«Guerra di infanzia e di Spagna»: se crescere è una guerra

Ferali scoperte della piccola Titita, fra Maiorca e il mondo

6 minuti di lettura
Fabrizia Ramondino

Inquieto e ribelle lo stile di Fabrizia Ramondino, autrice di straordinaria raffinatezza oggi al centro di una riscoperta critica che evidenzia, finalmente, il suo talento proteiforme. Napoletana, autrice di romanzi, racconti, soggetti per il cinema e il teatro, Ramondino si situa in quella zona di confine che anticipa l’ibridismo di genere e fa dell’autobiografia un campo aperto, via via sottoposto alle regole del memoir, dell’opera di formazione e crescita, del romanzo storico.

L’autobiografia secondo Fabrizia Ramondino

Althénopis (1981), la sua opera più celebre, è forse uno dei romanzi migliori del secondo Novecento, capace di dar conto di una scrittura liminare, in cui confluiscono reminiscenze classiche e una tradizione meridionale densa di mistero, elegante e sanguigna al tempo.

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Così anche in Guerra di infanzia e di Spagna, pubblicato da Einaudi nel 2001 e ora riproposto da Fazi con la bella prefazione di Nadia Terranova. Difficile trovare un testo in cui tesoro tematico e partitura espressiva siano così in equilibrio. Forse perché la forma anfibia, ancora una volta sospesa nello spazio del “tra” – «di confine fra romanzo e saggio, tra romanzo e meditazione» – ben si presta a un gioco di inclinazioni formali, capaci di dar conto delle increspature dell’anima, del difficile percorso di sradicamento esistenziale.

Guerra, lingua e scrittura

Guerra di infanzia e di Spagna è infatti un’opera poderosa, in cui le costanti ramondiniane (l’assenza di un’unica lingua, di un’unica casa; la scrittura come salvezza, cura e viaggio; il conflitto atavico tra madre e figlia) acquistano un valore simbolico e “carnale”. Merito dell’architettura del testo, strutturato in cinque parti che introducono uno spostamento più o meno esplicito, comunque afferente alla dimensione dell’infanzia.

Titita, nomignolo dietro cui si cela l’autrice, osserva con occhio vigile il disgregarsi di una felicità impalpabile. «Quando giungemmo nell’isola, alla fine di febbraio», osserva la protagonista, «i mandorli erano già in fiore e il bianco delle corolle si mescolava a quello delle ossa nude nelle campagne».

Alle origini della scissione identitaria

Una memoria tattile, odorosa, in grado di restituire il senso di un’infanzia che, nel recupero animico, si fa già invenzione, sublimazione letteraria. Il tempo trascorso a Maiorca a seguito del padre diplomatico, nominato console da Galeazzo Ciano, è per Fabrizia uno spazio dell’anima, l’origine di una scissione identitaria incarnata nell’uso di lingue diverse: l’italiano in famiglia, il castigliano a scuola, il maiorchino – ancora – nei discorsi della servitù.

A legare il folgorante esordio di Althénopis a Guerra di infanzia e di Spagna (acquista) è un’immagine che apre il testo dell’81 e chiude questa lunga narrazione sincronica, costruita per evocazioni e accumulazioni. Vi è tratteggiata la madre, con cui l’autrice avrà sempre un rapporto teso, fatto di opposizione e malamore. È lei che dal parapetto della nave che le riporta in Italia, dopo l’internamento del padre in un campo di prigionia, dichiara: «Come siamo stati felici qui, non saremo mai più!».

Guerra e infanzia in Fabrizia Ramondino

È questa felicità la lunga ferita di Fabrizia Ramondino. Un paradiso perduto, chiuso nella villa di Son Batle animata dalla balia Dida, la stessa che segnerà il suo immaginario e la dicotomia del rapporto Madre-Figlia che è poi una guerra ancestrale, un lungo conflitto già situato nell’infanzia.

In tale prospettiva, l’interferenza delle due dimensioni evocate nel titolo (dagli echi della guerra civile spagnola ai racconti del Quindici-Diciotto che si intersecano a quelli della nonna, dalla balia) ricostruisce un tempo in cui la bambina scopre il dramma della diversità. Quella sua piccola guerra contro la crescita e le figure guida che sono poi il simbolo dell’autorità, di un legame affettivo fatto di contraddizioni e mancanze.

Tra tutti i vezzeggiativi e i diminutivi con i quali gli adulti usavano deformare il mio nome avevo scelto quello con cui Dida mi chiamava più di frequente. La petulanza e l’insistenza delle dentali e la ripetizione della prima sillaba stavano forse a significare che non era stato facile l’affermarsi del mio nome originario. Suggerivano inoltre qualcosa di appuntito, un dito levato in segno di ammaestramento, o la punta di una matita pronta a sottolineare errori.

La lingua, la differenza degli idiomi che cela la doppiezza delle cose, e ancora lo sguardo che fissa i giochi, il giardino della felicità e delle delizie, l’abbigliamento composto del collegio religioso, luogo del passaggio all’adolescenza:

[…] le cifre ricamate in rosso sulla mia biancheria – il mio numero, il 75, mi pareva pieno di un significato compiuto, diceva che il tempo di Son Batle era finito.

Un tempo «fragile e trasparente, eppure insuperabile». Come la piccola Titita, che di Fabrizia Ramondino ha lo sguardo acuto, “smarginato”. Un dolce senso di prodigio e di follia.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

2 Comments

  1. La lingua della madre, la lingua della tata diventano in Ramondino l’appartenenza a due mondi che saranno raccontato nei suoi scritti. Hai ragione Ginevra, sarà una insanabile frattura, questa, che aggravata dai ricordi della sua infanzia luminosa in Spagna. Grazie sempre per la tua bravura a indicare il cuore delle letture che proponi. Emilia Cirillo

    • Cara Emilia, grazie a te di aver letto e apprezzato. Quanto ancora c’è da fare su Ramondino, quanto bisognerebbe parlarne. Quella frattura insanabile contiene moltitudini, dice di lei e di noi, del bisogno di rompere la contraffazione – di trovare, con dolore, un luogo dove restare.

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