Veniamo tutti da un altro luogo: breve viaggio al Festivaletteratura di Mantova

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Festivaletteratura Mantova

Tra il 6 e il 10 settembre si è tenuta la ventisettesima edizione del Festivaletteratura di Mantova, una delle manifestazioni più importanti del nord Italia dedicate al mondo della letteratura. Un ricco programma capace di unire eventi di divulgazione a presentazioni, lezioni e laboratori a veri e propri confronti.

La letteratura per Mantova non è un’isola defilata, dedicata a un pubblico di settore, ma è un vero e proprio paesaggio, sconfinato, pronto a raccogliere le varie testimonianze. Un terreno fertile, per nulla asettico, con la profonda capacità di innovarsi e proporre soluzione praticabili per un futuro migliore.

Autofiction: verso una nuova letteratura

In Piazza Castello Walter Siti e Paolo Giordano hanno discusso sul tema dell’autofiction, genere letterario sempre più predominante in Italia, che potremmo definire – usando le parole di Serge Doubrovsky – quando “l’autrice o l’autore è protagonista delle vicende di finzione narrate”.

Siti con la sua Scuola di nudo è stato certamente un precursore di questa tendenza che però – almeno per il suo autore – trova le proprie radici nella Vita nova di Dante oppure nella Recerche di Proust. Scuola di nudo, un libro che nasce anche dalla vergogna di raccontare l’inconfessabile, ma che adotta i cosiddetti “tic formali” della biografia. Mentre Siti ha approfondito questo genere per la maggior parte della sua produzione, Giordano sembra essersi avvicinato solo con il suo ultimo libro, Tasmania (Einaudi, 2023). Un’esigenza data durante la pandemia, in cui la narrativa spiccatamente d’invenzione viene abbandonata in favore della saggistica. Nonostante, però, l’apparente autocompiacimento in cui potrebbe cadere lo scrittore, l’autofiction per Giordano diviene paradossalmente un “manifesto del pudore verso se stessi”: infatti, la propria vita viene strategicamente camuffata in visione di un maggiore interesse per le esistenze altrui.

Un tema che poi, inevitabilmente, spinge a chiedersi: qual è oggi il ruolo della letteratura? Una domanda senza risposta, forse, ma che spinge tanto Siti quanto Giordano a mostrare i propri limiti. Quel restringersi di secolo in secolo della letteratura intorno al “verme interiore” delle nostre aberrazioni, ha allontano gli autori alle grandi tematiche attuali. Perciò potrebbe essere questa la sfida dei prossimi decenni: cogliere sì i frutti del Novecento, ma con la volontà di virare rotta verso nuovi lidi, più inospitali – sia per scrittore sia per lettore – ma indubbiamente più prolifici e utili.

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Oltre i confini

Nella mattina di sabato si sono tenute ben due interviste collettive presso la Sala delle Lune e dei Nodi della Camera di Commercio. In quest’occasione il Festivaletteratura rompe gli schemi, assegnando ai suoi ascoltatori un paesaggio senza confini dove la contaminazione di cultura diventa legame e risorsa per l’altro. Così le esperienze di vita di Witold Szablowski e Guadalupe Nettel diventano foriere per nuove riflessioni.

Szablowski presenta Come sfamare un dittatore (Keller Editore, 2023), terzo reportage pubblicato in Italia dove grazie alle sue peculiari idee l’autore cerca mescolare elementi tipici dell’inchiesta giornalista con quelli della narrativa. Un risultato atipico, irreverente, estremamente caustico, capace di canalizzare l’attenzione anche quando sembra quasi impossibile farlo. Unendo la sua passione per la politica, la storia e la cucina Szablowski intervista – anche dopo intere settimane di insistenza – alcuni dei cuochi dei più temibili dittatori del Novecento. Un libro apparentemente divertente, che mostra in maniera inusuale una parte inedita di storia, ma che vuole e deve essere anche un monito: oggi viviamo in tempi difficili – avvisa Szablowski – dove le ascese dei dittatori non sono per niente scontate. Il prossimo libro? Una disamina sempre in ambito culinario, ma focalizzata sulla Russia – dallo zar a Lenin, da Stalin a Putin. Come sempre una vena d’ironia percorre tutta la sua opera, capace di cogliere – da uomo profondo quale è – il riso anche nel dolore più lancinante e nei territori più desolati.

Invece Nettel presenta La vita altrove (La Nuova Frontiera Edizioni, 2023), nuova impresa narrativa dopo i successi di Bestiario sentimentale e La figlia unica. L’autrice messicana, capace di muoversi con naturalezza tra il racconto breve e il romanzo, rileva nelle sue opere delle costanti epifanie pervase da certi elementi immaginifici secondo l’insegnamento – fra gli altri – di Julio Cortàzar. Un realismo che ammicca al magico, ma che comunque ha delle sue e proprie precise connotazioni. Insegnamenti che derivano da libri come Ricordi dell’avvenire di Elena Garro, ma che non rinunciano a impressioni distopiche di autrici come Margaret Atwood.

Una delle voci più originali della letteratura sudamericana che, oggi in particolare, si dimostra comunque preoccupata per la situazione in cui versa il Messico e per il trattamento a cui è riservato alle donne. Come afferma l’autrice, sta avvenendo comunque un cambio di paradigma: le donne non sono più angeli del focolare e anche il solo fatto di essere madre diventa una scelta che dipende sempre meno delle convenzioni sociali. Un cambiamento non da tutti accettato, ma da portare strenuamente avanti.

Verso la comprensione dei processi migratori

Grazie alla sapiente introduzione di Telmo Pievani, il pubblico si è addentrato nell’ultimo grande lavoro di Ruth Padel, che assume le fattezze di un’epopea: Veniamo tutti da un altro luogo. Migrazione e sopravvivenza (Elliot Edizioni, 2023). Ruth Padel, oltre ad essere la prima donna ad avere la cattedra di Poesia a Oxford, è anche imparentata con Charles Darwin. Oltre questo aneddoto e le acclarate conoscenze classiciste, Padel tratta la migrazione in maniera eccezionale tra poesia e prosa con una certa attenzione verso l’ambientalismo.

La migrazione come ricerca dell’adattamento. Una ricerca che ci rende simili in tutto e per tutto agli animali. L’agognare a un luogo favorevole, per poi ritornare alle proprie origini. Un’incessante analisi di sé che, però, come tutte le traverse, ammettono forti sacrifici, alcuni dei quali possono portare addirittura alla morte. Le epopee animali e umane vengono paragonate in un incessante processione, tanto da scandire l’andamento delle stagioni e delle generazioni. Come scrive la poetessa nel suo componimento Tempo di volare:

Vai perché speranza, bisogno e fuga
sono nomi dello stesso dio. Vai
perché la vita è dolce, la vita non cale niente, la vita è un flusso
e non te la puoi portare dietro. Vai perché sei vivo,
perché stai morendo, forse sei già morto. Vai perché devi.

Delle partenze e degli arrivi che sono destabilizzanti per chi parte e chi si trova all’arrivo il migrante. Dunque, la concitante paura e il desiderio di accettazione. Eppure quando questo cambiamento non si genera si creare in noi un’inquietudine, radicalmente innata. E dunque, tra le varie domande che si pone Padel emerge in tutta la lettura: cos’è casa per gli animali e gli uomini?

Padel non anticipa la risposta, sta a noi lettori trovarla, ma è indispensabile un inno – o almeno una sensibilizzazione – all’empatia verso questa nostra propensione. Una tensione che diventa indispensabile per la nostra stessa vita e sopravvivenza della nostra specie in generale.

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All’anno prossimo

Mantova è città di cultura, pervasa da un sentito senso di appartenenza che si fa desiderio di comprensione e inclusioni. Anche il semplice turista è conquistato dall’atmosfera della città lombarda e non può fare altro che partecipare alla rassegna partecipando agli eventi o semplicemente passeggiando per le vie del centro.

Non è pensabile almeno una settimana di Mantova senza Festivaletteratura. Ormai è parte integrante del suo patrimonio culturale. Una piazza temporanea capace di regolare le passioni sulla stessa linea d’onda, dove basta condividere anche solo uno dei tanti momenti collettivi per non sentirsi soli per tutto l’anno.

Immagine di copertina: Foto di © Festivaletteratura Mantova

Articolo di Roberta Marini e Lorenzo Gafforini

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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