Qualcosa di bello, nonostante tutto

«Cuore nero» di Silvia Avallone

16 minuti di lettura
«Cuore nero» di Silvia Avallone

A quasi quattro anni di distanza da Un’amicizia, lo scorso 23 gennaio Silvia Avallone è tornata in libreria – sempre per Rizzoli – con un nuovo romanzo: Cuore nero. Si tratta di un’opera in cui ritroviamo temi già presenti negli altri libri della scrittrice, ma che nasce da una sua esperienza potente e inedita: l’incontro con i giovanissimi detenuti dell’Istituto penale minorile maschile di Bologna.

«Cuore nero»: la trama

La storia comincia a Sassaia, un paesino di montagna ormai colpito dallo spopolamento, dove all’improvviso arriva una nuova abitante: Emilia. Ha trentun anni ma atteggiamenti ancora da adolescente, come se per lei il tempo si fosse congelato anni prima. L’arrivo di Emilia sconvolge la calma quotidianità di questo luogo dove si conoscono tutti, ma soprattutto quella di un uomo poco più grande di lei, Bruno, che è tornato nella natale Sassaia dopo aver studiato a Torino e lavora come maestro nella minuscola scuola elementare del paese.

Bruno ed Emilia sono due persone profondamente sole, che il destino fa incontrare e, contro ogni aspettativa, innamorare. E hanno alle spalle due storie in qualche modo speculari. Bruno, infatti, quando era ancora un ragazzino ha perso i genitori in un tragico incidente su una funivia – una vicenda in cui è impossibile non trovare un richiamo a quella, reale, della strage del Mottarone del 23 maggio 2021 – e non è mai riuscito a fare i conti con questo dolore, complice il fatto che anche lui e la sorella Valeria avrebbero dovuto essere su quella funivia se non fossero scesi in ultimo per un caso fortuito, salvandosi dalla morte. La storia di Emilia è ancora più buia: lei il male non lo ha subìto, ma lo ha compiuto a soli sedici anni, uccidendo una sua coetanea, Angela. All’inizio di Cuore nero vediamo Emilia tornare in libertà dopo avere scontato la sua pena, ma in fondo potrà mai dire di averla scontata davvero?

Una storia oscura di personaggi luminosi

Fin dal titolo Cuore nero si presenta come un romanzo oscuro, e lo è senz’altro per la pesantezza delle situazioni vissute dai protagonisti. Al tempo stesso, però, questo buio è controbilanciato dai numerosi personaggi secondari, che appaiono luminosissimi. Troviamo per esempio Riccardo, il padre di Emilia, che nonostante tutto le è sempre rimasto a fianco credendo fortemente che il carcere potesse essere per la figlia un’esperienza di rieducazione. Non la segue a Sassaia, ma lì Emilia trova, a sorpresa, un’altra figura paterna: Basilio, l’unico che capisce dal primo istante chi è lei ma sceglie di coinvolgerla nel restauro di una chiesa, convinto che il processo di rieducazione di un condannato che ha scontato la propria pena possa culminare solo nel suo pieno reinserimento nella società.

Impossibile dimenticare anche un altro personaggio che ricopre un ruolo importantissimo nella vita di Emilia: Marta, con una storia molto simile alla sua e che, dopo avere scontato la pena e conseguito la laurea in carcere, si è totalmente rifatta una vita e ha un lavoro prestigioso a Milano. Silvia Avallone ha scritto Cuore nero dopo l’incontro con i ragazzi detenuti in un istituto penale minorile, e dando vita ai personaggi di Marta ed Emilia ci mostra due donne che alla fine riescono – pur seguendo percorsi molto diversi – a redimersi dai propri errori. Vita e letteratura non sempre coincidono, ma ci piace pensare che Cuore nero possa ricordarci che tutti, perfino chi si è macchiato delle colpe più gravi, possono prima o poi riscattarsi e creare qualcosa di bello nella propria vita e in quella degli altri.

Il desiderio di riscatto non appartiene solo a Emilia, ma anche a Bruno, che da sempre sente che avrebbe preferito morire insieme ai genitori piuttosto che doversi districare in una vita mutilata. L’incontro con Emilia lo porterà a cercare di prendere in mano la propria esistenza e trovare il coraggio di perdonarsi per essere ancora vivo. Perché anche nella vita di chi è sopravvissuto a una strage per puro caso può esserci ancora bellezza:

Mi fermai sotto i piloni della funivia dismessa, arrestata per sempre dai sigilli del sequestro. […]
Schiusi le labbra e bisbigliai: «Vaffanculo».
Poi più forte: «Vaffanculo. Sono ancora vivo».
Grato di esserlo per la prima volta. […] Mi lasciai planare, correndo giù per il pendio dolce della montagna, a braccia aperte come l’undicenne che ero stato. […]
Mi rialzai che ero tutto bagnato, stupefatto. Come appena nato.
Mi ripulii alla bell’e meglio e risalii in fretta i prati verso il parcheggio: avevo qualcuno di cui occuparmi, adesso, che non era più il mio passato.

Una tematica spinosa

Dopo Un’amicizia, Silvia Avallone vira con coraggio verso una storia molto più difficile, scegliendo un tema di fondo forte e senz’altro divisivo: il ruolo del carcere come luogo di rieducazione. Lo ricorda l’articolo 27 della Costituzione italiana («le pene devono tendere alla rieducazione del condannato»), ma non è insolito – soprattutto davanti a quei delitti particolarmente efferati che scuotono l’opinione pubblica – che ci venga da pensare che per chi si macchia di certi reati bisognerebbe solo “buttare via la chiave“. È un pensiero che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo formulato d’istinto, e Avallone ci invita prima di tutto a non vergognarcene. Anche Bruno, quando sente la notizia di una bimba abbandonata a casa dalla madre e lasciata morire di stenti, commenta a caldo che per certe persone «ci vorrebbe la sedia elettrica». Subito dopo prova vergogna per questo pensiero venuto fuori “di pancia”, in realtà distante dalla sua vera indole.

Leggi anche:
Il dolore si trasmette di generazione in generazione

Pensieri d’istinto ne abbiamo formulati tutti, e nascondersi non serve a niente. Bisogna però tenere sempre a mente che, per la loro delicatezza, molte situazioni esigono un approccio a mente più fredda. Dati alla mano, la funzione rieducativa del carcere si rivela non solo essenziale in uno Stato di diritto, ma anche determinante per evitare che il detenuto commetta in futuro reati simili, se non più gravi. E questo è particolarmente vero negli istituti penali minorili, in cui molto spesso finiscono ragazze e ragazzi che fin dall’infanzia hanno vissuto in ambienti impregnati di criminalità e che per questo hanno ancora più bisogno di poter accedere a una reale alternativa.

In Cuore nero Silvia Avallone fa una scelta coraggiosa, prendendo come protagonista una donna che in gioventù si è macchiata di un crimine gravissimo. L’omicidio – che certo non qualifica l’intera esistenza di Emilia, ma ne rappresenterà per sempre una componente importante – ci viene narrato dal punto di vista di chi l’ha commesso e non dei cari della vittima, in una prospettiva inedita rispetto a quella a cui siamo abituati. Per quanto dolorose siano state l’infanzia e l’adolescenza di Emilia, l’autrice non la assolve, né giustifica il suo gesto; ci racconta semplicemente il lungo e travagliato percorso di una persona che pian piano prende consapevolezza dell’irreparabilità di ciò che ha fatto e impara che può ancora, nonostante tutto, costruire qualcosa di bello. Perché – di questo Silvia Avallone è convinta – il male esiste a livello potenziale in tutti noi, nessuno escluso. Così come il bene. Sta a noi prenderci cura del bene che c’è in noi e nelle persone che amiamo, per evitare che il male prenda il sopravvento.

Eravamo due esseri umani. Quello che lei aveva compiuto, avrei potuto compierlo io, era una possibilità che tutti avevamo nel corpo e in quello che c’era dentro: l’anima? L’abisso?
[…] Di colpo mi accorsi di quanto tutto, tutto il bene contenuto in noi e nella materia, fosse precario e meraviglioso, degno di cura a qualsiasi costo.
Allora cos’era, il male?
Il non saper perdonare.

Temi trasversali nell’opera di Silvia Avallone

In Cuore nero ritroviamo diversi temi presenti in tutte le opere di Silvia Avallone, fin dai tempi del suo esordio Acciaio (vincitore del Premio Campiello Opera Prima nel 2010 e finalista al Premio Strega nello stesso anno), primo fra tutti quello dell’adolescenza. In un passaggio di Cuore nero, Emilia riflette sull’influenza enorme che – nel bene o nel male – l’adolescenza avrà per sempre sul mondo interiore di un adulto. La centralità di quella che forse è l’età più delicata e complessa per una persona emergeva già in romanzi come Acciaio, Da dove la vita è perfetta (2017), Un’amicizia.

Leggi anche:
Frammenti di un’esistenza

E in quasi tutti questi libri imperniati sull’adolescenza troviamo un tratto in comune, che molti di noi abbiamo vissuto: un legame di amicizia viscerale ma al tempo stesso ambiguo, in cui il confine tra amore e odio sembra farsi labile. Era così per Anna e Francesca di Acciaio o per Elisa e Beatrice di Un’amicizia, lo è anche per Emilia e Angela di Cuore nero. Emilia, isolata da tutti, vede in Angela la sua unica amica, ma il rapporto con lei è tutt’altro che cristallino. Angela, infatti, ha nei suoi confronti atteggiamenti profondamente diversi quando sono sole o quando sono davanti agli altri; sembra a suo modo apprezzare la presenza di Emilia, ma come molti ragazzi della sua età teme il giudizio altrui e si vergogna a farsi vedere in pubblico con la “sfigata della classe”. La situazione corrode giorno dopo giorno Emilia – che esternamente non si ribella alla sua condizione di vittima, quasi accettandola come uno status quo inconfutabile –, fino a farle maturare una decisione impensabile per lei e per chiunque la circondi: punire Angela, dopo l’ennesima umiliazione, in modo estremo e irreversibile. Per un attimo qualcosa dentro di lei si inceppa e cambia l’intero corso della sua esistenza.

L’altro grande tema da sempre presente nelle opere di Silvia Avallone è quello della provincia, che in un certo senso qui ritorna “all’ennesima potenza”, considerando che Sassaia è un comune isolato, di pochissime anime. La provincia – dove tutti conoscono tutti e ciò che devia dall’ordinario è guardato con sospetto – risulta spesso più opprimente rispetto alla città, ma per l’autrice non è connotata solo in negativo, anzi. Già in Marina Bellezza (2013) ci aveva mostrato la scelta controcorrente dei due protagonisti, Marina e Andrea, di tornare in un contesto provinciale, scegliendo ritmi più calmi e una vita a contatto con la natura. La provincia allora non è solo oppressione, ma anche un luogo dove forse la vita è più autentica; senz’altro, è quello che consente a Bruno ed Emilia di provare a ripararsi a vicenda.

L’amore può essere solo disubbidienza

C’è un’idea particolarmente cara a Silvia Avallone, che già compariva in Un’amicizia: quella della disubbidienza alle aspettative altrui, lì chiamata tradimento. Nel penultimo romanzo, parlando del passaggio dall’adolescenza all’età adulta l’autrice affermava che a un certo punto era necessario tradire gli altri per diventare chi dovevamo essere. Lo stesso concetto ricompare anche in Cuore nero, ma ora rivolto verso le relazioni con gli altri: amare qualcuno può significare trovare il coraggio di disubbidire non solo ai giudizi altrui, ma perfino a ciò che appare logico e razionale.

Ci scambiammo un rapido sguardo luccicante prima di entrare, poi, come se ci conoscessimo a stento, come se non avessimo trascorso insieme ogni singola notte degli ultimi dieci giorni, sgusciammo nella porticina laterale, finendo tra le pieghe di una spessa tenda di velluto, dove feci in tempo a rubarle un bacio, in spregio alle malelingue, ai bacchettoni, a chi crede di avere la verità in tasca.
L’amore può essere solo disubbidienza.

Consigliamo Cuore nero (acquista) a chi è convinto che amare significhi disubbidire e che il confine tra il bene e il male non sia poi così netto. A chi cerca una storia potente, con personaggi indimenticabili, a cui ripensare anche per diversi giorni dopo aver letto l’ultima pagina. A chi non ha paura di guardare nell’abisso – proprio e altrui – ma, al contrario, la vede come l’unica strada attraverso cui passare per trovare finalmente un equilibrio. D’altronde, anche Dante dovette attraversare tutto l’Inferno per uscire a riveder le stelle.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

2 Comments

  1. Sono francese maie mi’ e piaciuto molto questo libro per céder alla possibilita per tutti di rkdemersi a tutti i livelli nella vita E di trovare la bellezza e per Emi’ia il suo desiderio di lascia re tutto per andare a Sassaka dove porta in contrarié dei salvatori

  2. Lo studio della colpavolezza è analizzata molto bene ma c è anche sempre una speranza anche in carcere di trovare un amicizia che aiutera a trovare una salvatezza

Lascia un commento

Your email address will not be published.