Quasi trent’anni fa, lo scrittore greco-americano Jeffrey Eugenides debuttava con Le vergini suicide, noto soprattutto per la trasposizione cinematografica di Sofia Coppola. Raccontando la contemporaneità con il pathos della classicità, questo romanzo ritrae la provincia americana attraverso protagoniste femminili incapaci di essere indipendenti e padrone del proprio corpo. Sul finale, infatti, la voce narrante motiva il suicidio delle sorelle Lisbon definendolo «un puro e semplice rifiuto razionale di accettare il mondo così come era stato loro tramandato, con tutte le sue pecche».
Da quel momento in poi, Eugenides ha aperto la strada a un modo di narrare il mondo femminile diverso rispetto al solito. Ha, infatti, paventato la via a una narrazione della rabbia e della prigionia, spesso accompagnata dall’elemento weird. In questo senso basti pensare a Mónica Ojeda, ma anche a Dizz Tate e il suo esordio del 2007 Bestie (Neri Pozza, 2023), definito dall’autorevole «The Guardian» una reinterpretazione lynchana del romanzo di Eugenides.
La trama di «Bestie»
Falls Landing, Florida: una provincia americana fittizia, ma molto simile alla realtà. Un luogo fatiscente, con cantieri abbandonati, parchi divertimenti, centri commerciali e un lago scuro e immobile indifferente a ciò che accade nei dintorni. In questa cittadina californiana, una domanda si staglia «nel cielo basso e senza stelle» come un fulmine a ciel sereno: «Dov’è?». La comunità è di fatti sconvolta dalla scomparsa di Sammy Liu-Lou, figlia di un telepredicatore, oggetto dell’ossessione dell’intera comunità per via della sua relazione con Eddie, il ragazzo più bello della scuola.
A osservare il tutto, sei ragazze – o meglio, cinque ragazze e un ragazzo queer: Hazel, Britney, Leila, Isabel, Jody e Christian, eredi in un certo senso delle sorelle Lisbon, ma a differenza di queste, osservatrici di un’onda di distruzione che a poco a poco spazza l’innocenza dell’adolescenza da un lato, e mette in luce la mediocrità e il bigottismo della provincia dall’altro.
Il confronto con le sorelle Lisbon e altri modelli
Nel confrontarsi con Bestie, la critica tira in ballo tre modelli letterari e non: Le vergini suicide, la narrativa di Mónica Ojeda (in particolare Mandibula, sebbene sia stato pubblicato dopo Bestie) e il cinema di David Lynch. Con quest’ultimo, Bestie ha in comune non solo una narrazione a tratti surreali e onirica e la presenza di personaggi femminili fragili, in conflitto fra innocenza e irrazionalità, ma anche il fatto di essere ambientato in una città di provincia immaginaria, una sorta di non luogo e di soglia weird fra il reale e l’inconscio.
Con gli altri due modelli, invece, ha in comune una narrazione totalmente femminile, incentrata sulla formazione e sul passaggio dall’innocenza all’età adulta, in netto contrasto con la grettezza e il bigottismo della provincia che accentua la rabbia delle protagoniste. A differenza dei modelli, la narrazione di Tate si svolge in prima persona. Questo perché, attraverso la narrazione, le protagoniste si ribellano alla comunità di Falls Landing proponendo una contronarrazione che ne mette in luce le ipocrisie, facendo sì che, come le Parche della mitologia classica, le sei protagoniste di Tate diventino artefici e giudici del destino di un’intera comunità, e allo stesso tempo siano indipendenti da quest’ultima, rivendicando così il proprio corpo e le proprie idee:
Sentivamo le nostre storie colpirci con una certezza rapida e potente, sentivamo che quelle che raccontavamo non erano solo storie, ma creature concrete e pericolose.
La mediocrità di Falls Landing
Per comprendere il tipo di narrazione scelto da Tate, ci si concentrerà ora sulla descrizione della comunità di Falls Landing. L’autrice ci descrive questa comunità mettendo in evidenza come cerchi di nascondere la propria decadenza attraverso le apparenze. Coloro che mettono in atto questo meccanismo di rimozione sono le donne della comunità. Le donne sono viste attraverso gli occhi delle protagoniste come «fatte per stare in chiesa», persone che «indossano maglie a colori pastello e le gonne-pantalone corte», che mettono in piedi storie per spaventare i propri figli e inibire ogni pulsione sessuale o emozione, e che allo stesso tempo cercano di sviare la loro attenzione attraverso frivolezze come i talent show organizzati nel centro commerciale.
In questa operazione di rimozione sono coinvolte le protagoniste stesse, bollate come bestie, in quanto sono le uniche a sfidare la paura e le pecche della società, a non sottostare al silenzio imposto da una comunità che vuole avere il controllo sulla maturità dei propri figli, impedendo loro di confrontarsi con tutto quello che ha a che fare con la vita vera, come il sesso, il corpo e la paura:
Ci hanno dato delle bestie quando ci siamo stancate di sentirci dare delle bestie e allora abbiamo raccolto delle vespe morte con i pungiglioni ancora attaccati e gliele abbiamo messe nei portamonete e nelle Crocs che usavano al lavoro. «Bestie! Ma come si può essere delle bestie del genere?» Hanno pianto. Abbiamo pianto anche noi, perché sentivamo che stavano dicendo che eravamo sbagliate. Ci siamo sentite schifose e come se fossimo state i nostri padri e spaventate da noi stesse. Abbiamo cercato di farci piccole. Ci siamo raggomitolate, ma non spezzate. E sapevamo che l’idea di bontà delle nostre madri non si misurava in termini morali, ma a seconda di quanto rumore facevamo. E ci siamo stancate in fretta di cercare di essere buone a modo loro.
Bestie fuori controllo
Qui, allora, si percepisce l’eco della metafora della mandibola usata da Ojeda, strumento di repressione delle madri che inibiscono la crescita delle figlie, che «possono mordere da dentro, scivolare lungo la gola fino allo stomaco: disnascere». Come le protagoniste di Mandibula, anche le ragazze di Bestie “disnascono”, ovvero distruggono tutti i meccanismi della paura e del silenzio imposti dalla comunità di Falls Landing per accogliere la paura stessa e le proprie pulsioni.
Proviamo tutti questi sentimenti insieme, nello stesso momento, una verità banale, il fatto che le persone non riescano mai a dirsi quello che intendono davvero, che le parole non verranno mai a salvarci nel momento o nel modo giusto, e che il tempo è solo una forza che ci spinge verso il prossimo errore.
Quello che fanno le ragazze è narrare ciò che si cela dietro i silenzi, i cancelli e le mura bianche delle case. Affascinate «più dall’orrore che dalla bellezza», le ragazze si impossessano delle storie di paura, come quella del corpo di una bambina sepolta nel giardino oppure quelle legate al lago e alla scomparsa di chi vi si tuffa, e della scomparsa di Sammy per abbattere le pareti di presunta purezza di Falls Landing e svelare la verità dietro alle bugie: una verità fatta di abusi, ma anche di stigmatizzazione sociale verso delle adolescenti che vogliono soltanto crescere, avviarsi all’età adulta e rivendicare il possesso del proprio corpo e delle proprie pulsioni. Sintetizzando, le ragazze di Falls Landing vogliono diventare come la Persefone di Louise Glück: «La ragazza che scompare dal lago [che] non ritornerà mai. [Che] Ritornerà una donna, cercando la ragazza che era».
Contronarrazione bestiale
Come cantava Anohni and the Johnson in Cripple and the Starfish, «And it’s true I always wanted love to be filled with pain and bruises»: «È vero che ho sempre voluto un amore pieno di dolore e lividi». Così si potrebbe riassumere Bestie di Dizz Tate (acquista): una storia di sei ragazze in una provincia americana immaginaria che, come un coro della tragedia greca, raccontano da un punto d’osservazione distante storie di ipocrisia generate dalle mura bianche di Falls Landing, storie che fanno propria la paura per abbattere queste mura e rivendicare un amore fatto di dolore e crescita, che non ha timore di accogliere la paura e la perdita di innocenza.
Ed eravamo potenti. Potevamo conservare quel momento alla perfezione, rese potenti da un segreto, un segreto che sembrava antico, come qualcosa di biblico o una storia di quelle che ci raccontavano le nostre madri per farci addormentare. La newsletter della scuola sembrava poca cosa, al confronto.