Chi era Emily Dickinson?
Le poesie più belle da una stanza chiusa. La solitaria poetessa delle api, Emily Dickinson, è un fucile carico. Nata il 10 dicembre 1830 ad Amherst, nel Massachusetts, in una famiglia borghese come tante, la sua vita comincia nel modo più normale possibile, è una fra le tante. Ma presto si capisce che Emily non è come le altre mille: è un’eversiva.
Pur in un’epoca di rinnovato fervore cristiano, a scuola – un collegio religioso femminile – si rifiuta di fare pubblica professione di fede. Non definirla sovversiva sarebbe peccato. Temendo che l’istruzione possa accendere ulteriormente l’animo ribelle della figlia, il padre di Emily Dickinson le fa interrompere gli studi al primo anno delle superiori. Continua però a regalarle dei libri, ma nella speranza che non li legga, come affermerà in seguito la stessa Dickinson.
Eppure, Emily legge. Divora le pagine. William Shakespeare, Emily Brontë e John Keats le fanno compagnia, le parlano nella sua solitudine. A venticinque anni capisce di voler riempire le righe di versi, si veste di bianco e si chiude in camera a scrivere; si avvolge in un bozzolo per diventare farfalla solo dopo la sua morte, avvenuta il 15 maggio 1886. Per trent’anni guarda lo scorrere delle stagioni dalla finestra della sua stanza. In fondo, ha tutto ciò che le serve.
Per iniziare: la poesia della natura
Emily Dickinson studia botanica all’Amherst Academy e a Mount Holyoke, è una poetessa di passioni e passatempi che invia mazzi di fiori alle persone amate e petali pressati agli amici di penna. Passeggia per campi e boschi e confessa: «L’unico comandamento al quale ho obbedito: “guardate i gigli”». Come nei Vangeli di Luca e Matteo. Emily Dickinson è la poetessa delle piccole cose, dei riflessi di luce che giocano con il pavimento insinuandosi dalla finestra, del ronzio delle api che risuona come musica nei pomeriggi estivi.
La Rosa non deve incolpare l’Ape —
Che cerca la felicità
Troppo spesso alla sua porta —
Ma istruire il Valletto di Vevey —
La signora “non è in casa” — a dire —
Alla gente — non di più!
Emily Dickinson racconta la natura non solo per come appare ai suoi occhi ma anche per come risuona dentro di lei. Lo fa con uno stile privo di regole, in cui i trattini spezzano le frasi, simulando il ritmo del respiro. La poesia si fa viva, pulsante, la carta respira e i versi parlano: è una personificazione dell’arte.
Natura è ciò che vediamo —
La collina — il meriggio —
Lo scoiattolo — l’eclissi — il calabrone —
Ma no — la natura è il cielo —
Natura è ciò che sentiamo —
L’uccellino — il mare —
Il tuono — il grillo —
Ma no — la natura è l’armonia —
Natura è ciò che conosciamo —
Ma non possiamo esprimere —
La nostra saggezza è impotente —
Di fronte alla sua semplicità
Per proseguire: la poesia della solitudine
Emily Dickinson scrive di ciò che la affascina e, allo stesso tempo, la spaventa: la solitudine. La abbraccia, scegliendo di ritirarsi nella propria stanza. È l’immaginazione il modo in cui si collega al mondo esterno, insieme alle lettere che scrive forsennatamente. «In un’esistenza di porcellana, uno sente il bisogno di assicurarsi che tutto vada per il meglio, per paura di inciampare nelle proprie speranze e ritrovarsi in un mucchio di vasellame in pezzi» scrive nella raccolta Lettere (1845-1886). Emily Dickinson ha una vita di passioni, amori che non si capisce se siano veri o letterari. La solitudine avvolge la sua stanza, impregna la carta e abbraccia il suo cuore.
Ciascuno il suo difficile ideale
deve raggiungere da sé
con l’eroismo solitario
di una vita silente
Nelle sue poesie, Emily Dickinson parla della morte e alla morte. La posizione della poetessa non è chiara, la voce un soffio, un ronzio.
Quando morii — udii una mosca ronzare —
il silenzio della stanza
era come il silenzio dell’aria —
fra folate di tempesta
In Poiché non potevo fermarmi per la Morte, l’autrice racconta di un viaggio verso l’eternità con una compagna silente, che non incute timore.
Poiché non potevo fermarmi per la Morte —
Lei gentilmente si fermò per me —
La Carrozza non portava che Noi Due —
E l’Immortalità —
Procedemmo lentamente — non aveva fretta
Ed io avevo messo via
Il mio lavoro e il mio tempo libero anche,
Per la Sua Cortesia
Al centro delle sue poesie vi è anche la scrittura stessa, l’impulso alla poesia che si traduce in impulso vitale. La poetessa diventa un’artigiana delle parole, le sfoglia, ammirandole una ad una per scegliere quella più adatta. L’ispirazione non basta, è necessario immergersi nella lingua, studiarla, per capire come usarla al meglio. Mentre scrive, parla, pensa o semplicemente vive, Emily Dickinson vede la parola a lungo cercata materializzarsi ai suoi occhi. Può quasi toccarla, accarezzare i suoi spigoli e le sue rotondità, per poi guardarla incastrarsi alla perfezione con quelle già presenti, dando forma alla poesia che aveva già dentro di sé.
Prendo te? disse il poeta
alla parola proposta.
Siediti fra i candidati
finché ne ho di più fini saggiati.
(…)
la porzione della visione
per cui la parola si era presentata
Non sino alla nomina
il cherubino è rivelato
Per concludere: Emily Dickinson raccontata dagli altri
Emily Dickinson è uno di quei volti della letteratura di cui si sa poco e, forse proprio per questo, affascina. Di recente, la serie tv di Apple Tv+ Dickinson ha portato sugli schermi una versione della poetessa diversa da quella che la critica per anni ha cercato di trasmettere. È venuta meno l’immagine della donna riservata e reclusa, che scriveva in gran segreto.
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Studi più recenti hanno, tra l’altro, suggerito che non si trattava affatto della vergine solitaria dipinta dal canone letterario. Emily Dickinson ha vissuto una vita silenziosamente trasgressiva evitando il matrimonio, rifiutando la religione organizzata e nutrendo sentimenti erotici per l’amata cognata. Quella portata in scena da Apple Tv+ è una Emily inaspettata, che non si discosta molto dalle millennial. Hailee Steinfeld incarna una ragazza ribelle e impertinente, appassionata, una Dickinson che potrebbe quasi abitare il nostro tempo.
È difficile non empatizzare anche con la Emily Dickinson raccontata da Lyndall Gordon in Come un fucile carico, una biografia avvolgente come un romanzo. L’autrice si addentra nelle stanza della famiglia Dickinson, svela il groviglio di passioni e le difficoltà. I versi della poetessa sono la colonna sonora della carta stampata, attraversano il libro e il lettore.
In copertina:
Artwork by Luigi Mallozzi
© Riproduzione riservata
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Una bella analisi, che coglie l’essenza di una personalità unica, controcorrente, dimenticata dalla società contemporanea tesa a un’iper socialità che simboleggia superficialità e promiscuità oltre che alterazione del valore ontologico umano e ancor più femminile. Emily ha lasciato qualcosa di incompiuto… è vero… la mancata realizzazione dell’amore unico e assoluto che attende ovunque sia la sua metà per congiungersi nella fusione di mente, anima e corpo.