Col passare del tempo e delle generazioni, il rischio maggiore che si corre è la perdita di memoria storica. Le vecchie generazioni se ne vanno, e a quelle future spetta il compito di preservare il ricordo delle grandi catastrofi dell’umanità affinché non avvengano più e affinché le vittime non muoiano una seconda volta. Come l’angelo della storia di Walter Benjamin, con l’incedere del progresso devono cercare di volgere uno sguardo verso il passato e confrontarsi con le tragedie della Storia.
L’autrice basca Edurne Portela si confronta con questo tema in Con gli occhi chiusi (Voland, 2023), che l’è valso nel 2022 il Premios Euskadi de literatura en castellano. L’autrice di Meglio l’assenza e Forme di lontananza, entrambi pubblicati da noi per i tipi di Lindau, torna a confrontarsi col tema della violenza, e lo fa attraverso i crimini della dittatura franchista, una cicatrice ancora difficile da sanare per la Spagna come dimostra la recente legge sulla memoria democratica che ha spaccato in due il Parlamento spagnolo.
La trama di «Con gli occhi chiusi»
Con gli occhi chiusi è ambientato nel paese immaginario di Pueblo Chico, un paese di montagna nell’entroterra spagnolo abitato soltanto da anziani e spesso caratterizzato da una nebbia densa. Un villaggio di per sé pacifico, fino all’arrivo di Eloy e Ariadna, una coppia di persone provenienti dalla città che ha bisogno di riprendere in mano la propria vita.
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L’arrivo dei due risveglia negli abitanti di Pueblo Chico incubi e ricordi risalenti alla guerra civile spagnola. In particolare, la persona che sembra più scossa dall’arrivo dei due è Pedro, l’anziano più strano del villaggio, il quale è ossessionato dall’arrivo di Ariadna e di cui ne studia ogni singolo passo e movimento. L’anziano sa di avere con lei un conto in sospeso da saldare, che non riguarda solo loro due e Pueblo Chico, ma anche la Spagna intera.
«Con gli occhi chiusi»: un corteo di nebbia
La storia raccontata da Portela in Con gli occhi chiusi prende spunto da alcuni elementi autobiografici. Nei ringraziamenti posti in appendice, l’autrice non solo ringrazia il padre per «aver condiviso i suoi ricordi di infanzia a Navallos, un paesino della Sierra de Meira vicino a Lugo, dove è cresciuto», ma riconosce anche un certo debito verso la Sierra de Gredos, dove risiede dal 2019 dopo esser tornata dagli Stati Uniti:
Ho scritto questo libro quasi interamente nel paesino della Sierra de Gredos in cui risiedo dal novembre 2019. Pueblo Chico e il suo paesaggio, oltre che alla memoria di mio padre e alla mia immaginazione, sono ispirati anche a questo posto. Tutto il resto (gli abitanti e le loro peripezie) è pura finzione, benché questa storia sarebbe potuta appartenere a qualsiasi paesino della nostra Spagna smemorata.
Nel leggere queste righe, ci sembra di ricordare quanto fatto da Julián Ríos in Corteo d’ombre (Safarà, 2022), dove il paese immaginario di Tamoga, specchio della sua «Galizia privata, il Paese delle meraviglie dell’infanzia e dell’adolescenze, con le sue ombre, a volte nefaste, che tornavano dal passato», con i suoi segreti e le sue ombre fa da specchio alle ombre della Spagna franchista.
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A differenza di Ríos, però, che ha scritto un romanzo corale formato da racconti di per sé slegati, Portela gioca sì con la coralità della storia, ma alterna gli incubi, i ricordi del passato e il tempo presente dei protagonisti, più in particolare di Pedro e Ariadna, le cui vicende si alternano tra loro al tempo di un battito di palpebra. Questo alternarsi di passato e presente mostra in qualche modo il tentativo di tacere i crimini del passato, ma allo stesso la compenetrazione degli stessi nel presente.
Il paesaggio di Pueblo Chico e i suoi fantasmi
Il confronto con il passato passa in primo luogo per il paesaggio di Pueblo Chico. Quello di Pueblo Chico altro non è, per dirla à la Jacques Derrida, un paesaggio hauntologico che risveglia ricordi e fantasmi del passato della guerra civile spagnola:
Non teme neanche i fantasmi né le persone scomparse. Non perché non ci creda, ma perché sa che si mostrano ai vivi solo per la resa dei conti e lei non ha conti in sospeso con nessuno. O almeno crede. Suo padre li aveva, invece, ed è proprio per questo che lei è qui, percorre gli stessi sentieri, abita gli stessi spazi, provando a scoprirvi, come se i suoi occhi potessero vedere attraverso il tempo, le storie di cui questi luoghi sono stati testimoni. Ecco perché ad Ariadna non dispiacerebbe trovarsi davanti uno dei fantasmi che vivono tra queste montagne, persone scomparse anni prima, in grado di spiegarle una serie di cose che lei, per quanto ci rimugini, non riesce a capire.
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Camminando per i sentieri della sierra, Ariadna si imbatte sempre più in «luoghi che ancora ricordano, luoghi dove, se ti fermi ad ascoltare con attenzione, puoi sentire voci che raccontano cose del passato». La sierra, per esempio, è il luogo dove si trovano i caduti della guerra civile e i morti della dittatura franchista, mentre la nebbia, da cui gli abitanti si riparano tappando le fessure delle porte e delle finestre, generano creature che risvegliano gli incubi del passato che gli abitanti di Pueblo Chico vuole dimenticare.
Quello di Pueblo Chico è un luogo in cui i confini fra passato e presente sono invisibili, in quanto le due dimensioni si compenetrano per creare un tempo sospeso e uno spazio intermedio «tra il passato e il presente, dove non ci sono parole né pensieri, solo un dolore acuto» che gli abitanti della sierra non sono in grado di esprimere.
«Tu, tu, tu, attenta tu»
L’incapacità di esprimersi da parte degli abitanti del villaggio è compensata dall’arrivo di Ariadna e suo marito Eloy, il quale – ed è l’unica anticipazione che si farà in questo articolo – ben presto lascerà il paese, rappresentando l’incapacità degli spagnoli di confrontarsi con i crimini franchisti.
D’altro canto, Ariadna rappresenta coloro che osano addentrarsi nella nebbia dell’oblio: la nebbia che è la causa della demenza senile del padre di Ariadna, il cui passato è legato a Pueblo Chico, ma anche quella di Pedro, il cui dolore è tale da impedirgli di confrontarsi ancora una volta con la sua storia.
Nella costellazione dei personaggi, Pedro è quello che svolge il ruolo più importante: è come il vecchio marinaio della Ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge che con i suoi occhi incatena a sé Ariadna richiamandola al suo destino e al suo compito:
– Ma adesso sei tornata tu.
– Sì, e mio marito Eloy.
– No, lui è venuto. Tu sei tornata.
– Da dove sono tornata, Pedro?
– Lo saprai tu, da dove. Di quello che succede fuori da qui, io non ne so niente.
Aprire gli occhi per riconoscere la propria responsabilità
Per riprendere il paragone con Coleridge, Ariadna intraprende un cammino tale da diventare, parafrasando il poeta inglese, una «sadder and wiser woman», una donna più triste e più saggia. Sia ascoltando le storie degli abitanti del paese che ricordando la malattia del padre e passeggiando per i sentieri della sierra, la donna impara a connettere fra loro le sue corrispondenze fra fantasmi, arrivando a comprendere come anche lei sia coinvolta nella storia di Pueblo Chico e di tutta la Spagna.
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Ariadna è coinvolta in quanto la sua famiglia l’ha indotta al silenzio e alla cecità per la vergogna di confrontarsi con il passato franchista, ma l’arrivo – o meglio, il ritorno – a Pueblo Chico è servito a questo: a farle aprire gli occhi, a guardare in faccia il dolore di Pedro, ma soprattutto a guardare in faccia le colpe della sua famiglia. Come insegna Emmanuel Lévinas, lo sguardo dell’Altro, il suo dolore e la sua sofferenza riguarda Ariadna, e la donna deve riconoscere la sua responsabilità nei confronti della Storia.
«Con gli occhi chiusi»: riconoscere il passato franchista
In tempi in cui siamo spettatori di rigurgiti fascisti e i vecchi testimoni della Storia stanno per scomparire, Con gli occhi chiusi (acquista) mette le generazioni future di fronte alle proprie responsabilità nei confronti della Storia. Edurne Portela invita loro a riconoscere la violenza della Storia come parte integrante del proprio essere, a riconoscerne le responsabilità e a addentrarsi nella nebbia dell’oblio della Storia per rimediare e riscattare le colpe delle vecchie generazioni.
I confini del paese, dove finiva la vita e iniziava il nulla, erano invisibili, non obbedivano alle leggi della natura. Alcuni pensavano, incautamente, che il fiume e la montagna delimitassero il territorio, ma la realtà era ben diversa. Il limite tra essere e non essere, tra vivere e scomparire non si trovava sempre nello stesso punto e per questo gli abitanti del paese dovevano fare molta attenzione. Se qualcuno si sbagliava e oltrepassava il confine, non poteva più tornare indietro; se faceva un passo falso, scompariva e basta. Nessuno ne sapeva più niente. C’era chi raccontava che oltrepassare il confine significasse entrare in un’altra vita, così favolosa, così incredibile, così piena di meraviglie che nessuno voleva più tornare in quel paese triste e chiuso in sé stesso dove non cambiava mai niente. Ma come sapere se quelle voci erano vere? Nessuna delle persone che avevano avuto il coraggio di uscire era tornata per raccontarlo.
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