Cento anni di Beppe Fenoglio

Il cantore della vita vissuta all’estremo

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La scrittura, per Beppe Fenoglio, è sempre stata «una fatica nera», un continuo «penoso rifacimento» su cui lavorava «with a deep distrust and a deeper faith». I motivi, un’infinità: la vocazione, la sopravvivenza del ricordo, la ricerca incessante di sensazioni passate. E ancora, la volontà di trovare rifugio e costruire uno spazio di libertà.

Fenoglio ha sempre creduto che il compito dello scrittore fosse restituire una parola sincera, lontana dalla menzogna e dalla retorica. Tuttavia, non si è mai illuso sulla difficoltà di questa impresa. Ha raccontato le storie di una nazione intera e di uomini della sua generazione che si sono trovati a fare i conti con la fragilità, l’emotività, la violenza, l’eroismo. Costantemente impegnato nell’incessante scavo interiore, ci ha consegnato tra le sue pagine frammenti di vita vissuta all’estremo, momenti di profondo valore umano. Oggi, dopo cento anni, le sue parole risuonano attuali, anzi attualissime, di fronte all’inesorabile riproporsi delle tragedie della storia.

Beppe Fenoglio: «Un uomo che rimugina dentro e parla poco»

È un tipo insolito nelle nostre lettere, anzi, proprio il contrario del solito ragazzo di provincia letterato (…) È un tipo alto, magro, con una faccia da film del West, un po’ brutale e accigliata, caratteristiche accentuate da una triste affezione: una vegetazione di verruche ed escrescenze sulle guance e sul viso. Parla a scatti, con brevi frasi dal giro inaspettato. Non è certo timido (è chiaramente un uomo pratico e risoluto. È stato comandante partigiano dei badogliani), né è tipo da darsi delle arie, ma è uomo che rimugina dentro e parla poco.

Così Italo Calvino, nel 1953, scrive di Fenoglio. Ne dipinge un ritratto autentico, sottolineandone lo spirito determinato e riflessivo. Racconta di un ragazzo pensieroso e taciturno, leggermente balbuziente, amante della musica e dei libri. Durante gli anni del liceo, Fenoglio si immerge nel mondo letterario inglese ed americano e ne prende in eredità il principio fondante: la scrittura come strumento per cogliere la realtà attraverso una continua rivelazione.

Appartenenza e sradicamento

Fenoglio legge con voracità Donne, Coleridge, Hopkins, Eliot, si appassiona alla lingua inglese e ne assorbe lo stile sintetico e diretto, spoglio di inutili orpelli. Diventa ben presto un grande conoscitore del linguaggio e ne studia le possibilità espressive. Si cimenta nella traduzione e ne individua i limiti e le risorse: la trasposizione non basta. La sua conoscenza densa e ricca dei testi italiani e inglesi innesca in lui un nuovo modo di concepire la lingua che lo porta ad inventare un linguaggio unico: il Fenglish o Fenglese.

Fenoglio dà vita ad una rivoluzionaria risorsa espressiva da cui attingere, un codice omnicomprensivo che riunisce italiano, dialetto piemontese ed inglese. Una lingua che esprime al contempo appartenenza e sradicamento. Come scrittore partigiano, Fenoglio, sente la forte necessità di una presa di distanza da una lingua ormai fin troppo legata al regime: non è più possibile servirsi dell’italiano senza sentirsi “complici”. La creazione di un nuovo linguaggio è una scelta politica, un vero atto di purificazione e rinascita.

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«La Resistenza come mai era stata scritta»

L’amore di Fenoglio per la parola e le sue inesauribili possibilità lo hanno portato a sperimentare senza limiti. Tradizionalmente il suo nome è associato al racconto della Resistenza: come pochi altri, infatti, è riuscito a raccontare il suo momento storico senza ideologia. Il dolore, l’amore, la guerra, condizioni antropologiche fondamentali, sono state rappresentate con assoluta onestà.

C’è la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta, serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali, tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia.

Italo Calvino

Partigiano “in aeternum”

Ogni lettore, attraverso i personaggi di Fenoglio, prova l’esperienza brutale del combattimento per la libertà. Ha vissuto le debolezze, le paure, le passioni, le mancanze, i desideri dei partigiani. Ha scoperto la profonda emotività, tradizionalmente assente nei ritratti che ne venivano fatti di figure mitizzate e imperturbabili. Ne ha compreso il senso più profondo: essere partigiani è una condizione esistenziale che va oltre il tempo, è una continua lotta in nome dell’umanità.

Ogni lettore ha seguito il sensibile Milton, in Una questione privata (acquista), nella sua inarrestabile corsa alla verità, in cui il senso del privato domina sul tutto il resto. Ha sperimentato il male di vivere di Agostino, nella Malaora (acquista), costretto alle continue sofferenze per tirare avanti nel mondo contadino delle Langhe. Ha combattuto a fianco del tenace protagonista de Il Partigiano Johnny (acquista), continuamente in bilico tra morte e vita, diviso tra la boscaglia infernale e il campo di guerra acceso dai colpi d’arma da fuoco.

L’acciaio delle armi gli ustionava le mani, il vento lo spingeva da dietro con una mano defenestrante, i piedi danzavano perigliosamente sul ghiaccio affilato. Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà.

Il partigiano Johnny

Tra teatro e poesia

Tuttavia, i personaggi di Fenoglio non si muovono solo nella prosa, ma in uno spazio più ampio che comprende teatro e poesia. Con un taglio prettamente cinematografico, l’autore si è dedicato anche a diverse sceneggiature, d’ispirazione letteraria e storica. Nuovamente emerge la figura del partigiano, ma da una prospettiva ancora nuova: per la prima volta la sua condizione viene problematizzata e messa in discussione di fronte a un pubblico.

E ancora un’altra cosa. Giurami che starai attento alla tua vita. Voglio dire, che non la butterai, per stanchezza o altro, che non l’arrischierai, solo perché ti pare non degna.

Atto unico

Nella poesia invece, Fenoglio restituisce un’interpretazione moderna dei classici epigrammi. La sua Alba viene popolata di personaggi in costume, che solo in apparenza si legano all’antichità: pirati, centurioni, matrone dai nomi latini. Nella volontà di recuperare un universo passato e particolare, nei brevi componimenti poetici dell’autore c’è spazio per l’ironia, i sentimenti, la riflessione e la presa in giro, ma soprattutto per l’innovazione.

“Tazio ch’ebbe l’orgoglio d’esser vile,/ Tazio che diè del scemo ai fucilati,/ Tazio che sulla scheda elettorale/Scrive «Merda!», «Cornuti!»/ «Abbasso tutti!»

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Fare i conti con la vita

La vita di Fenoglio si spegne presto, a soli 41 anni. Divorato da una feroce malattia e costretto in un letto ospedaliero, perde del tutto la parola. Eppure, ancora cosciente e impassibile di fronte al destino amaro, chiede un taccuino e una penna per non smettere di comunicare, fino alla fine.

Oggi, nel suo centenario, la scrittura di Fenoglio continua ad essere uno specchio senza filtri per guardarsi dentro, uno scorcio aperto nell’anima dell’uomo. Avvicinarsi alla sua parola significa avvicinarsi alla vita e farci i conti.

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Costanza Valdina

23 anni, nata a Perugia, studia letteratura americana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La descrivono come un’instancabile lettrice, un’incurabile cinefila e una viaggiatrice curiosa. Negli anni si è innamorata della scrittura e del giornalismo, ispirata dall’ideale che “pensieri e parole possono cambiare il mondo.”

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