Nelle narrazioni di cronaca nera, solitamente ci si concentra sempre sulle singole persone coinvolte, al massimo anche sulle loro famiglie. Quelli che sono sempre sottovalutati sono, invece, gli effetti che questi eventi hanno sui luoghi se non addirittura su intere comunità. Anche loro, difatti, sono costretti a portare con sé il peso della vergogna di essere sopravvissuti alle tragedie, e soprattutto il senso di colpa per non averle prevenute.
Due anni dopo la finale del Premio Strega con Borgo Sud, Donatella Di Pietrantonio torna in libreria con L’età fragile (Einaudi, 2023), che partendo da un fatto di cronaca nera realmente accaduto in Abruzzo negli anni Novanta si concentra sul silenzio e la vergogna che aleggia su una comunità montana abruzzese per focalizzarsi sull’importanza che hanno i luoghi nel confrontarsi con la memoria del passato.
Questo nuovo romanzo di Di Pietrantonio è semifinalista al Premio Strega 2024. Vittorio Lingiardi, l’Amico della Domenica che l’ha proposto, l’ha descritto usando le seguenti parole:
L’età fragile non è un’età della vita, è la vita stessa. La memoria che non può nascondere il dolore, la solitudine dopo la separazione, la colpa per la sopravvivenza. La vita dura come un sasso che Donatella Di Pietrantonio riesce a levigare con le mani sicure della sua scrittura.
La trama di «L’età fragile»
L’età fragile ha per protagonista Lucia, una fisioterapista separata dal marito Dario, che in pieno periodo pandemico si ritrova a dover riaccogliere la figlia Amanda, tornata da Milano diversa rispetto a prima: più cupa, più taciturna e molto probabilmente in fuga da una relazione morbosa e tossica che non rivelerà mai alla madre, ma che quest’ultima intuisce sulla base di alcune chiamate perse ricevute dalla figlia. La protagonista, inoltre, è alle prese con suo padre, un uomo burbero che manifesta affetto a modo suo. Ormai anziano, l’uomo vuole lasciare in eredità alla figlia il terreno ai piedi del Dente del Lupo, nel massiccio montuoso del Gran Sasso.
Il territorio ai piedi del Dente del Lupo, però, nasconde un fatto di cronaca nera accaduto vent’anni fa: un femminicidio, in cui – questa sarà l’unica anticipazione che si farà – hanno perso la vita le sorelle modenesi Tania e Virginia Vignati. L’unica sopravvissuta è Doralice, amica d’infanzia di Lucia, da allora emigrata in Canada e che vive con il peso dell’essere sopravvissuta.
Il terreno del padre di Lucia e di Osvaldo, padre di Doralice, interessa, però, a Gerì, proprietario di alberghi interessato a creare un luogo per il turismo esperienziale che rischia di spazzare via la memoria di quanto accaduto. A Lucia e alla comunità ai piedi del Dente del Lupo resta, dunque, la responsabilità di preservare la memoria e di tramandarla alle prossime generazioni.
L’ispirazione del Delitto del Morrone in «L’età fragile» e il legame con i precedenti romanzi di Di Pietrantonio
Il motivo per cui si è anticipato qualcosa della trama del romanzo è perché in realtà L’età fragile, come già è stato anticipato all’inizio dell’articolo, si ispira a un vero fatto di cronaca nera avvenuto più di vent’anni fa sulla Maiella che come spiega nei “Ringraziamenti” Di Pietrantonio ha rielaborato sotto forma di romanzo:
La prima idea di questo romanzo mi ha colta nel 2021, mentre viaggiavo verso Roma con Donato Cavicchia. Era una giornata limpida, le montagne coperte di neve. Ci siamo ricordati di un vecchio episodio di cronaca, avvenuto sulla Maiella. Quel ricordo confuso mi è rimasto addosso, non mi ha più lasciata. È diventato altro.
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Donatella Di Pietrantonio si è molto probabilmente ispirata al Delitto del Morrone, avvenuto il 20 agosto 1997 ai piedi del Monte Morrone, dove a perdere la vita sono state le giovani padovane Diana Olivetti e Tamara Gobbo, uccise con dei colpi di pistola, mentre l’unica a essere sopravvissuta è stata Silvia Olivetti. L’autrice originaria di Arsita rielabora questa vicenda nel momento in cui dà a Doralice il ruolo di Silvia Olivetti, mentre Diana Olivetti e Tamara Gobbo sono trasposte narrativamente come le sorelle Vignati, che da padovane diventano modenesi. L’interesse di Di Pietrantonio, però, non risiede tanto nelle motivazioni del crimine commesso, quanto sugli effetti che questo crimine ha avuto su Dente del Lupo e sulla sua comunità.
Quanto al romanzo in sé, sebbene sia diverso da L’arminuta e da Borgo sud, L’età fragile ha comunque dei punti in comune con quest’ultimi, in particolare sul tema del ritorno – da un lato il ritorno fisico di Amanda in Abruzzo, dall’altro il ritorno nella memoria a qualcosa che è stato rimosso –, il silenzio – ben espresso dalla prosa scarna e chirurgica di Di Pietrantonio –, il rapporto madre e figlia – meno conflittuale rispetto ai precedenti romanzi –, ma soprattutto il confronto con una comunità chiusa e incapace di confrontarsi con le ferite del passato.
La comunità ai piedi di Dente del Lupo
Fin dall’inizio, Lucia mette in luce il cambio drastico che ha subito il paesaggio della sua comunità. Questa epifania risulta evidente nel momento in cui la protagonista va con il padre e Amanda alla proprietà di Dente del Lupo e comprende che sono passati tanti anni dall’ultima volta che la figlia è stata alla proprietà con il nonno. Tutto ciò fa capire alla protagonista quanto il tempo sia passato velocemente e si sia portato con sé la memoria della tragedia delle sorelle Vignati:
Ormai nessuna molecola di quel sangue è nella terra, alle radici delle piante. Sono passati quasi trent’anni. Tutto è evaporato, trasformato, scomposto. Anche la natura dimentica. Ricresce su tragedie e disastri.
Il territorio ai piedi del Dente del Lupo subisce un cambio drastico nel momento in cui Gerí inizia a comprare i terreni confinanti a quello di Lucia e di Osvaldo per il suo progetto turistico. Dente del Lupo diventa da «luogo disprezzato, che da trent’anni porta iella» a un luogo che ha un futuro. Quello, però, che Gerí ha intenzione di creare per la comunità è un futuro che contribuisce ancora di più ad alimentare il silenzio attorno alla vicenda delle sorelle Vignati, e che al contempo cancella l’identità della sua comunità, nata per combattere quella stessa natura che la sfama:
La bellezza intorno a noi non ci riguardava. Non ammiravamo la natura, dovevamo combatterla. […] La natura che ci nutriva era la stessa che ci affamava. Quando uscivamo dalla valle non sapevamo come comportarci nel mondo.
La memoria dell’età fragile
Il progetto di Gerí è indice di come «la gente si è di nuovo addormentata, nella valle. Non ha dimenticato, è solo rimasta in silenzio». Questo silenzio, però, non fa altro che contribuire a cancellare un pezzo di storia che, seppur carica di vergogna, ha contribuito a forgiare l’identità del Dente del Lupo e della sua comunità:
Al paese mi aspettavo tutto un parlare. Non è stato così. Ognuno ha saputo ed è rimasto zitto. Abbiamo perso di colpo un senso di importanza che il clamore intorno al processo ci aveva dato. Quel nome, il Dente del Lupo, per sempre associato al delitto. La vergogna è scesa su di noi.
Quando la Sceriffa, la madre di Doralice, osservando i telegiornali e le proteste per la tutela dell’ambiente dice che Dente del Lupo è «un luogo da lasciare in pace», non lo dice tanto per l’ambiente, quanto perché la sua comunità esiste in funzione del delitto e della vergogna che è caduta su di essa. È stata in quella notte di agosto che Lucia e tutti gli altri sono cresciuti in una sola notte, ed è lì che hanno capito che nemmeno i luoghi possono proteggerci dal Male.
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Preservare il Dente del Lupo e la memoria del delitto delle sorelle Vignati diventa importante perché, anche se le tracce di sangue sul terreno evaporano, la vergogna e le ferite restano impresse nella nostra memoria. I luoghi possono cambiare, ma proprio nel cambiamento ci ricordano che non possiamo scappare dal passato, che con i suoi artigli si aggrappa al presente. È per questo, allora, che Lucia pensa sia arrivato il momento di raccontare la storia del delitto ad Amanda, perché narrare il trauma è l’unica cosa che resta per espiare il senso di colpa per essere sopravvissuti e per ammettere la propria responsabilità nel trauma collettivo.
Ritornare in un silenzio lungo vent’anni
Si può azzardare a dire che L’età fragile (acquista) è finora il romanzo più politico e sociale di Donatella Di Pietrantonio: un romanzo che ci racconta la difficoltà di una comunità di superare il trauma collettivo, che ha paura di riconoscere la sua responsabilità e che fa di tutto per nascondere il proprio dolore. Dal passato, però, non si può mai fuggire, anzi, si è sempre costretti a tornare, in quanto i nostri luoghi, anche se cambiano, depositano la memoria del passato. Se, dunque, non si può distruggere un luogo e fuggire dalla sua memoria, l’unica cosa che resta per espiare le proprie colpe è raccontare il trauma, rompere la cortina di silenzio per redimere le vittime del passato e per liberare i sopravvissuti dalla vergogna.
Doralice era giustificata. E io? A me non era successo niente. Ero stata colpita, come tutti, ma non di persona. E la mia amica era sopravvissuta. Eppure avevo perso la forza, i nervi si erano spezzati, azzerata la volontà.
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La vera protagonista è Lucia. La sua fragilità è legata al suo lasciarsi vivere, al suo non essere presente a se stessa e alla propria vita. Tramite il dolore nel rapporto con la figlia riesce ad iniziare un percorso di maggiore consapevolezza e anche di scelte.
L’età fragile è di Lucia, Doralice e Amanda. Nella vita sembra che Lucia e Doralice abbiano superato il trauma ma in loro c’è e si sente sempre l’ansia e sensi di colpa. Amanda rispecchia il mondo di oggi fatto di insensibilità nei confronti di chi ha subito una violenza.