L’opera poetica. Testi editi, inediti, traduzioni è il titolo di un mastodontico progetto edito Mondadori, a cura di Antonio Sichera (che redige l’introduzione) e Antonio di Silvestro, con la collaborazione di Liborio Pietro Barbarino, Christian D’Agata, Miryam Grasso, Maria Concetta Trovato e Eliana Vitale. Il progetto è mastodontico da un punto di vista fisico, essendo un librone pieno di contenuti, ma anche come progetto. Non è semplice ricostruire Cesare Pavese come poeta, in quanto in questa nuova ambiziosa idea egli non è solamente autore delle proprie poesie, famose e amate, ma anche autore di traduzioni.
Il traduttore è stata una figura sovente bistrattata e messa in secondo piano, fortunatamente con il tempo è stata rivalutata. Nel caso di Cesare Pavese non si può biasimare chi si voglia focalizzare più sulla sua produzione poetica personale e sulla stesura dei suoi romanzi così pregni di significato. Come ci dice tuttavia introducendo i suoi Dialoghi con Leucò, non è bene ostinarsi a etichettarlo come un «testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie». Pavese era molto di più e questa edizione lo dimostra. Un intellettuale meticoloso e uno studioso affezionato che prima di comporre e tradurre ha percorso un lungo apprendistato.
Cesare si sente chiamato alla poesia ma si rende conto che di lì a diventar poeta la strada non è né breve né agevole. Per questo, prima autonomamente e poi anche sotto la spinta implicita di Monti, si sottopone a un apprendistato rigoroso, affollato di letture, di riflessioni, di traduzioni anche.
Antonio Sichera, Introduzione
La poesia di Cesare Pavese
L’edizione presenta tutte le poesie di Cesare Pavese, da Lavorare stanca, l’opera d’esordio pubblicata nel 1936 che è stata sottovalutata e spesso criticata, fino a Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, che uscì postuma nel 1951. Da quando sono trascorsi i 70 anni dalla morte di Cesare Pavese, sono state tante le nuove edizioni delle sue opere, quindi anche poetiche. Pensiamo a quella di Interno Poesia di Lavorare stanca, che mira a farla rivalutare. Cos’ha di speciale allora una nuova edizione delle sue poesie?
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Bisogna dirci chiaramente che i componimenti poetici di Cesare Pavese risuonano di attualità e forza in una maniera tale che, riordinarli e riviverli, non è mai un male. Ciò vale per tantissimi autori, è vero, ma se pensiamo ad un momento storico come questo dove, a partire dalla pandemia, l’uomo e la sua natura sono sempre di più in crisi, abbiamo davvero bisogno di Cesare Pavese. A ciò si aggiunge il fatto che scolasticamente parlando l’autore sia davvero ancorato a quei romanzi e quelle narrazioni delle campagne, per quanto sicuramente interessanti e valide, ma non l’unica parte della sua importante produzione.
Ascolteremo nella calma stanca
Cesare Pavese, Ascolteremo nella calma stanca
la musica remota
della nostra tremenda giovinezza
che in un giorno lontano
si curvò su se stessa
e sorrideva come inebriata
dalla troppa dolcezza e dal tremore.
Sarà come ascoltare in una strada
nella divinità della sera
quelle note che salgono slegate
lente come il crepuscolo
dal cuore di una casa solitaria.
Battiti della vita,
spunti senz’armonia,
ma che nell’ansia tesa del tuo amore
ci crearono, o anima,
le tempeste di tutte le armonie.
Ché da tutte le cose
siamo sempre fuggiti
irrequieti e insaziati
sempre portando nel cuore
l’amore disperato
verso tutte le cose
verso tutte le cose.
Le poesie pavesiane sono a volte espressione di un io lirico celato e a tratti urlato, altre volte enigmatiche e criptiche, come se pretendessero di essere sfogliate lentamente come lenta per quanto vivace è la riflessione dell’autore.
Cesare Pavese traduttore: il fiore all’occhiello dell’Opera Poetica
Dando per scontato il grande valore già riconosciuto della poesia di Cesare Pavese, allora, il tratto più originale di questa edizione peculiare è la presenza delle sue traduzioni di poesie. Pavese ha tradotto tantissime liriche greche e latine, con una grande maestria e con scelte originali. È vero che traducendo si cerca di ricostruire il significato originale di un’opera, ma quando si traduce si mette sempre qualcosa del proprio io. Francesco De Gregori, in riferimento alle sue traduzioni delle canzoni di Bob Dylan, ha parlato di «fedeltà disattesa» come condicio sine qua non è impossibile pensare di tradurre.
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Nell’atto di penetrare un testo già esistente, allora, il traduttore non opera come un asettico chirurgo, bensì come una sorta di restauratore di un’opera d’arte che la conosce e la apprezza. Nel caso di un testo classico, che si lega al mito omerico (le cui traduzioni lo hanno accompagnato nel periodo del confino), o ancora all’universo delle lettere, per Cesare Pavese il lavoro è se non più interiore, praticamente un suo organo interno. Per chi non conoscesse il lavoro di Pavese traduttore, ma volesse conoscerne l’animo, le traduzioni sono un elemento imprescindibile. Anche per apprezzare, naturalmente, la meticolosità con cui con un grimaldello attento e penetrante Pavese rifletta sulla realtà poetica di ciò che si trova davanti.
Un fiore all’occhiello dell’edizione sono allora le opere poetiche tradotte dall’autore, che prima di aver deliziato il pubblico con i suoi lavori ha plasmato la cultura contemporanea in maniera definitiva e l’ha segnata in modo indelebile.
Pavese conserva l’essenza del classico ma ci mette se stesso
Un esempio può essere quello dell’ode I, 11 la più famosa di Orazio, per intenderci quella del celebre “carpe diem”. In questa ode è presente un nomen loquens, ovvero nome parlante, quello di Leuconoe a cui è dedicata l’ode. Sicuramente Cesare Pavese è cosciente che l’aggettivo λευκός (leukos) in greco antico significa brillante o bianco. Tuttavia, resiste alla tentazione di tradurre, come Giovanni Pascoli, questo nome come “Candida”. Perché la purezza e l’ingenuità del bianco non riguarda il significato originale dell’aggettivo. Così come Alfonso Traina Cesare Pavese fa permanere il significato di Leuconoe, lascia il nome esattamente com’è.
In queste 1728 pagine non ci sono però solo classici, ma anche opere che hanno segnato la formazione di Cesare Pavese. Questi ha fatto conoscere all’universo narrativo italiano anche la bellezza della letteratura americana, non è stato l’unico certo. Tanto che pur nelle grandi differenze tra i due, apprezza il lavoro del “troppo milanese” Elio Vittorini, un altro intellettuale fondamentale per la diffusione della letteratura americana in Italia.
Troviamo allora anche Foglie d’erba di Walt Whitman, grande ispirazione già per Lavorare stanca di Pavese. Nella prima stesura della sua tesi di laurea, è noto che inserì le sue traduzioni dalle poesie di Walt Whitman, poi rimosse nella versione definitiva e pubblicate come inediti da «Repubblica» a maggio 2020. Nel grande amore per questo poeta, Pavese trova l’equilibrio tra l’io lirico personale e quello di verace traduttore e intellettuale.
Egli era un assiduo cacciatore e pescatore
Walt Whitman, I sing the body electric, da Foglie d’erba, traduzione di Cesare Pavese
e apprezzava da sé la sua vela…
Quando andava con i suoi cinque figli
e i molti nipoti a cacciare e a pescare,
voi l’avreste scelto come il più bello e vigoroso della banda
e avreste molto desiderato di stare con lui,
di sedere accanto a lui nella barca
sì che vi poteste toccare l’un l’altro.
Allora immergiamoci in questo “scrittorio di Pavese poeta” (acquista), come lo definisce Antonio Di Silvestro nella seconda introduzione, e in questa enorme enciclopedia poetica, di traduzione, ma soprattutto umana.
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