A Richard Yates interessavano «solo storie di cuori umani in frantumi». Ritratti d’infelicità, disillusione, disappartenenza. Macerie di esistenze consumate dal fallimento.
Ha raccontato la tristezza della vita domestica e la solitudine urbana del suo tempo, tratteggiando con onestà, tra ironia e dramma, gli anni Cinquanta e Sessanta degli Stati Uniti. Disturbo della quiete pubblica è una delle sue storie, edita in Italia da Minimum Fax (2022), la prima casa editrice ad aver portato le sue opere nelle librerie italiane.
«Richard Yates non ha paura del buio»
Richard Yates è testardo, irascibile, sregolato, mosso da un’incontrastabile tendenza all’autodistruzione. Immerso in una perenne nuvola di tabacco e circondato dalle bottiglie di alcolici, vive un’esistenza segnata dalla miseria e dalla solitudine, accuratamente riflessa tra le pagine dei suoi libri.
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L’autore, come i suoi personaggi, sembra uscire da un quadro di Hopper: prende parte alla schiera degli sconfitti, uomini svuotati della loro individualità, in perenne lotta per la sopravvivenza.
Se la mia opera ha un tema portante, ho il sospetto che sia molto semplice: tutti gli esseri umani sono irrimediabilmente soli, ed è in questo che risiede la tragedia delle loro vite.
Yates rimane essenzialmente solo con la sua scrittura: gli Stati Uniti di quegli anni faticano a fare i conti con il proprio riflesso e non sono pronti ad identificarsi con quel tipo di sofferenza. I suoi romanzi non superano le 12.000 copie vendute e, dopo la sua morte, finiscono presto fuori catalogo. Solo di recente il silenzio editoriale delle sue opere è stato investito da un rinnovato interesse: i lettori contemporanei hanno riportato in vita queste storie di «imperfetta umanità» ancora dolorosamente attuali.
«Disturbo della quiete pubblica»: la trama
New York, 1960. John Wilder è un venditore di spazi pubblicitari per la rivista American Scientist. Una notte, di ritorno da Chicago, chiama la sua impeccabile moglie Janice, avvertendola che quella sera non tonerà né da lei né dal figlio Tommy: ha paura che potrebbe ucciderli, tutti e due. È giunto al suo punto di rottura. Soffocato dall’ordinaria realtà della middle class, in preda ad un violento esaurimento nervoso, si abbandona all’alcol in un bar di Manhattan da cui poi verrà trascinato direttamente nell’ospedale psichiatrico di Bellevue.
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Nella settimana che trascorre nel «Reparto Maschile Violenti», si avvicina ai derelitti: anime tormentate e solitarie, troppo lontane dalle convenzioni sociali. Questa nuova realtà riaccende in John la sua passata aspirazione di grandezza: vuole ancora diventare un regista e «fare dei film, dei bei film».
Sognatori calpestati
Animato da una speranza parassita, John ricomincia a inseguire quel sogno che era stato costretto a mettere da parte. Vittima del fascino Hollywoodiano, supportato dalla giovane entusiasta Pamela, si mette in cerca di produttori cinematografici che investano nel suo progetto. Eppure, la luccicante America degli anni Sessanta tradisce la sua promessa di successo: i perdenti non rimangono altro che sognatori calpestati.
Solo in quel momento Wilder si rese conto di cosa provava, e se ne andò in cucina a bere di nascosto un sorso del whisky che Janice teneva per gli ospiti. Provava simpatia per l’assassino e sentiva di capire il suo movente. Kennedy era troppo giovane, troppo ricco, troppo bello e troppo fortunato; era l’incarnazione dell’eleganza, dell’intelligenza e della finezza. Il suo assassino aveva parlato in nome della debolezza, delle tenebre nevrotiche, della battaglia senza speranza e delle passioni autodistruttive dell’ignoranza, e John Wilder comprendeva tutte queste forze anche troppo bene. Si sentiva quasi come se fosse stato lui a premere il grilletto, ed era sollevato di essere lì, tremante e in salvo nella propria cucina, a tremila chilometri di distanza.
Sprofondare il turbine della follia
«Disturbo della quiete pubblica» (acquista) è la brutale storia di un uomo accecato da un’illusione destinata a naufragare nella realtà caotica che lo circonda. La fragilità interiore del protagonista non può che trascinarlo, inesorabilmente, in un turbine di follia.
Tuttavia, John, come lo stesso Yates, «non ha paura del buio; non gli occorre il confortante tepore di un lumino da notte che brilla in un angolo»: anzi, riesce eccome a vedere nel buio. Non saranno certo le volontà del mondo ad appiattirlo e strapparlo dalla sua solitaria, folle, imperfetta, umana lotta per la sopravvivenza.
«John, non hai nessun progetto o… voglio dire… non hai mai pensato a quello che farai una volta uscito di qui?»
Lui sembrò perplesso, come se lei gli avesse posto un indovinello. «Uscire di qui?», disse.
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