Quando si parla di letteratura statunitense, i temi che vengono in mente sono la provincia, famiglie disfunzionali, razzismo, ma anche la messa in discussione di quello che Philip Roth definiva “Pastorale americana”, ovvero l’idea di Paradiso e perfezione che tanto è presente nella retorica americana.
C’è un’autrice, però, che negli anni Ottanta ha unito tutti questi elementi aggiungendo anche delle riflessioni sul femminismo che oggi risultano di un’attualità sorprendente. Stiamo parlando di Alice Walker e del suo più grande successo Il colore viola, romanzo del 1982 vincitore del Pulitzer e del National Book Award nel 1983 e che Edizioni Sur ha riproposto nel 2019 con traduzione di Andreina Lombardi Bom dopo la prima edizione Frassinelli del 1984.
La trama de «Il colore viola»
Siamo nel Sud degli Stati Uniti, prima della Seconda Guerra Mondiale, in una società americana dove la discriminazione razziale è molto presente e il movimento per i diritti civili non è ancora nato. Sembra il contesto di un romanzo o un racconto di Flannery O’Connor, ma in realtà è l’ambientazione del Colore viola.
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La protagonista di questo romanzo epistolare è Celie. Epistolare, perché la protagonista scrive delle lettere a Dio, un Dio distante, che a poco a poco imparerà a conoscere, e a cui racconta la sua vita travagliata: la nascita in una famiglia povera; un padre, Alphonso, che la violenta mettendola incinta due volte e poi la dà in sposa ad Albert, che la protagonista chiamerà sempre Mr. _____; fino alla separazione dalla sorella Nettie, fra le poche che le vuole bene in questo mondo che l’ha condannata alla solitudine.
«Il colore viola»: un romanzo femminista e su Dio
Il colore viola è diventata una lettura fondamentale della letteratura statunitense, in particolare quella afroamericana. In realtà, sebbene il razzismo sia presente, sia nel rappresentare le condizioni di miseria in cui sono costretti a vivere gli afroamericani ai tempi, che nel confronto con i bianchi –come dimostra la scena che vede coinvolta Sofia con il sindaco e sua moglie –, Alice Walker è più interessata da un lato a mostrare l’evoluzione della coscienza di Celie come donna e dall’altro il suo rapporto con Dio.
Per quest’ultimo punto, sarebbe meglio leggere quello che Walker afferma nel suo scritto del 2006 posto come introduzione all’edizione Sur del romanzo:
Più di trent’anni dopo, continua a meravigliarmi il fatto che si parli così di rado del Colore viola come di un libro su Dio. Su «Dio» contrapposto all’ «immagine di Dio», Dopotutto, le prime parole della protagonista Celie sono «Caro Dio». Tutto ciò che avviene nella sua vita, nell’arco di vari decenni, è collegato alla crescente comprensione di questa forza. Ricordo un mio tentativo di spiegare a un’ammiratrice scettica la necessità delle traversie di Celie. Le dissi che la nostra comprensione di quello che significa ed è «Dio/Dea» cresce grazie all’intensità delle nostre sofferenze, e grazie a quello che siamo in grado di ricavarne.
Tutto quello che, dunque, racconta Walker, ovvero la miseria di Celie e il razzismo, sono un pretesto per mettere in luce il vero scopo del romanzo, ovvero raccontare non solo la crescita di Celie come donna, ma anche la sua scoperta di Dio, a cui la protagonista dedica gran parte delle lettere incluse in questo romanzo e a cui poi si rivolgerà come «caro Tutto», una figura onnipresente che non solo ci permette piccoli movimenti di meraviglia, ma ci impone anche di crescere attraverso la sofferenza.
La coscienza femminista di Celie
Prima di arrivare alla consapevolezza di Dio, per Celie è fondamentale riappropriarsi di se stessa in quanto umana, ma soprattutto donna. Agli inizi del romanzo, Celie ci viene presentata descritta dagli altri, in particolare da Alphonso, che la raffigura in maniera sprezzante:
Be’, la prossima volta che venite le potete dare un’occhiata. È brutta. Non sembra manco la sorella di Nettie. Ma come moglie va meglio lei. Non è nemmeno tanto sveglia, e voglio essere onesto, vi toccherà tenerla d’occhio o darà via tutto quello che avete. Però è capace di lavorare come un uomo.
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Celie vive sempre con l’idea che nessuno le voglia bene, che sia brutta, costretta a sopportare le umiliazioni del marito. Fin quando, però, entra nella sua vita l’ex amante di Mr ____, Shug Avery, una cantante, una donna affascinante pronta a sfidare le convenzioni. Shug prende con sé Celie, facendole coltivare il suo talento di sarta, ma aiutandola a essere consapevole delle sue sensazioni, come nel momento in cui le tocca le gambe:
Eh sì, fa lei. Dio ama tutte queste sensazioni. Sono tra le cose più belle che ha creato. E quando sai che Dio le ama te le godi molto di più. Ti rilassi, ti muovi insieme a tutto quello che si muove e lodi Dio facendoti piacere quello che ti piace.
Ma Dio non pensa che sono cose sporche?, chiedo.
Macché, fa lei. È stato Dio a crearle. Stammi a sentire, a Dio piace tutto quello che piace a te… e un sacco di altra roba che a te non piace. Ma più di ogni altra cosa, a Dio piace l’ammirazione.
Celie e la scoperta di Dio
Grazie a Shug Avery, Celie non solo si rende consapevole di se stessa come donna, ma comincia anche comprendere Dio. Questo perché, una volta avuto coscienza della propria umanità negata da un contesto violento e di miseria che ha sempre vissuto, Celie riesce ad avere una spiritualità, che è «tutto quello che c’è o che c’è mai stato o ci sarà. E quando riesci a sentirlo, e a rallegrarti di sentirlo, ecco che l’hai trovato».
Celie comprende, dunque, quello che scrive Alice Walker nell’introduzione, ovvero che Dio è vicino a lei anche nella sofferenza e nella miseria, e riesce a fornirle «le chiavi giuste che ci occorrono per aprire i sotterranei più profondi e bui della nostra prigionia emotiva e spirituale, e per sperimentare la liberazione e la pace tanto attese». Dio è attorno a lei nel momento in cui deve affrontare le sue sfide, come la separazione dai figli Adam e Olivia e dalla sorella Nettie, ma è lo stesso Dio che le ha fatto conoscere Shug Avery, che le ha permesso di realizzare i suoi talenti, ma anche di risolvere la sua miseria attraverso la possibilità di emancipazione.
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Dio per Celie è tutto questo: è ciò che la fa sentire viva anche nel male, che le permette di godere delle piccole cose, e così facendo la fa sentire amata, e le fa amare la vita nonostante tutto:
Io penso che siamo qui per farci domande, secondo me. Per farci domande. Per interrogarci. E che quando ti fai domande sulle cose grandi e ti interroghi sulle cose grandi, impari quelle piccole, quasi per caso. Ma sulle cose grandi non ne sai mai più di quello che sapevi quando hai cominciato. Più mi faccio domande, dice, più amo.
«Il colore viola»: dopo quarant’anni ancora qualcosa da dire
A quarant’anni di distanza dalla sua pubblicazione, Il colore viola (acquista) ha ancora molto da dire. Alice Walker non solo riesce a darci una panoramica sociale di quella che era l’America di allora – adatta ancora a spiegare questioni irrisolte come il razzismo – ma è stata anche pioniera di un modo nuovo di raccontare il femminile, illustrando il cammino di crescita di una donna che riesce ad amare se stessa e a diventare libera contro ogni convenzione sociale, che riesce ad accettare se stessa anche grazie a un’idea di Dio molto all’avanguardia per quei tempi: un Dio senza sesso, che accoglie il proprio dolore e le proprie sensazioni, invitandoci a non avere timore di scoprire se stessi.
Vuoi dire che Dio è vanitoso?, chiedo.
No, fa lei. Non è vanitoso, vuole soltanto condividere le cose belle. Secondo me Dio s’incazza se passi davanti al colore viola in un campo qualunque e non ci fai caso.
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