi disse Sylvain al termine del mio sproloquio. «Nessuno mi ha mai parlato di Berlino come di una festa finita».
Il fantasma, del resto, è un espediente, una scusa a cui abbandonarsi, per convincersi a ripercorrere le vie di una città (non) dimenticata. Non un reportage ma la mappa che insegue le tracce di un passato inafferrabile, la vita di un’autrice le cui parole sono sparse in saggi, poesie, romanzi rimasti incompleti.
Nessuna donna, nessun indizio in «Malina»
Uno dei libri a cui l’autrice Ilaria Gaspari fa più volte riferimento è Malina, l’unica opera finita di Ingeborg Bachmann. Il romanzo era stato concepito come la prima parte di una trilogia chiamata Todesarten (Cause di morte) rimasta incompiuta.
Qui non c’è nessuna donna.
Il romanzo si mostra come una classica storia d’amore, un triangolo che è il teatro in cui Malina, Ivan e Io s’incontrano e scontrano. Ingeborg Bachmann sperimenta diverse tecniche narrative: l’opera teatrale attraverso i dialoghi o l’incessante monologo interiore, l’espressione musicale, la poesia, il romanzo moderno, descrizioni che sembrano trasposizioni cinematografiche, un lungo capitolo onirico che fa da intermezzo tra mondo interiore e mondo esteriore fino alla distruzione dell’Io. Una donna di cui non conosciamo il nome, poiché la sua identità si frammenta negli altri due personaggi. Assume le forme della speranza di un amore, in Ivan, nella profonda dipendenza che prova verso Malina.
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«Un libro apparentemente limpido quanto la voce della sua protagonista, ma con un fondo opaco che attira come l’abisso» scrive Ilaria Gaspari. Per i lettori coraggiosi che avranno avuto l’onore d’inoltrarsi tra le pagine di questo mistico romanzo, si scoprirà di non avere avuto a che fare con una tradizionale storia d’amore, no. Ma con un assassinio. La voce narrante non desidera altro che sparire, diventare sempre più piccola e invisibile. Un fantasma in una casa in cui non c’è mai stata una donna.
E forse accade proprio questo con il fantasma di Ingeborg: è scomparso dietro il fumo della sua ultima sigaretta, ha bruciato ogni traccia del suo presente in una densa nuvola che ha nascosto ogni tratta del suo passaggio sulla città.
E allora comincio a pensare che è proprio come in Malina, quando la scrittrice la cui voce racconta la storia, scompare dentro una crepa nel muro, dopo aver deciso (o compreso) che lei, nel mondo dominato dagli uomini non ci vuole e non ci sa stare. E Malina, il suo amante, uno dei due amanti che le hanno strappato il cuore nella consapevolezza che vivere insieme sia impossibile […], fa quello che farebbe ogni assassino: si mette lì, meticoloso, a cancellare le tracce del passaggio di lei, come se non fosse mai stata nell’appartamento, come se non ci fosse mai passata.
E non rimane nessun indizio, come nessun indizio sembra essere rimasto a Grunewald.
Viaggi di carta in cui perdersi
Dopo Giuseppe Culicchia, Vincenzo Latronico, Mario Desiati, ecco un altro libro che prova a decifrare Berlino. Una città di cicatrici, di spazi immensi in cui si respira un’aria di nostalgica malinconia. Le sue cicatrici si fanno specchio delle quotidiane incomprensioni, le vie si trasformano in radici di un passato pronto a farsi scoprire, ma non comprendere. È una città, Berlino, che prende forma e si deforma attraverso sfumature e disperazioni personali.
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Bella, densa, una suggestiva lettura che è il bagaglio a mano adatto a chi non aspetta altro che fare un viaggio di carta, alla riscoperta di una città che, com’è ovvio che sia, non si finirà mai di scoprire. Con sguardo attento, e sempre profondo, Ilaria Gaspari si rivela essere un’improvvisata guida, la maldestra compagna di viaggio a cui raddrizzare la mappa tra le mani prima di perdersi definitivamente A Berlino. Con Ingeborg Bachmann nella città divisa (acquista).
Finalmente comincio a capire perché Berlino mi piace tanto. È perché è una città di spettri. […] Un po’ per l’indolenza attuale della città, che certo non è poi davvero indolente, ma ne ha l’aria – forse per via delle strade grandi e poco illuminate, per quel senso di spazio dilatato, di tempo dilazionato, di festa già finita. Un po’ perché la storia di Berlino è una storia tragica, e trasforma la città in una persona in carne e ossa, una persona con un corpo percorso di crepe e cicatrici. Un po’ perché è davvero, Berlino, un luogo di coincidenze; l’esser stata divisa la raddoppia.
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