Storia di un uomo che batte le ali ma non spicca mai il volo

«Il colibrì» di Sandro Veronesi, dal romanzo al cinema

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Il colibrì

Il colibrì, minuto e aggraziato, batte incessantemente le ali, usa tutte le sue energie per rimanere quasi fermo a mezz’aria. E questo è il soprannome di Marco Carrera, il protagonista del romanzo di Sandro Veronesi intitolato, appunto, Il colibrì (La nave di Teseo, 2020).

È un uomo sposato, ha una figlia, di mestiere è un oculista. La sua vita si scompone a causa di un incontro del tutto imprevisto: riceve la visita di Daniele, lo psicanalista della moglie. Un po’ come accade in un lago, quando lo specchio d’acqua viene infranto dalla caduta di un sassolino, l’onda d’urto rimette in movimento ogni cosa. Quella di Marco, si scopre, non è affatto una vita tranquilla, o almeno non lo è per le persone che ha intorno.

Dolori devastanti e casualità fatali

La perdita e il senso di colpa sono dolori con cui dovrà spesso fare i conti, a partire dalla precoce morte della sorella maggiore, poi il matrimonio di bugie e falsità con Marina, l’amore epistolare con Luisa, fino alla perdita prematura della figlia Adele. Dolori devastanti che assumeranno la forma di una nostalgia, di un persistente dubbio sul fatto che le cose sarebbe andate diversamente “se…”, fino al rimpianto.

In mezzo alla costante perdita della rotta, dovuta all’imprevedibilità della vita, ecco che Marco cerca il suo punto fermo: Luisa. L’unica donna che, tra tira e molla, saprà conoscerlo meglio di chiunque altro e riconoscerlo opponendosi ai cambiamenti.

Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.

Un soprannome dato a Marco dalla madre, per via della bassa statura, lo rende riconoscibile nel mondo: avanza piano nel suo futuro, nel disperato tentativo di tenere insieme i pezzi della sua vita che, com’è inevitabile che sia, sfuggono dolorosamente via. Eppure, nonostante gli evidenti addii che dovrà ripetutamente dare, Marco sembra avere sempre la fortuna dalla sua parte: sin da bambino è molto bello, è amato dalle donne che lo circondano. Mai un fallimento, che sia il tennis (sport da lui praticato da ragazzo) o il poker (venerato vizio). Tiene ben salde le redini del suo destino, un filo che con fatica si oppone alle correnti del cambiamento, a differenza della figlia Adele. Da bambina gli confesserà di avere: 

[…] un filo [che] partiva dalla sua schiena per andare a finire nella parete più vicina, sempre. Per qualche ragione nessuno lo vedeva, e quindi lei era costretta a stare sempre attaccata al muro, per evitare che la gente ci inciampasse o ci rimanesse intrappolata.

La vita ordinaria di un colibrì

Se la vita è un’implacabile confusione di imprevedibilità, questo è solo uno dei tanti parallelismi con cui il lettore dovrà fare i conti nell’opera di Sandro Veronesi. 

Il colibrì è un romanzo sperimentale, dove il racconto della storia non segue un ordine cronologico dei fatti ma, attraverso flashback, lettere, mail, messaggi, ribalta ed esplora l’ordinarietà della vita. Ne vale la pena? Non convince del tutto, ma nonostante ciò si tratta di una storia che il lettore saprà seguire con lucidità.

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Marco non è un eroe, non conosce un modo per sopravvivere all’illusorietà delle aspettative personali, tuttavia nel mondo delle contraddizioni riconosce il privilegio della casualità. E sa farne buon uso, immedesimandosi di volta in volta in un futuro coerente con il passato. Nelle difficoltà trova un obiettivo che lo mantiene in vita, lontano da autocommiserazioni. Scriverà a Luisa:

Io ora ho una missione da compiere, che dà senso a tutto quello che ho avuto e non ho avuto, compresa te: allevare l’uomo nuovo, e l’uomo nuovo è la bambina di otto anni che dorme sotto questo tetto. 

È la figlia di Adele, la piccola Miraijin: l’Uomo del Futuro. Una sorta di prodigio, una bambina ammaliatrice che «fa sempre la cosa giusta», che vediamo crescere e diventare bellissima, intelligentissima e impegnatissima. Tutto un po’ troppo superlativo.

E se c’è una cosa da cui non si può prescindere, quello è il tempo. Fa di noi quello che vuole: ci mangia, ci rincorre, ci aspetta, ci dilania. A volte è contro di noi, a volte ci accompagna. Ma lui è lì: più grande di Marco Carrera, più grande di ogni uomo.

«Il colibrì», romanzo cinematograficamente complesso

Francesca Archibugi porta in sala – a partire dal 14 ottobre – il film tratto dal romanzo omonimo, vincitore del Premio Strega 2020 (acquista): una sceneggiatura difficile da sintetizzare cinematograficamente. 

Quelli di Nanni Moretti e Pierfrancesco Favino spiccano tra i nomi di Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotiní Peluso, Francesco Centorame e Pietro Ragusa – tra gli altri – ed è paradossalmente tra loro due che si sviluppa il rapporto più importante che lega insieme la storia de Il Colibrì.

Tra tante relazioni, sentimentali o familiari, grandi amori e insopportabili dolori, la tensione che lega Daniele e Marco cresce sempre di più, dalle prime preoccupazioni professionali all’atto più estremo di vicinanza e amicizia. I loro incontri non sono mai stati casuali, così come nulla nella vita di Marco risponde alla casualità dell’imprevedibile: dal filo che Adele sente dietro la schiena, dalla finta felicità che Marina rigetta, dal tormentato amore per Luisa che distrugge e ricompone, dalle continue cadute in una vita che “nonostante tutto” Marco apprezza, a ritmo di frequenti flashback e flashforward, cameo dell’autore compreso.

Incontrare Daniele, per Marco, è un modo per rimettere insieme i pezzi della sua vita e restare fermo, esattamente dov’è. Ritornare alla sua vita che, sì, gli piace. Anche se non si lascia sedurre dalla passione, dal vizio. Anche se rifiuta l’agonia della morte. Marco non perde mai la testa, non ferisce, non sbraita. Daniele lo accompagna nelle sue scelte fondamentali, è la prova che mettere in primo piano la vita degli altri, a volte, è una cosa bellissima.

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Terminato il film, sono tanti i dubbi che annebbiano l’opinione dello spettatore: qual era il tormento di Irene? Com’è la vita di Luisa lontana da Marco? Come ha vissuto Adele la lontananza dalla madre? Cosa nasconde Daniele? E una domanda, più di tante altre, sostiene l’attenzione del film: chi è il colibrì?

Un ragazzo che ha paura di non fare la scelta giusta? No, è un uomo che non vuole fare del male a nessuno, che batte le ali e non spicca mai il volo. Come rabbiosamente fa notare Marina: «Tu se facessi del male moriresti». 

Il desiderio di fermare il tempo

Ciò che manca del libro è la presenza delle continue lettere di Marco e Luisa, difficili da incastrare in un film; eppure, il lettore preparato avverte l’ingombrante assenza del dramma amoroso. Una commedia drammatica, intrisa di spunti interessanti mal approfonditi. Una storia che richiede tempo, spazio, nella lettura come al cinema. E mentre Luisa abbraccia Marco, nella stanza dell’albergo, accade qualcosa che lo spettatore finalmente concretizza: il desiderio di fermare il tempo, mandare la storia di Marco al rallentatore, rivedere la scena.

Quante volte nella vita ci siamo interrogati sul peso delle nostre decisioni, sul male che possiamo evitare di procurare comportandoci in un determinato modo. Marco lo fa costantemente, eppure in maniera inconsapevole è l’artefice del male altrui. Cos’è la vita veramente è un dilemma a cui ognuno risponde a modo proprio; Marco può risultare incomprensibile ma ha scelto di accettare la vita così com’è, senza slanci o radicalità. Tutto questo lo rende un colibrì pronto a volare avanti e indietro nella sua storia, lineare e coerente in ogni atto. Sceglie la vita così com’è, complessità e bellezza comprese.

Dopotutto un po’ sembra di comprenderlo, questo colibrì.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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