Contro i capricci del tempo

«Come funziona la critica» di James Wood

9 minuti di lettura

È appurato ormai: James Wood è uno dei critici più stimati e acclamati al mondo. Nato a Durham, in Inghilterra, e trasferitosi negli Stati Uniti negli anni Novanta ha scritto per diverse testate, tra cui The Guardian, The New Yorker e The New Republic per poi diventare professore a Harvard.

In Come funziona la critica, Minimum Fax decide di proseguire con le pubblicazioni di Wood dopo il celeberrimo Come funzionano i romanzi, saggio sulla storia letteraria dal romanzo borghese alla crisi del realismo. In questa circostanza siamo certamente dinnanzi a un libro meno omogeneo del suo antecedente che però non perde minimamente il fascino che quest’autore – perché Wood non è solo un critico – è in grado di ingenerare nel lettore.

Vengono scelti sedici articoli, capaci di spaziare per autori e generi letterari, senza che la lettura o la coerenza ne risentano: dalla «Bibbia spagnola» che è il Don Chisciotte alla critica al cosiddetto realismo isterico – termine coniato dallo stesso Wood –, dalla disamina de Il bacio di Čechov al «doloroso dilemma di attaccamento e distacco» dei primi romanzi di Elena Ferrante. E in Come funziona la critica il suo autore ha capito come trasmettere la sua idea al lettore, perché:

La letteratura, come l’arte, si oppone ai capricci del tempo, ci fa vagare insonni nei corridoi dell’abitudine, si offre di salvare la vita delle cose dal regno dei morti.

L’arte della critica

James Wood non teme di criticare – a volte anche aspramente – le scelte stilistiche e contenutistiche di alcuni scrittori definiti immortali o comunque di autori contemporanei consacrati dalla critica come paladini della nuova prosa. Tuttavia, prima di cimentarsi in questo compito, Wood spiega come ha inteso e intende muoversi in questo terreno dissestato, scivoloso, che è la critica. Senza addentrarci nella concezione di una “lettura decostruttiva”, già nell’introduzione riassume la propria concezione, riprendendo gli insegnamenti di Stephen Heath:

Semplificando, la decostruzione parte dal presupposto che i testi letterari, così come le persone, hanno un subconscio che spesso li tradisce: dicono una cosa ma ne intendono un’altra. […] Anziché accettare l’autovalutazione fornita da un individuo, impariamo a leggerla ribaltandola celatamente su se stessa.

Senza però perdere mai il senso di un altro insegnamento, quello di Roger Fry, emblematicamente riportato nella biografia a lui dedicata da Virginia Woolf. Roger Fry era un noto curatore e critico d’arte, capace grazie a un’immensa sensibilità d’animo a porsi in maniera onesta e appassionata verso le più alte forme d’arte. Un trasporto e un fervore tale da ricordare anche le letture di poesie di Avraham Ben Yitzhak, come immortalato da Lea Goldberg. Wood esemplifica il compito della critica in quattro passaggi:

La critica come creazione appassionata […]; la critica come umiltà, dove la mente mette in pausa la “comprensione” […]; la critica come semplicità e quasi-silenzio […]; la critica come equivaleza di visioni e ri-descrizione.

Con la precisazione, tuttavia, che tutto deve essere illustrato sì con coscienza accademica, ma comunque con un intento giornalistico, più immediato, capace di poter conquistare e muovere la curiosità di tutti i lettori in quanto tali, non solo i tecnici del linguaggio.

Perché d’altronde leggere Čechov, ad esempio, è un piacere per tutti e quando Wood scrive che per l’autore de La steppa «la “vita” [è] come una timida, opaca complicazione, non come un processo risolutivo», certamente riesce a porre interrogativi, domande che non sempre hanno risposta, ma spingono almeno alla formulazione di esse.

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Verso il racconto

Sarebbe riduttivo, dunque, paragonare James Wood a un semplice critico. Come funziona la critica è un insieme di saggi che a volte, addirittura, ammiccano al racconto. Con gli interventi su W.G. Sebald, Jenny Erpenbeck o – inaspettatamente – Keith Moon, riesce a disseminare la propria esperienza, parlando anche diffusamente di se stesso, per poi addentrarsi nell’opera. In questo senso basta riprendere l’articolo del 2014 Il non ritorno, in cui partendo dalla sua esperienza di esule, tenta di ripercorrere le varie opere che hanno trattato il tema in maniera non tanto in quanto utile, ma necessaria:

Pertanto, qualunque sia la condizione di cui sto parlando, questo “non ritorno a casa” non è tragico, e forse c’è perfino un che di ridicolo nei lamenti di chi è nato privilegiato […]. Ma vorrei descrivere un certo tipo di perdita, la sensazione di qualcosa che svanisce.

Wood riesce ottimamente nel compito di accompagnare l’ascoltatore nei meandri della letteratura. Si pone l’obiettivo di semplificare quello che a volte – leggendo certe prefazioni, articoli – rimane incomprensibile. Proprio come Roger Fry che mostra incessantemente le sue dispositive senza per questo stancarsi né tantomeno annoiare lo spettatore. Non vi è timore nell’esporre le proprie idee, a costo anche di scalfire il “potere” che certi autori hanno esercitato sul sentimento comune. Non si tratta solo di una questione di gusti, ma per tornare alla domanda che fin dall’inizio Wood si pone è: «Qual è la posta in gioco [in questo libro]?»

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Ciò che è più vicino alla vita

Già in La cosa più vicina alla vita, Wood aveva analizzato nelle sue lezioni il confine tra vita e letteratura. E anche in Come funziona la critica (acquista) la tematica aleggia nello scorrere nelle pagine. Con questo libro il lettore riesce finalmente a empatizzare con lo scrittore, perché tramite le parole di Wood riesce a capirlo. E se lo scrittore non si conosce, allora è buona cosa recuperarlo. Ecco che questo volume diventa non solo un approfondimento, ma anche uno stimolo alla ricerca, al confronto.

Perché alcuni passaggi, come ad esempio la disamina sul misticismo in Virginia Woolf, non possono lasciare indifferenti:

Quando, nella vita reale, un amico ci chiede a cosa stiamo pensando, siamo soliti rispondere: «A niente». […] Tuttavia, il metodo di Woolf ci mostra che è impossibile non pensare a niente, che pensiamo sempre a qualcosa, anche quando il pensiero non è altro che il processo di dimenticare. La scrittrice permette ai suoi lettori non solo di leggere tutto questo, ma anche, quasi, di metterlo in scena. Si tratta di un processo pericoloso, e alcuni lettori lo considerano un labirinto di frivolezze. Eppure è reale e, indubbiamente, ci porta più vicini a ciò che Woolf chiamava “vita”.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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