Il dolore si trasmette di generazione in generazione

«Cieli in fiamme» di Mattia Insolia

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«Cieli in fiamme» di Mattia Insolia

Lo scorso 7 febbraio è uscito per Mondadori Cieli in fiamme, il secondo romanzo di Mattia Insolia. Dopo il folgorante esordio con Gli affamati (Ponte alle Grazie, 2020), il giovane scrittore siciliano è entrato a pieno titolo nel novero delle più interessanti voci emergenti del panorama letterario italiano e, a distanza di tre anni dal primo libro, la curiosità intorno a questa nuova opera era tanta.

«Cieli in fiamme»: la trama

Cieli in fiamme si dipana con una struttura a capitoli paralleli, alcuni ambientati nell’estate del 2000 e altri nell’inverno del 2019, con protagonisti diversi: nei primi una sedicenne insicura di nome Teresa, nei secondi un diciottenne violento e arrabbiato, Niccolò. Come si intuisce dopo poche pagine, Niccolò è il figlio di Teresa, che rimane incinta proprio nell’estate dei suoi sedici anni. Fin da subito, dunque, sebbene le due storie sembrino procedere su binari paralleli, i lettori comprendono che in realtà sono profondamente legate e destinate a convergere.

A fare da trait d’union tra loro, un personaggio comune, Riccardo. Nei capitoli ambientati nel 2000 è un ragazzo bello e strafottente, da cui Teresa si sente attratta fin dal primo momento; in quelli ambientati nel 2019 è il padre trentaseienne di Niccolò, una figura sfuggente, con cui il ragazzo non ha mai intessuto un vero rapporto. Quello di Niccolò, più che un nucleo familiare, è una sorta di raggruppamento di estranei. Eppure, senza dargli troppe spiegazioni, a un certo punto Riccardo ricompare nella vita del figlio e lo convince a intraprendere con lui un viaggio verso il paese di Camporotondo. Dove – lo sanno i lettori, ma non Niccolò – Riccardo e Teresa si sono conosciuti diciannove anni prima.

Una storia di dolore e senso di colpa

Chi ha letto Gli affamati lo sa: la rabbia è un tema cardine della scrittura di Mattia Insolia, e di rabbia ne ritroviamo in abbondanza anche in Cieli in fiamme. Eppure, forse, non è questo il vero coprotagonista della storia. Ad accompagnare con insistenza Niccolò, Teresa e Riccardo è il dolore, che lo stesso Insolia ha definito «il più rigido dei capifamiglia». E in effetti il dolore che pervade le loro esistenze è una presenza ingombrante, che a più riprese minaccia di soffocarle.

Niccolò vive la vita come se fosse il suo parco giochi, ubbidendo esclusivamente ai propri istinti e negando in primis a sé stesso che ogni sua azione ha delle conseguenze. È capace di azioni violente, sadiche, e non sa provare empatia per le sue vittime. Lo ignora, ma questa descrizione si addirebbe anche a Riccardo quando aveva la sua età. Teresa lo accusa di essere identico al padre; è una recriminazione che gli fa con un odio viscerale, che Niccolò non riesce a spiegarsi, e man mano che si procede nella lettura ci si rende conto che è vera.

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L’atteggiamento di Niccolò sembra figlio di un dolore di cui nemmeno lui stesso conosce l’origine. Suo padre, invece, si porta dentro un senso di colpa mai elaborato – la motivazione rimarrà oscura fino alla fine, quando deflagrerà sulla pagina con una violenza inaudita. Una cosa, però, è certa. Riccardo architetta questo viaggio perché vuole provare a conoscere suo figlio e scongiurare il suo timore più grande: che sia come lui. Il male si può trasmettere come una malattia ereditaria?

La prima protagonista femminile

In Cieli in fiamme, per la prima volta, Mattia Insolia mette in scena anche una protagonista femminile (il suo romanzo precedente narrava invece la storia di due fratelli, Paolo e Antonio). Teresa è una ragazzina vittima di un ambiente familiare opprimente – una madre che traduce in violenza fisica e psicologica una religiosità prossima al fanatismo, un padre depresso e totalmente succube della moglie – e del confronto con le coetanee, che già hanno fatto le prime esperienze sentimentali e che ai suoi occhi appaiono bellissime e spigliate. Fin dalla nascita Teresa è stata tenuta in tutti i modi sotto una campana di vetro dalla madre ma, per la prima volta, nell’estate del 2000 prova a ribellarsi e immaginare una realtà diversa.

Il suo primo incontro con il mondo esterno si rivela uno schianto dolorosissimo e, da quanto si intuisce dagli indizi disseminati da Insolia, segna in modo indelebile anche la personalità della Teresa adulta. In quest’opera l’autore compie la scelta insolita di narrare una storia che parla (anche) di una madre e un figlio e in cui, però, questa viene mostrata quasi esclusivamente a sedici anni. Nasce così un romanzo che lascia la sensazione forte che i desideri, i timori, perfino i destini si tramandino ineluttabilmente da una generazione alla successiva. Niccolò non lo sa, ma Teresa e Riccardo gli hanno già passato il testimone.

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L’unico rovescio della medaglia di questa scelta autoriale è forse che i lettori non arrivano a conoscere davvero l’universo della Teresa adulta, così sfaccettata invece nei capitoli che la vedono adolescente. Alla fine del romanzo resta una sorta di curiosità latente, il desiderio inappagato di sapere che donna è diventata davvero Teresa, anche alla luce di quanto accadutole nell’estate dei suoi sedici anni.

Cieli infiammati di stelle

I «cieli in fiamme» che danno il titolo al romanzo non sono altro che i desideri che punteggiano e incendiano il nostro cielo e che, con il passare degli anni, si tramutano in illusioni. Che andranno spente in un graduale adattamento alla realtà. Inoltre, nella scrittura di Insolia il cielo stellato – stavolta quello reale, non figurato – è un elemento che, con la sua bellezza quasi commovente, fa spesso da contraltare alle scene più dure. Lo incontriamo subito, alle primissime righe del libro:

Fu allora che lo vide.
Un cielo stellato. Il suo cielo stellato. Tutto fatto di desideri inesplosi e di costellazioni vaste come città senza confini; cattedrali che bruciavano, edifici che si innalzavano all’infinito, vie lastricate dell’oro dei sogni.

per poi ritrovarlo in altri due passaggi verso le battute conclusive del romanzo. Il primo vede protagonista Niccolò:

Il faro, lontano, non brillava più. Ma il buio non era riuscito a impadronirsi del mondo. Una luce soffusa, calda lo rischiarava per intero. Niccolò alzò gli occhi al cielo, alla ricerca della fonte di quel lume, e fu allora che, per la prima volta dacché potesse ricordare, vide le stelle.
Adesso erano loro a illuminare il suo mondo. […]
Si asciugò le lacrime, e un sorriso gli stese i lineamenti.
Quel cielo, quelle stelle, quella luce.
Lì, sotto il suo tropico di illusioni, ogni cosa era vera, e tutto era reale.

Niccolò non può saperlo, ma anni prima anche sua madre, in preda alla disperazione, aveva alzato gli occhi al cielo e trovato un piccolo conforto:

Immerse gli occhi nella notte, socchiudendoli appena. E le sembrò che il cielo fosse vicinissimo.
Era pieno di stelle. Puntini luminosi che la fissavano e le sussurravano che loro, tutti loro, erano lì per lei. Che l’avrebbero accolta, e protetta. E lei a quel cielo si lasciò andare.
Lontana dal mondo che l’aveva sempre rifiutata, che le aveva riservato solo sofferenza, che non le aveva mai dato tregua, solcava il cielo sopra di lei.
Lieve, Teresa galleggiava tra le stelle.

Quest’ultima scena, in particolare, ricorda in qualche modo un passaggio verso la fine degli Affamati. Anche qui trovavamo un cielo ricolmo di stelle dopo una sequenza particolarmente brutale, come se il mondo fosse in fin dei conti indifferente al male che inquinava le vite dei personaggi. O forse era un minuscolo barlume di bellezza che nonostante tutto resisteva ma di cui, in quel caso, il protagonista Paolo non si accorgeva:

Per qualche secondo nessuno fece niente. Ognuno da una parte diversa della stanza, stettero a guardarsi. Paolo per la prima volta da che si conoscevano pensò che lo avrebbero sfidato. Ma non lo fecero. Carlo e Nicola obbedirono. Uscirono dalla casa. Lui si guardò attorno. Poi li seguì. La ragazza, mezza nuda, singhiozzava per terra.
Fuori, il cielo era pieno di stelle.

Cieli in fiamme (acquista) si rivela, in conclusione, una bella conferma del talento narrativo di Mattia Insolia, che qui sperimenta sentieri che non aveva ancora battuto e, al tempo stesso, sceglie di riproporre elementi che già comparivano nel romanzo d’esordio, mostrando con chiarezza qual è il suo immaginario autoriale. Non chiamatelo più emergente: siamo di fronte a un narratore dalla voce ormai più che solida.

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

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