«Fai ciao», frammenti di un io disfunzionale

Flavio Ignelzi decostruisce una storia di solitudine e discesa nel male

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Fai ciao

L’adolescenza, ormai, è un tema trito e ritrito nella nostra letteratura. Ingredienti fondamentali per una storia adolescenziale sono solitudine, rabbia, conflitti generazionali e, ovviamente, la scuola. Per raccontarla, il genere più congeniale è sempre stato il romanzo di formazione.

Ultimamente, però, il romanzo di formazione adolescenziale ha subito un rinnovamento significativo, come sempre parte dall’editoria indipendente. È ciò che viene in mente, infatti, leggendo Fai ciao, secondo romanzo e terzo libro dell’autore beneventano Flavio Ignelzi, pubblicato lo scorso 7 settembre da Alessandro Polidoro Editore.

La trama di «Fai ciao»

Il protagonista di Fai ciao è Samuel, un ragazzino ai primi anni di liceo, molto chiuso e con pochissimi amici, che passa le giornate ascoltando musica rock. Una storia adolescenziale normale; se solo non fosse che il protagonista vive una situazione famigliare disastrosa. Il giovane vive una solitudine estrema, al punto da – così inizia il romanzo – ponderare l’uccisione della madre, mentre la donna frigge le cotolette in cucina.

Decisivo sarà l’incontro con la misteriosa Arabella, l’unica con cui Samuel instaurerà un rapporto di fiducia. La conoscenza della ragazza non farà che peggiorare la situazione, e il protagonista sprofonderà sempre più in quello che Thomas Bernhard definiva «ingranaggio dell’esistenza».

«Fai ciao»: decostruzione di un disastro

Fai ciao sembra in apparenza un romanzo tradizionale che narra una storia semplice di maturità del protagonista. In realtà, l’aspetto interessante è la struttura adottata nel raccontare le vicende di Samuel. Suddiviso in cinque capitoli, il libro inizia quasi alla fine della vicenda, ovvero al quarto capitolo, e procede a ritroso fino ad approdare all’ultimo.

Lo scopo dell’autore, dunque, non è raccontare una storia che segue un certo sviluppo lineare, ma far ragionare il lettore sul motivo per cui Samuel è arrivato a compiere certe azioni e illustrare il contesto in cui si è svolto. A questo proposito, la narrazione adottata da Ignelzi è una terza persona extradiegetica focalizzata sul protagonista, prospettiva adatta per studiare la complessità di un personaggio come il giovane protagonista del romanzo.

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La struttura innovativa e l’intermedialità

Quanto alla struttura narrativa usata, i critici hanno definito quella usata dallo scrittore sannita un «romanzo di decostruzione». L’intreccio viene smontato e rimontato a poco a poco per penetrare la personalità complessa del protagonista presentando dei capitoli che vengono percepiti come dei racconti brevi, background da cui proviene Ignelzi, specie se si considera la raccolta I punti in cui scavare (Alessandro Polidoro Editore, 2019).

Un altro elemento innovativo di Fai ciao è l’intermedialità. All’interno del libro vengono presentati dei brani – elencati anche alla fine del libro – attraverso cui l’autore inserisce degli indizi su ciò che è accaduto o accadrà a Samuel. Tutte le canzoni inserite svolgono una funzione complementare rispetto al testo: non solo creano l’atmosfera del romanzo, ma ne forniscono una chiave di lettura, raccontando una storia di emarginazione, miseria e irreversibilità del male che porta il protagonista sempre più in profondità dell’abisso.

La periferia come cronotopo della solitudine

L’intreccio decostruito di Fai ciao permette di concentrarsi meglio sul contesto della storia di Samuel. Il protagonista vive in periferia, luogo ritratto in tutta la sua solitudine e desolazione, come dimostra questa scena in cui Samuel osserva l’ambiente esterno dal finestrino dell’autobus:

Di giorno il palazzetto sembra una fabbrica abbandonata, con le erbacce che contendono al cemento le fughe tra le mattonelle del parcheggio; di sera, invece, quando c’è una partita di basket o di pallavolo, e tutti i riflettori sono accesi, sembra una base spaziale della NASA.

La periferia, con tutte le sue strade dritte e la sua «edilizia popolare ormai malandata», è cronotopo dell’animo di Samuel: solo, abbandonato a se stesso, alimentato da quelle erbacce che per lui sono l’astio provato verso la madre e la solitudine che vive ogni giorno a scuola.

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L’ambiente circostante come presagio della fine

Per Samuel, i vicoli del quartiere «stretti e monchi» sono «falsi spiragli dentro i quali le cose possono solo terminare». L’ambiente circostante lascia, dunque, presagire la fine di Samuel e la sua discesa verso il male. Il ragazzo si rifugia sempre più nei luoghi più selvaggi, «attratto dai territori inesplorati, dalle zone impervie, dai luoghi solitari».

La predisposizione di Samuel si può, inoltre, osservare anche a partire da questa considerazione che fa il narratore sulla città:

È l’ora migliore. La città è bella quando è vuota. Di notte, quando non c’è anima viva. Oppure all’alba, quando gli esitanti raggi di sole accarezzano i muri dei palazzi. La città piena è solo caos umano, un ammasso informe di giacche, magliette, giubbotti, cappelli, gel, rossetti, sudore.

Il disastro famigliare e il demone della solitudine

Luoghi come la villa abbandonata con la piscina o casa sua sono quelli che Samuel predilige, ma che portano il suo a essere un grido di aiuto inascoltato, un disagio destinato a non essere condiviso. Il disastro famigliare – la madre adultera, un padre che, per non anticipare troppo, si può solo dire essere assente –, ma anche l’emarginazione subita a scuola sono disagi interiori di cui nessuno si accorge, e che fanno sprofondare il protagonista verso il baratro:

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Resta fermo e aspetta. Resta fermo e chiude gli occhi. Resta fermo in attesa che arrivi il mostro e si impossessi di lui. Perché nessuno nasce mostro. Mostro lo si diventa e poi si può incutere terrore negli altri. Samuel serra i denti. Si ripete che lui non ha paura, che non c’è nessun mostro di cui aver paura. Se c’è un mostro di cui aver paura, quello è lui. Lui è il mostro sotto al letto.

Un mostro – o meglio una voce – si impossesserà di Samuel: quella di Arabella, che si fa più eterea, sfuggevole, come fosse frutto dell’immaginazione del protagonista, specchio della sua anima tormentata.

Samuel, vittima di solitudine e indifferenza

Leggendo questo brano e pensando a quest’ultimo personaggio, vengono in mente le parole che Cormac McCarthy usa in Figlio di Dio per descrivere il disagio di Lester Ballard: «qualunque cosa fosse la voce che poi gli parlò, non era un demone ma un vecchio io perduto che ancora tornava di tanto in tanto in nome della ragione stessa».

Come Ballard, anche quello di Samuel è un io indifeso, senza via d’uscita, costretto a scatenare un imminente vortice di violenza – su cui Ignelzi lascia decidere al lettore di immaginare – per urlare al mondo la sua richiesta d’aiuto. Il ragazzo è vittima di una società sorda ai suoi bisogni, ma anche di una guerra famigliare che «non porta mai a niente di buono», in quanto «alla fine perdono tutti». Ogni sua azione lo porta sempre di più alla solitudine e all’abisso, da cui non riuscirà mai a uscire per via dell’indifferenza della realtà a lui circostante.

«Fai ciao»: decostruire la disfunzionalità

Fai ciao (acquista) è un romanzo che colpisce per il modo in cui sa raccontare una storia di per sé tradizionale. La sua struttura innovativa, oltre allo stile asciutto, diretto e distaccato di Flavio Ignelzi, convince per il modo in cui sa raccontare il profondo disagio di Samuel. Quello del protagonista non è un semplice capriccio da adolescente, ma il malessere di un ragazzo destinato a cadere nel baratro per l’egoismo, l’indifferenza e il male a cui la società lo ha costretto. L’inferno, dopotutto, come diceva Jean-Paul Sartre, sono gli altri.

Per un bambino la famiglia è il posto più sicuro della terra. Poi il bambino cresce, diventa adolescente e le cose cambiano. La famiglia può diventare persino un posto pericoloso, non è così?
Non sopporto più casa mia. Non sopporto più mia madre.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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