«È tempo che la pietra accetti di fiorire»

«Al di qua di noi» di Paolo Pistoletti

8 minuti di lettura

Nell’immergersi nella lettura di Al di qua di noi di Paolo Pistoletti (Arcipelago Itaca Edizioni, 2023), il lettore deve immaginare di percorrere un sentiero in salita, così da cadenzare ogni passo con la speranza di affondare il più possibile il proprio scarpone nella terra friabile – d’altronde chi ha mai detto che il percorso verso la comprensione poetica è semplice, immediato? Durante l’avanzata i sassi – minuscoli macigni – scivolano per il declivio.

Il peso spesso sbilancia il corpo in avanti e le mani screpolate impediscono – ancora una volta – di cadere. È lunga la salita, ma spesso l’ombra dei noccioli dà un leggero ristoro. Tuttavia, il sudore rischia – più di una volta – di annebbiare la vista. Come recita Pistoletti:

Tanto
ci ritroveremo spaesati
anche se eravamo di qua
nei nostri dintorni le case
viste nel lungo tempo e da molto lontano
come in una sfera confusa.

Così in cima al colle rimane un campo e una casupola curata nella sua orgogliosa solitudine. Sembra essersi fatta da sé, eppure ci sono voluti anni per costruirla. A guardarla attentamente i materiali impiegati sono innumerevoli. Quell’oasi fuori dal tempo parla nella sua austera presenza, quasi da risultare un ospite eccentrico in mezzo alla natura. Quella visione permette al lettore di apprezzare il percorso, propedeutico a quel traguardo.

Questa è la poesia di Paolo Pistoletti – per citare Cees Nooteboom: uno «smagliante paesaggio / di prima e di dopo, / di radioso tempo / senza presente». La consapevolezza, in sintesi, di vivere con e grazie al rigoglio e alla dissoluzione della vita senza volerla per nulla profanare con le parole, bensì asservirla.

«Quasi a riconoscersi»

Al di qua di noi di Paolo Pistoletti è un libro di memorie in forma poetica. Un’autobiografia che, però, gradualmente dissolve i suoi connotati nel continuo intrecciarsi di soggetti. L’io lirico si affaccia sulla sillaba finale del verso per poi scivolare con un enjambement in un noi tanto collettivo quanto intimo:

in quel dolore che ci risaliamo
ogni volta tornanti
già percorsi da altri io
quasi a riconoscersi. Ogni volta
dai nostri sguardi come da ogni
fine di noi.

Un’oggettiva adesione di sentimenti e intenti, dove Pistoletti ricerca un’empatia se non perduta – almeno a tratti – dimenticata oppure data, colpevolmente, per certa: «[…] ricordati di chi / sta da qui / dentro questa / strana presenza, che noi / ti siamo.»

Un’immersione nell’Appenino umbro-marchigiano che, come un diamante grezzo, dimostra tutta la sua lucentezza nell’opaco perseverare dei giorni. La memoria alterna i piani temporali («[…] distanti / una frazione di secondo / se solo ci pensi. / Appena millenni.») e il ricordo rimane un’impressione – se non vissuta – almeno sentita profondamente. La parola nella sua inutilità diventa utile per spiegare l’insondabile:

Da dove siamo tornati non so
se ti ho
conosciuto da sempre
ogni volta che ti ritrovo dove non sei
la cenere
cade dal legno
come la memoria della neve.

Leggi anche:
Taras Shevchenko: Ucraina, poesia, libertà

«Come da altre vite»

Come precisa Fabio Franzin nella prefazione, Al di qua di noi è «come un ritorno dentro la fragilità che ognuno di noi cerca di nascondere agli altri, perché la realtà ci impone di essere forti, […] anche se poi siamo tutti soli e incerti.» Pistoletti ripercorre il suo viaggio a ritroso nella vita tramite gli affetti famigliari che di per sé si contraddistinguono con particolari spiccatamente personali, riconoscibili, eppure capaci nella propria umiltà a innalzarsi a prototipi tanto da omaggiare la poesia di Mario Benedetti – ideale nume tutelare della raccolta.

Certi versi di Tersa morte («per sempre dentro una vita che per potere essere / vissuta deve sembrare una vita per sempre, mentre eri / della carne, quello che io sono uno per sempre ancora») sembrano aver profondamente colpito e ispirato Pistoletti:

Ma capita di risvegliarsi a volte, esattamente da qui
– da un volo dentro un sogno tra gli astri
una stella che brilla dal nero corvino della pupilla –
proprio da questo sudore freddo, come da un ricordo.
Di essere stato accompagnato anch’io
come da altre vite.

Al di qua di noi segue un percorso coerente, lungo un binario di un tragitto delineato nel corso di una vita. Il treno – come a richiamare il nonno capostazione – diventa un leitmotiv della raccolta. Un incessante movimento, un continuo divenire, che però diventa a tratti improvvisamente statico. Come se un guasto in aperta campagna, una sosta non programmata, obblighino l’autore a ragionare sulla vita, sul senso dell’esistere:

Lo so che è spaventoso
ma rispetto a te io sono qui
io sono qui.
Mentre manco a dirlo
è autunno per sempre.
Mentre manco a dirlo
è come al solito
che tu farai un altro giro
da qualche parte a rimettere l’ora
che non ci sei.

Leggi anche:
La poesia in prosa di Russell Edson

«Dall’altra parte di noi»

Tuttavia i ricordi sopravvivono – o a seconda dei casi, sottratti – dall’oblio. Al di qua di noi (acquista) è un precipizio obbligatorio, dove bisogna necessariamente confrontarsi. È il tentativo lodevole di lasciarsi andare, di non adottare una posizione e di cercare di approfondire un argomento solo tramite se stessi. Dove l’io non diventa egoismo, ma comunione con l’altro.

Pistoletti delinea una Via solo per trasgredirla. La casa che abbiamo potuto ammirare sulla sommità del colle è stata costruita solo per diventare parte integrante del paesaggio. Per citare Michel de Montaigne: «Forse che tutto non si muove con lo stesso ritmo con cui vi movete voi? C’è cosa che non invecchi insieme con voi?» E Pistoletti lo sa, perché – memore della lezione di Paul Celan –: «È tempo che la pietra accetti di fiorire, / che l’affanno abbia un cuore che batte. / È tempo che sia tempo.» L’autore, perciò, comprende e lo fa scrivendo, semplicemente, in versi:

L’ultimo treno tu per prima
lo hai sempre detto
quando arriva arriva.
[…]
Chiudo gli occhi fino in fondo
al poggiatesta già dentro
un ritorno
dietro alle palpebre
quanti mondi che convergono all’indietro
come in un punto
dall’altra parte di noi
uno stacco
sognato da sempre
un volo che in un filo d’erba sul becco ci porta
un prato intero
in un frammento il tutto già
dentro un nido.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

Lascia un commento

Your email address will not be published.