Quando si pensa alla lettura, alla scrittura e alla letteratura, viene in mente quello che Italo Calvino ci ha sempre insegnato: imbattersi in queste imprese è un po’ come imboccare dei sentieri all’apparenza sconosciuti, ma che in realtà ci portano tutti in luoghi che già conosciamo. Un po’ come l’Aleph borgesiano: le nostre menti sono punti in cui si incontrano infiniti mondi e infinite possibilità. La nostra memoria plasma e riforma quanto noi assimiliamo.
Che Borges e Calvino abbiano detto ciò è vero; che l’abbiano detto con queste stesse parole probabilmente no. Quando si assimila una lettura, si tende sempre a riformularne il contenuto, basta che resti impresso nella memoria e non cada nell’oblio. Questo è il punto di Domicilio sconosciuto (Utet, 2023), un ibrido saggistico-romanzesco che sancisce il ritorno in libreria di Luciano Funetta dopo i suoi romanzi weird – diventati di culto fra i lettori, ma difficilmente reperibili in libreria – Dalle rovine e Il grido.
La trama di «Domicilio sconosciuto»
Protagonista di questo saggio-romanzo è Guerra, uno scrittore che dopo due romanzi e una raccolta di racconti – più o meno come Luciano Funetta – sta per scrivere un nuovo libro. Quest’ultimo è un incarico che ha ricevuto all’hotel Ibsen da una figura enigmatica, il Direttore. Guerra deve scrivere un romanzo sulla letteratura dell’Istituto, una specie di Aleph borgesiano che racchiude in sé tutta la letteratura dell’America Latina.
Con l’aiuto di personaggi come Vega e l’Esule, il protagonista inizia a perdersi nei meandri della letteratura sudamericana. Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Julio Cortázar, Juan José Saer, Roberto Bolaño e Ricardo Piglia sono fra i tanti autori le cui letture Guerra ricorda e che lo porteranno a perdersi per poi ritrovare la via verso questo domicilio sconosciuto dal nome di letteratura sudamericana.
«Domicilio sconosciuto»: dal particolare all’universale
Luciano Funetta impiega in Domicilio sconosciuto un ibrido fra saggio e romanzo che ha dei precedenti in letteratura. Pensiamo, ad esempio, a libri un po’ più mainstream come Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder, ma anche a lavori un po’ più intellettuali come Eros il dolceamaro di Anne Carson oppure Acchiappafantasmi di Giordano Meacci. Questi tre esempi sono utili a far capire l’andamento dell’opera di Funetta, in quanto sono libri che partono da interessi di nicchia – la filosofia e il mondo antico, ad esempio – per sfociare in riflessioni di più ampio respiro.
Leggi anche:
«Gli anni invisibili» di quelli che oggi chiamiamo adulti
Funetta, dunque, parte dal suo interesse per la letteratura sudamericana per fare delle riflessioni che si estendono al rapporto fra scrittura, lettura e letteratura in generale. In Domicilio sconosciuto, l’autore pare seguire l’esempio di Bolaño, che in opere come Detective selvaggi e La letteratura nazista in America ha creato un alter-ego – Arturo Belaño – e degli scrittori immaginari per confrontarsi con il rapporto fra scrittura e letteratura.
Scrivere con le intromissioni
Fin dall’inizio, Guerra mette in guardia sui pericoli relativi alla scrittura del suo libro sull’Istituto. Partendo da Museo de la novela de la Eterna di Macedonio Fernández, il protagonista comprende come abbia a che fare con qualcosa di spettrale, che agisce a intermittenza e che nella mente lascia soltanto delle tracce impercettibili di ciò che resta. Scrivere diventa, quindi, «un itinerario crudele»:
Se la guardo da questa prospettiva, l’impresa di scrivere un libro sull’Istituto – questo è l’incarico che ho ricevuto dal Direttore – mi sembra possa implicare una certa dose di pericolo, un particolare tipo di rischio a cui sono stato proprio alcuni scrittori dell’Istituto a iniziarmi, ormai quasi vent’anni fa: la possibilità che le cose non vadano come prevediamo, anche se siamo noi a scrivere. Si suppone che chi scrive, nella totale arbitrarietà della propria mente e in pieno possesso delle proprie facoltà, sia al sicuro, ma non è così. La pagina di Macedonio ne è la dimostrazione. Visti i presupposti, non posso che arrendermi al fatto che scriverò un testo pieno di interferenze, di intromissioni. Questo sarà un libro disturbato. Che si senta pure libero di portarmi dove vuole.
Guerra continua le sue riflessioni affermando che per scrivere sia necessario «avere un buon orecchio interno e saper reggere lo sguardo davanti ai “morti che fluttuano sulle acque della storia”». Il protagonista deve guardare dentro se stesso, dentro ai ricordi delle sue letture, ma soprattutto dentro le cicatrici che gli hanno lasciato, gli incubi che gli hanno procurato. Ogni lettura che fa altro non è che un moltiplicarsi di voci che deve ascoltare e riportare sulla pagina.
Un moltiplicarsi di voci
La letteratura dell’Istituto è per Guerra «un sistema di specchi che invece di riflettere le immagini moltiplica le voci». Già l’Istituto in sé è secondo il protagonista qualcosa che nasce «da Piano d’evasione e L’invenzione di Morel, i due congegni in cui Bioy Casares ha indagato l’orrore della camera chiusa le cui pareti sono ricoperte di specchi», mentre L’invenzione di Morel riecheggia nel Morelli di Cortázar, in quella narrazione della soglia dove ogni porta apre a un mondo esterno. Dopotutto, lo stesso Cortázar scriveva in Rayuela che camminiamo senza cercarci, ma camminiamo per incontrarci: leggiamo senza cercare volontariamente nulla di ciò che conosciamo, perché leggiamo inconsciamente per incontrarlo e stabilirne un legame con ciò che ci è già noto.
La letteratura con cui si confronta Guerra «se ne va in giro con un registratore a catturare voci isolate», mentre in quanto lettore il protagonista «vive nel sogno dell’ultima pagina e spera che colui che scrive, e che condivide il suo sogno, abbia tutto sotto controllo e possa condurlo, se non sano e salvo, almeno vivo, dall’altra parte». La letteratura racchiude in sé, come afferma Guerra ricordando Cesar Vallejo, delle cicatrici invisibili, e compito dello scrittore sarebbe quello di mostrarle al lettore per permettergli di attraversare le soglie.
Assassini, rapitori e aguzzini letterari
In questo generarsi di voci e di specchi, Guerra percepisce come «il desiderio letterario possa generare assassini, rapitori e aguzzini», e come «il legame che la narrazione romanzesca ha con la morte è evidente: ogni atto di narrare è un’ostinazione a perpetrare la vita». Lettori e scrittori camminano di pari passo per combattere una lotta contro il tempo, che costringe la letteratura all’oblio. Lo scrittore lascia in quello che scrive delle cicatrici invisibili che il lettore deve guarire innestando in queste ferite tutto ciò che ha letto e assimilato. Lo scrittore non è altro che il gemello del lettore, in quanto quest’ultimo aiuta a prolungare la vita e il ricordo dell’opera letteraria oltre la morte e l’oblio.
Il narratore scrive fino a quando gli è possibile […]. “La mia anima non è passata, ancora, nell’immagine”, annota. Ciò che avviene nell’occhio cieco non può essere raggiunto dalla scrittura: il narratore deve arrendersi.
Leggi anche:
«Le cattive», un’autofiction politica
Guerra alla fine capisce che i testi del Direttore sono «indagini che non possono essere concluse e che il lettore è condannato a portare avanti senza esito». Sia lo scrittore che il lettore sono mossi, parafrasando Edwin Muir, da «ombre immaginarie di una paura stazionaria»: la paura della scomparsa totale è animata dall’ossessione per cose che di per sé sono fantasmi, ma a cui si cerca di dare una forma per prolungarne la vita. Se la letteratura si percepisce come mortale e lo scrittore non sempre riesce a raggiungere l’ignoto, il lettore resta colui che, anche se non riesce a risolvere il mistero dei fantasmi letterari, può paradossalmente prolungarne la vita colmando il vuoto con altri fantasmi, creando l’Aleph borgesiano che prolunga la vita della letteratura.
A tu per tu con i fantasmi della letteratura
Oltre a essere uno scrittore amato da tanti lettori, Luciano Funetta è anche curatore editoriale, libraio e soprattutto un lettore molto attento, e Domicilio sconosciuto (acquista) lo dimostra. Parafrasando Charles Perrault, Funetta – e con lui Guerra – ci vogliono far capire che la letteratura ci mostra che esistono i fantasmi e che si possono sconfiggere. Chi li deve sconfiggere sono lo scrittore e il lettore: lo scrittore mette in luce quanto si può far emergere dal buio; il lettore crea la vita innestando sogni su sogni, incubi su incubi, letture su letture.
La ragione per cui, di notte, Elvis canta nell’Istituto è che gli ospiti non riescono a dormire. Hanno perso il sonno, lo hanno perso molto tempo fa, così adesso vegliano. I loro occhi sono spalancati, le loro pagine, anche quelle che sembrano camminare sul ciglio del delirio, sono state scritte a occhi aperti. Ciò che vogliono è poter usare strumenti nuovi e tornare a confrontarsi con la realtà, ma la realtà è ormai irrimediabilmente borgesiana, con la differenza che ora, insieme ai libri, scompaiono gli umani.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!