Nel nostro immaginario la Luna rappresenta un osservatore sempre attento e suggestivo di momenti cruciali, malinconici, altre volte anche insignificanti. Il satellite ha da sempre affascinato gli uomini, ma gli artisti in modo particolare. Interessante specchio di tristezza, di speranza e nuova luce nella notte, ma anche inquietante elemento naturale legato al mito.
È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.
Otello, William Shakespeare
I poeti parlano con la Luna, come il Gringoire di Notre Dame De Paris di Victor Hugo, il cui dialogo con la Luna è stato messo in musica da Riccardo Cocciante nella sua opera popolare. Gli scrittori raccontano di come la Luna possa influenzare il nostro stato d’animo. Anche nella musica la Luna è sempre presente. Esempio più noto musicalmente la sonata per pianoforte n. 14 in Do diesis minore, che tutti ricordano come Sonata al chiaro di luna di Ludwig van Beethoven.
Impensabile fare una carrellata completa di tutte le citazioni che la riguardano in letteratura, tuttavia è interessante rispolverarne alcune.
La Luna, interlocutore preferito di Giacomo Leopardi
L’allocuzione più famosa della storia della letteratura rivolta alla Luna è quella del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi. Ma questo poeta ha già dedicato al satellite una poesia, si chiama Alla luna e tratta del ricordo. Il titolo è originale è infatti La ricordanza.
In Alla luna Leopardi non cerca solamente un dialogo con la Luna, ma una sorta di empatia da parte di un elemento naturale personificato. Il dolore, tematica spesso affrontata dal poeta, in questa fase del suo pensiero non è causato dalla natura in quanto matrigna, ma come una madre benevola l’autore la ricerca, come portatrice di comprensione e rifugio.
O graziosa luna, io mi rammento
Alla luna, Giacomo Leopardi
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Simile alla celeberrima L’infinito, Alla luna riprende la tematica della familiarità del luoghi. Così come il colle è sempre caro, anche qui è una presenza costante, qui cercata come positiva. Leopardi si rammenta, come Silvia rimembra, introducendo la sua angoscia sullo sfondo del notturno, come è notturno il canto del pastore. Della Luna Leopardi evidenzia caratteristiche femminee: esordisce chiamandola “graziosa”, ma anche “diletta”.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
La ricordanza, il ricordo, ha valore consolatorio da un dolore che permane nell’animo di chi parla e che, osservato dalla Luna, cerca in lei aiuto e comprensione.
Leggi anche:
Sarajevo amore mio: la guerra dei bambini
Le poesie leopardiane sulla Luna
Leopardi torna a parlare di e con il suo amato satellite anche in La sera del dì di festa, dove la caducità della vita ha come cornice un’atmosfera bucolica e naturale di cui la Luna fa parte, e in Ultimo canto di Saffo, dove ritroviamo il concetto di suicidio titanico; ma fin dall’incipit è presente la Luna, in Tramonto della luna.
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
La sera del dì di festa
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
Placida notte, e verecondoraggio
Ultimo canto di Saffo
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Più famoso è però il già citato Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Su una rivista, Leopardi legge un articolo esotico sui canti malinconici dei pastori asiatici. Così decide di usare un pastore dell’Asia come alter ego della poesia che possa esprimere la sua dolorosa poetica, la sofferenza nel dubbio e nell’ansia di una vita incomprensibile e senza senso. In questo modo, Leopardi universalizza il dolore che prova: tutti gli uomini soffrono, a causa di una natura che stavolta è maligna.
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Il pastore rappresenta una saggezza superiore in quanto data da una vita errante e quindi primitiva, e Leopardi ritiene che i tempi “antichi” siano superiori ai moderni, in cui il progresso è solo un’illusione. Ogni strofa è dedicata a un tema diverso, parla di un gregge, di un vecchio, di un neonato, e fin dalla prima stanza si rivolge alla luna ponendole delle domande.
Sorge in sul primo albore;
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi?dimmi:ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
Simbolo di natura e mito in Leopardi e Pavese
Per quanto musicale, sul piano dello stile il notturno si avvicina alla prosa, ricorda le Operette morali per la natura dialogica, come nel Dialogo della Natura e di un Islandese, in cui la natura ha, come qui non solo attraverso la Luna, la colpa di aver lasciato l’uomo al mondo a soffrire in quanto tale sofferenza corrisponde a far mantenere tale il ciclo vitale: la vita chiama la morte, in quanto tutto ciò che esiste è dato da un continuo alternarsi senza scopo di creazione e distruzione.
La Luna così, essendo l’emblema della natura nel canto notturno non può di certo comprendere il poeta o rispondere alle domande del pastore: tace e rimane indifferente. La contrapposizione tra lei e il pastore è evidente fin dalla prima strofa, in quanto essa è simbolo di fermezza, staticità e immortalità, mentre l’essere umano che soffre è lontano da lei da ogni punto di vista. Rimane per questo come una sorta di divinità irraggiungibile. Forse, in qualche modo, essa è consapevole di ciò, ma non se ne cura in quanto le domande filosofiche del pastore non la toccano minimamente. La conclusione del componimento è chiaramente pessimistica.
Leggi anche:
Chi sono i dodici semifinalisti del premio Strega 2023?
Su un terreno di pessimismo si muove anche Cesare Pavese quando scrive La luna e i falò. Quest’opera si lega molto all’idea di ricordanza leopardiana: Anguilla, il protagonista, vuole tornare nella sua terra d’origine per ritrovare se stesso, ma la nostalgia non sarà appagata perché lì trova solamente la guerra. Già dal titolo c’è un richiamo al mito, lente di ingrandimento per l’analisi antropologica secondo Pavese, in quanto si riferisce al ciclo delle stagioni. I falò sono quelli propiziatori per la rigenerazione delle campagne che Anguilla ricorda, ora sostituiti da quelli della guerra. La Luna scandisce la narrazione e rappresenta, come in Leopardi, il legame che ha l’uomo con la natura.
La luna, – disse Nuto, – bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano.
La luna e i falò
Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi di sua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se non adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all’oscuro, allora sarebbe lui l’ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza.
L’inquietante mito della Luna piena in libri e musica
Naturalmente, esiste un lato oscuro della luna, per citare un meraviglioso disco dei Pink Floyd. Anche già in The dark side of the moon la simbologia lunare è legata ad aspetti inquietanti e angoscianti dell’esistenza, essendo il riferimento al lato oscuro della Luna legato alla follia.
Del resto alla Luna la follia si lega sempre, nell’Otello ma prima ancora nel famoso momento in cui nell’Orlando furioso il senno di Orlando va a finire proprio sulla Luna, usata come simbolo di ciò che gli umani hanno perso dalla Terra. Pensiamo che in inglese si dice anche lunacy per indicare la pazzia. Nel capolavoro dei Pink Floyd il tema della follia ricorre anche a causa della malattia mentale di Syd Barrett che lo costrinse a lasciare la band. Attraverso la simbologia astronomica e naturale, anche qui la Luna è usata come grimaldello per esplorare la complessità dell’animo umano.
La Luna piena è poi naturalmente legata al mito del licantropo: lo ritroviamo nella letteratura più mainstream, in saghe per ragazzi, specie nel fantasy e nell’horror. Pensiamo al Professor Lupin di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban che è un lupo mannaro; ma prima ancora che in queste opere contemporanee ritroviamo un lupo mannaro anche nel Satyricon di Petronio.
Leviamo le chiappe verso il canto del gallo; c’era una luna che sembrava mezzogiorno. Arriviamo in mezzo a un cimitero: il mio uomo si mette a farla tra le tombe, io mi siedo canticchiando e mi metto a contare le lapidi. Poi mi volto verso il mio compare e vedo che quello è lì che si sveste e depone tutti gli abiti sul ciglio della strada. Mi sentivo il cuore in gola; stavo immobile come fossi morto. Quello allora si mise a pisciare tutto intorno ai vestiti e di colpo si trasformò in lupo.
Il racconto di Nicerote (Petr. Satyr. 61-62)
Alla Luna, con spesso legami anche ai lupi mannari, sono dedicate poi diverse canzoni di genere rock e metal soprattutto. In una canzone della band power metal finlandese Sonata Arctica dal titolo FullMoon, che è stata interpretata in maniera divisiva: secondo molti la Luna è metafora di tumulto interiore e crisi personale e la metafora del licantropo crea, in un’atmosfera inquietante con un testo introspettivo e cupo, un perfetto connubio con il genere musicale. Secondo altri la trasformazione in lupo mannaro va presa letteralmente. Sicuramente è uno dei tanti esempi di come la Luna si presti a definire nell’arte, sia essa letteratura o musica – ma anche nei dipinti, pensiamo a Van Gogh, le crisi interiori dell’umanità.