Le avventure di Pinocchio, Cuore, Rina o l’angelo delle Alpi, La cieca di Sorrento: cos’hanno in comune queste quattro opere? In primis, rientrano di diritto nelle nuove logiche di produzione culturale che iniziano ad affacciarsi sul suolo letterario italiano a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; in secondo luogo, sono tutti e quattro romanzi d’appendice, dunque rientrano in quel genere che si sviluppa principalmente in Francia e in Inghilterra nei primi decenni del XIX secolo, e che assume via via un ruolo sempre più predominante nel nostro paese.
Sarà necessario realizzare, dunque, un breve excursus sulle motivazioni socio-culturali che hanno contribuito allo sviluppo del feuilleton italiano, per prestare poi una particolare attenzione ai quattro casi studio che meglio descrivono questo fenomeno: Francesco Mastriani, Carolina Invernizio, Carlo Lorenzini – in arte Collodi – e Edmondo de Amicis.
Cos’è il feuilleton?
Con il termine francese feuilleton – letteralmente un diminutivo di “feuillet“, “foglio”, “pagina di un libro” -, coniato dal suo ideatore Louis-François Bertin – l’allora direttore del quotidiano parigino Journal des Débats -, si intende quel genere di romanzo che usciva su un quotidiano o una rivista, a episodi di poche pagine, pubblicati un giorno a settimana, generalmente la domenica. Proprio per il suo carattere di disorganicità – vale a dire il fatto che il romanzo apparisse pubblicato a puntate, quindi non in maniera organica e convenzionale – in Italia è più comunemente conosciuto con l’espressione “romanzo d’appendice”.
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Oltre a tale caratteristica, fortemente criticata da alcuni studiosi del tempo che non vedevano nel feuilleton un genere stimabile, il romanzo d’appendice nasce come prodotto per un pubblico di massa, che si andava profilando in Europa proprio sul finire del XIX secolo, insieme a un processo di alfabetizzazione sempre più elevato. Tale processo, senza ombra di dubbio, in Italia come nel resto degli altri paesi, fu accelerato proprio dallo sviluppo di questo genere letterario, spesso considerato un sottogenere per via del suo carattere commerciale.
Ma la storia culturale italiana ci suggerisce tutt’altro: grazie al feuilleton, infatti, un numero sempre maggiore di italiani si accostava alla lettura – non più solo un pubblico maschile, ma anche femminile -, merito anche di quattro personalità letterarie degne di nota: Francesco Mastriani e Carolina Invernizio da un lato, e Carlo Lorenzini e Edmondo De Amicis dall’altro.
Il feuilleton industriale all’italiana: i casi studio Mastriani e Invernizio
Come si è detto poc’anzi, sul finire dell’Ottocento si vengono a creare delle correnti letterarie sotterranee, che daranno un impulso tutto nuovo alle logiche della produzione culturale. Snodo cruciale di tale cambiamento è stato senz’altro Francesco Mastriani (1819-1891): narratore napoletano, autore di alcuni autentici bestsellers preindustriali e del primo romanzo d’appendice italiano, nonché un unicum nel panorama del feuilleton del nostro paese – La cieca di Sorrento (1853)-, Mastriani si è imposto come caposaldo del genere d’appendice in Italia, concependo romanzi con profonde caratteristiche che potremmo definire “industriali”, in un’epoca ancora preindustriale e in una città lontana dall’industrialismo. Lo scrittore napoletano, inoltre, mostra già i segnali di una consapevolezza “di mercato”, che si andava via via sviluppando tanto in Italia quanto nel resto dell’Europa.
Ed è in questo contesto che Napoli, città fondamentale nella narrativa di Mastriani, si presenta come un territorio del tutto moderno per la comunicazione di massa che lo scrittore intende indagare: da un lato, lo fa attraverso il ricorso a lessici dell’area, come quello camorristico; dall’altro, invece, attraverso il riferimento a tipi di personaggi saldamente radicati nell’immaginario dei suoi lettori, come la figura del brigante. Ad ogni modo, la caratteristica principale delle opere di Mastriani è quella di possedere tanto la matrice caratteristica del feuilleton “internazionale”, quanto quella del linguaggio locale e dei miti popolari e regionali.
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E se Mastriani si è saputo imporre come deus ex machina del romanzo d’appendice industriale, la lombarda Carolina Invernizio (1851-1916) è certamente la narratrice donna più importante di questo particolare periodo storico. Fra il 1877 e il 1916 – anno della sua morte-, infatti, la Invernizio produsse circa 120 romanzi, con una frequenza di 6 o 7 volumi l’anno. La scrittrice di Voghera, pienamente inserita nel contesto storico del suo paese, scrive in un periodo in cui il target femminile di riferimento non solo è già nato, ma ha anche assunto dei connotati specifici, sebbene il numero di donne analfabete fosse ancora troppo più elevato rispetto a quello degli uomini.
Ad ogni modo, la Invernizio riesce a far capolino nel cuore delle cosiddette “femme des lettres”, proprio perché le sue opere – tutte appartenenti al genere di cronaca nera – si rivolgono a una donna divisa tra “morale pubblica” e impulso al cambiamento. Un ruolo non indifferente anche quello della Invernizio, che si inserisce sempre in un contesto di mutazioni politiche e sociali.
Il feuilleton per l’infanzia all’italiana: i casi studio Lorenzini e De Amicis
Le pulsioni sociali rivolte alla diffusione dell’alfabetizzazione si manifestano anche nella volontà di rivoluzionare il sistema scolastico. I nomi legati a tale rivoluzione, essenzialmente, sono due: Carlo Lorenzini – conosciuto più comunemente come Collodi – e Edmondo De Amicis. Entrambi autori di libri per ragazzi, entrambi divenuti celebri a livello mondiale, Collodi e De Amicis non hanno di certo bisogno di presentazioni. Eppure, data la poca importanza che viene attribuita al romanzo d’appendice italiano, è necessario sottolineare come le loro azioni abbiano determinato un cambiamento sociale e generazionale non indifferente.
Collodi è stato un autore poligrafo – giornalista, autore teatrale, direttore di teatro-, eppure la sua fortuna arriva con i fratelli Paggi di Firenze, che gli chiesero di realizzare un libro per la scuola elementare: il Giannettino. Tuttavia, il sodalizio fra autore e editore assume le valenze proprie dell’esclusiva quando Paggi pubblica Le avventure di Pinocchio (acquista) in volume nel 1883, dopo che era uscito in forma di feuilleton sul quotidiano romano “Giornale per i bambini”.
Nello stesso anno, senza riscuotere grande successo, esce anche Cuore di Edmondo De Amicis. Tre anni dopo, De Amicis avvisa l’editore Treves di aver ricominciato a lavorare a Cuore. L’opera viene fatta uscire nello stesso anno con una campagna di lancio davvero moderna e le librerie vengono inondate di copie. Questi sono anni di enorme fermento nella letteratura italiana, ma ciò che è certo è che il romanzo d’appendice – soprattutto grazie agli instancabili narratori appena illustrati – è ormai destinato a cambiare le sorti letterarie dell’Italia.
Giulia Mariani
Immagine in evidenza: Photo by Ayman Yusuf on Unsplash
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