Non è difficile essere intimiditi di fronte al pensiero e alla produzione di Umberto Eco: durante la sua lunga vita, muovendosi tra “alto” e “basso”, ha messo alla prova non solo generazioni di lettori ma anche un’intera classe intellettuale, che anni dopo la sua morte, avvenuta il 19 febbraio 2016, ancora lo elogia ma fatica a metterne in pratica gli insegnamenti.
Come interpretare le parole di Eco senza esserne sopraffatti, dunque? Semplice: ribaltando le aspettative su quali dei suoi testi siano i migliori per iniziare e partendo dalla sua passione più grande e condivisa, ovvero quella per i libri.
Chi era Umberto Eco?
Nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932, Umberto Eco è stato un intellettuale a tutto tondo: filosofo, medievista, semiologo e massmediologo nonché autore di saggi, romanzi e soprattutto appassionato bibliofilo. Dopo la laurea in Filosofia, conseguita con una tesi sull’estetica di Tommaso d’Aquino, entra nell’orbita della cultura di massa grazie all’impiego come funzionario presso l’allora neonata RAI.
Il curriculum di Umberto Eco è sterminato e quanto mai vario. Partito dal movimento neoavanguardistico Gruppo 63, è stato fondatore del corso di laurea DAMS e padre dei dipartimenti italiani di Scienze della comunicazione, direttore editoriale di Bompiani, docente di Estetica e poi di Semiotica, collaboratore presso i principali quotidiani italiani, primo tra tutti L’Espresso, con la rubrica La bustina di Minerva.
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Nell’immaginario comune Umberto Eco è però prima di tutto l’autore de Il nome della rosa (1980), primo dei suoi otto romanzi, caso letterario internazionale tradotto ad oggi in più di 40 lingue. Seguiranno, nella narrativa, Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015).
Tra le sue opere di saggistica, accademica e non, si ricordano invece Apocalittici e integrati (1964), Il superuomo di massa (1976), Trattato di semiotica generale (1975), Dire quasi la stessa cosa (2003) e Il fascismo eterno, pubblicato postumo nel 2018. Umberto Eco si è occupato anche di teoria della letteratura (Sulla letteratura, Sei passeggiate nei boschi della narrativa) ed estetica, con i volumi illustrati Storia della bellezza e Storia della bruttezza.
Negli ultimi anni di vita Eco si è interessato anche alle discussioni intorno a Internet e ai social media, oltre che alla digitalizzazione della lettura. L’ultimo traguardo prima della scomparsa è stata la fondazione, insieme a Elisabetta Sgarbi, della casa editrice La nave di Teseo, che negli ultimi anni sta ripubblicando la sua opera omnia e ha portato in Italia il volume La filosofia di Umberto Eco, l’unico dedicato a un intellettuale italiano nella prestigiosa collana Library of Living Philosophers.
Per iniziare: «La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia»
Questa breve raccolta di scritti, pubblicata per la prima volta nel 2005, riesce a condensare in meno di 200 pagine l’amore appassionato, quasi maniacale, che l’autore nutriva per i libri. Il suo sguardo, in tipico stile Eco, si estende dai supporti per la scrittura dell’antichità alle più recenti tecnologie, per una celebrazione delle gioie e dei dolori della lettura, quel costante dialogo con persone che non si trovano più di fronte a noi.
I capitoli più celebri e accessibili de La memoria vegetale, perfetti per avvicinarsi a Umberto Eco per la prima volta, sono rispettivamente il copione della breve conferenza tenuta alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano nel 1991 che dà il nome all’intera opera e lo scritto immediatamente successivo, Riflessioni sulla bibliofilia.
La biblioteca non è solo il luogo della tua memoria, dove conservi quel che hai letto, ma il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te. Un repositorio dove al limite tutto si confonde e genera una vertigine, un cocktail della memoria dotta, ma che importa?
Dopo la scomparsa di Eco le sorti della sua amata “Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica”, che occupava l’intero spazio della sua casa di Milano (possiamo ancora ammirare un video in cui Eco ci guida in questo labirinto di volumi), sono rimaste in sospeso per anni, mentre si discuteva di un eventuale vincolo di indivisibilità di un patrimonio culturale così variegato e prezioso. Allo stato attuale delle cose, la stessa Braidense di Milano ha acquisito i suoi volumi antichi, mentre la sezione moderna troverà casa presso l’Università di Bologna.
Per proseguire: «Apocalittici e integrati»
Spesso, parlando di Umberto Eco e del suo rapporto con la cultura di massa, si commette l’errore di considerarlo un intellettuale “calato dall’alto”, che se ne occupava con sguardo distaccato, come un soggetto esterno e impermeabile alle dinamiche che sottendono all’esistenza di TV, radio e altri mass media.
Umberto Eco, che ha iniziato il suo percorso lavorativo non tra le aule universitarie, bensì nell’allora neonata RAI, scrivendo copioni di programmi per bambini come Topo Gigio, è invece sempre stato coinvolto in prima persona in questi processi e non ha nascosto la sua passione per vere e proprie icone della cultura pop come Superman o Pac-Man, ma anche per Wikipedia e i progetti open source sul Web.
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È importante collocare nel tempo il saggio Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, pubblicato per la prima volta nel 1964. Innanzitutto, in questi anni era (ed è tutt’ora in alcuni ambienti) considerata ancora un’eresia applicare a media come il fumetto, la canzone pop o la narrativa di consumo la stessa analisi rigorosa e metodica riservata fino a quel momento alla letteratura “alta”, ma anche riconoscere appieno il ruolo complesso e sfaccettato che hanno nel dare forma alla società.
La cultura di massa è così ricca in determinazioni e possibilità, che vi si stabilisce un gioco di mediazioni e rimandi, tra cultura di scoperta, cultura di puro consumo, cultura di divulgazione e mediazione, difficilmente riconducibili alle definizioni del bello e del Kitsch.
Questo saggio si colloca anche al culmine dell’esperienza di Eco nella neoavanguardia del Gruppo 63, ma contiene allo stesso tempo i primi segnali di quello che diventerà uno dei suoi tanti oggetti di studio, affrontato e approfondito in saggi come Il superuomo di massa. Retorica e ideologia del romanzo popolare (1976).
Innamorati di Umberto Eco: «Il nome della rosa»
Si trova volutamente proprio alla fine di questo percorso il libro che costituisce forse la scelta più scontata quando si parla di Umberto Eco. Il nome della rosa, primo romanzo dell’autore, caso editoriale che lo ha fatto ascendere alla fama internazionale e ha sviluppato accesi dibattiti e ben due adattamenti audiovisivi, ha ormai raggiunto lo status di classico moderno della letteratura italiana ed è spesso somministrato in modo asettico come romanzo storico ambientato nel Medioevo, con il rischio di risultare poco “digeribile” per via della sua eccezionale complessità di temi.
A dire il vero c’è un modo per amare Il nome della rosa (acquista) anche da adolescenti, anche leggendolo sotto l’ombrellone, e risiede proprio qui l’immensa potenza di questo romanzo. La sua struttura narrativa, infatti, ricalca fedelmente quella di un romanzo giallo come quelli di Arthur Conan Doyle. Certamente sono stati molti di più i lettori che si sono appassionati alle avventure di Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk come se si trattasse di Sherlock Holmes e John Watson rispetto ai “lettori ideali” che hanno colto i fini riferimenti alla teologia e all’iconografia tardomedievale, ma Eco ha scritto, in ultima istanza, un romanzo per tutti.
Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità.
Questo romanzo fluviale, esempio poco ortodosso di letteratura postmoderna e forse l’ultimo dei “best-seller di qualità“, per adottare la definizione di Gian Carlo Ferretti, è la summa della conoscenza sconfinata e poliedrica di Umberto Eco, che si risolve proprio nell’unica chiave di lettura che consente di mettere in prospettiva tutti i tempi difficili, dal 1327 agli anni di piombo: l’ironia.
In copertina:
Artwork by Madalina Antal
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