È uscito lo scorso 17 gennaio per Mondadori Fame d’aria, il nuovo romanzo di Daniele Mencarelli. Negli ultimi anni lo scrittore aveva pubblicato, sempre per lo stesso editore, la cosiddetta «trilogia del ritorno», in cui narrava propri episodi autobiografici, seppur a ritroso rispetto all’effettivo ordine cronologico: La casa degli sguardi (2018), Tutto chiede salvezza (2020, vincitore del Premio Strega Giovani) e Sempre tornare (2021). Con il suo ultimo libro, invece, Mencarelli ha scelto di confrontarsi con un’opera di pura fiction.
«Fame d’aria»: la trama
Il protagonista di Fame d’aria è Pietro Borzacchi, diretto in Puglia insieme al figlio Jacopo. Il primo grande evento scatenante avviene subito alle prime pagine: mentre sono da qualche parte al confine tra la Campania e il Molise, la frizione della macchina di Pietro si rompe, interrompendo il loro viaggio. La fortuna vuole che in quel momento passi Oliviero, un meccanico alla guida di un carro attrezzi; pur essendo dapprima restio a fermarsi, accetta di aiutare i due quando Pietro gli spiega che la condizione è resa ancora più critica dal fatto che Jacopo non è un ragazzo come tanti, ma è affetto da una disabilità molto grave, invalidante:
A fianco scorrono le macchine, lo guardano come si guarda il nulla, da lontano ecco avvicinarsi un carro attrezzi bianco, Pietro ci pensa un attimo, poi inizia a sbracciarsi, senza più smettere.
«Non faccio servizio stradale.»
Il signore avrà una settantina d’anni, faccia di paese, bellissimi occhi verdi, in tuta da meccanico. Anticipa qualsiasi richiesta, accelera per ripartire.
«Aspetti.»
Pietro poggia le mani sul finestrino aperto a metà.
«Non le chiedo aiuto per me, ma mio figlio in macchina è gravemente disabile, ha bisogno di un bagno, di una bottiglia d’acqua.»
È venerdì sera e l’unica soluzione immediata che Oliviero riesce a trovare è accompagnare Pietro e Jacopo nella pensione di Agata, che da anni lavora solo come tavola calda; di fronte all’inedita situazione di emergenza, però, la donna decide di far preparare una camera che ospiti i due. Nei giorni seguenti Oliviero si occuperà di cercare un pezzo di ricambio compatibile con la vecchia automobile di Jacopo. Nel frattempo, per padre e figlio si prospetta un fine settimana inaspettato a Sant’Anna del Sannio, un paesino di nemmeno cento anime.
L’amore che si trasforma in odio
La strana condizione di Jacopo suscita la curiosità di tutti. A una prima, frettolosa occhiata sembra un adolescente come tutti gli altri, ma basta poco per accorgersi che ha atteggiamenti tutt’altro che comuni e, soprattutto, che non è autonomo e non è in grado di parlare:
Il figlio è poco più alto del padre, che basso non è affatto.
È slanciato, e bello, Jacopo è bello, di una bellezza che può ingannare per qualche istante, poi, anche mentre cammina, non si può non notare il leggero dondolamento, l’andatura da sonnambulo aggrappato al braccio del padre, e la mano sinistra, le dita della mano sinistra, che non smettono mai di passare e ripassare sulla coscia. […]
«Ma… che ha?»
«È autistico, a basso funzionamento, bassissimo.»
Oliviero è un meccanico alla prese con parole nuove e complesse.
«L’autismo l’ho sentito, anche qui in paese c’era un ragazzo, ora vive in un istituto perché i genitori sono morti, ma il funzionamento… basso… non l’avevo mai sentito.» […]
«Significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caca addosso.»
Fame d’aria è tutto incentrato sui sentimenti di Pietro per Jacopo. Quando ha capito la gravità della condizione del figlio, che fino agli otto anni riusciva perlomeno a ripetere qualche parola ma che poi è regredito con il tempo, Pietro si è disperato, ha pregato Dio di fare un miracolo, è arrivato a offrire la sua vita in cambio di quella di Jacopo. Ma, in un certo senso, con la diagnosi di autismo a basso funzionamento ha già consegnato la propria vita al figlio, rinunciando a tutto e arrivando ad accumulare debiti su debiti per tentare di offrirgli le cure migliori. Tutto inutile. È a quel punto che l’amore di Pietro si trasforma in un inconfessabile odio verso il figlio che, in segreto, chiama Scrondo – un termine ripreso da un personaggio di un programma televisivo degli anni Ottanta, che in gioventù Pietro utilizzava per schernire chiunque gli sembrasse in qualche modo anormale. Quello che brucia in Pietro è l’odio che scaturisce dalla disperazione di un uomo portato al limite. Un sentimento che non indigna mai i lettori, che li fa sentire impotenti di fronte a questa storia.
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Quale futuro per le persone con disabilità?
In Fame d’aria Daniele Mencarelli sceglie – non senza un certo coraggio – di affrontare un argomento spinoso, di cui si parla ancora troppo poco: il destino che attende le persone affette da una disabilità e le loro famiglie. Nonostante le buone intenzioni, la verità è che le famiglie sono lasciate sole a gestire al meglio delle proprie possibilità una situazione molto più grande e complessa di loro. Chi si ritrova a vivere un problema del genere si rende subito conto che gli aiuti dello Stato sono insufficienti ad assicurare la cura di cui le persone con patologie così gravi avrebbero bisogno. E sui genitori grava un’ulteriore spada di Damocle: la consapevolezza che, alla loro morte, i figli – mai davvero inseriti nella società – saranno chiusi in un istituto.
La stessa situazione è stata denunciata anche dall’editorialista della Stampa Gianluca Nicoletti, padre di un ragazzo autistico, Tommy. Come si legge in una sua intervista a Vanity Fair del 2019, da cui si evince che in quattro anni la situazione non è cambiata di una virgola,
la legislazione del nostro Paese riconosce l’autismo solo come “disturbo dell’età evolutiva” e con il compimento del diciottesimo anno le persone che soffrono di autismo diventano fantasmi, senza diritti e senza più assistenza. […] Diventare maggiorenne per Tommy ha significato perdere ogni tipo di assistenza. Ha dovuto cambiare scuola perché in quella precedente non lo tenevano più e viene seguito ogni giorno da una persona specializzata per le attività pomeridiane. Tutto a spese della sua famiglia. «E chi non può permetterselo?», si chiede Nicoletti sottolineando come il sistema pubblico italiano veda nei ragazzi autistici adulti soprattutto una banconota da incassare. «Ogni ragazzo autistico inserito in una struttura vale almeno 200 euro al giorno. Per, nella maggior parte dei casi, restare chiuso in una stanza, sedato e magari lavato con un tubo dell’acqua fredda».
Quanto denunciato da Nicoletti ricorda tanto la storia raccontata da Mencarelli nel suo romanzo. Un’opera sì di fiction, ma che affonda le sue radici in vicende terribilmente reali. Con la speranza che questo libro sappia scuotere sempre più coscienze e magari contribuire a sbloccare una situazione impantanata da sempre.
Mencarelli, maestro di umanità
Con Fame d’aria Daniele Mencarelli si conferma un vero maestro nel narrare l’umanità dei suoi personaggi e le loro storie, sempre con uno stile molto diretto e privo di inutili orpelli, in cui anche il non detto e gli spazi vuoti ricoprono un ruolo importante. Ritroviamo alcuni tratti in comune con Tutto chiede salvezza: dei personaggi – all’epoca il giovane Daniele, ora Pietro e Jacopo – sono costretti a passare del tempo in uno spazio limitato – nel romanzo del 2020 un reparto di psichiatria, in questo la claustrofobica Sant’Anna del Sannio – e qui incontrano persone nuove, con cui dapprima vogliono avere a che fare il meno possibile ma che alla fine fanno breccia nella loro anima.
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Agata e Oliviero non sono così spigolosi come sembrano, scoprirà Pietro. E c’è un’altra persona che si rivelerà fondamentale per lui: Gaia, la cameriera della pensione di Agata, con un sorriso contagioso che a sorpresa smuove qualcosa in Pietro. Non ci saranno implicazioni romantiche fra loro, ma una cosa è certa. Non è vero che Pietro non sa più amare, non è vero che il destino che gli è toccato in sorte l’ha totalmente inaridito. Gaia capita sul suo cammino per ricordargli che l’amore può fare ancora parte della sua vita e che a volte chiedere aiuto è l’unica soluzione.
C’è, ancora una volta, una certa poesia nella penna di Mencarelli, che in mezzo alla disperazione che costella il romanzo sa regalare a Pietro, ma pure ai lettori, momenti di inaspettata dolcezza:
Dopo aver oltrepassato il boschetto, una radura affacciata sui monti.
Pietro, violentato dal destino, regredito a una vita senza bellezza, si porta una mano sulla bocca.
«Dio mio che meraviglia.»
Oltre al panorama, è l’aria, l’aria gonfia di tramonto, a rendere la visione un dono per gli occhi.
Un cielo azzurro che diventa arancio, sino al rosso infuocato del sole che cala.
Sembra di vivere un sogno.
Quelli dove Pietro si rifugia.
Ma questo non è un sogno.
E Gaia è fatta di carne, ed è qui accanto a lui.
«Grazie.»
Solo questo riesce a dirle.
Dio è un altro
Nell’esergo di Fame d’aria (acquista) leggiamo «Dio è un altro». Il pensiero corre subito a Tutto chiede salvezza, dove Mario, uno dei pazienti con cui Daniele condivideva la camerata, gli consigliava di leggere Una stagione all’inferno di Arthur Rimbaud, citandogli proprio la celebre ed enigmatica frase «Io è un altro». Stavolta, Io diventa Dio, quel Dio che Pietro ha cercato in ogni modo ma che sembra avergli voltato le spalle – o, perlomeno, non avergli prestato ascolto. Il crudele destino riservato a Jacopo e alla sua famiglia è incomprensibile agli occhi di chiunque; difficile intuire qual è il disegno divino dietro una condizione del genere, ammesso che ci sia.
Eppure, ci suggerisce Mencarelli, forse in realtà Dio è un altro rispetto a quello che ci immaginiamo. Forse Dio è nelle persone che ci circondano, disposte ad ascoltare la nostra storia e tenderci una mano. E i miracoli, alla fine, non avvengono levando le braccia a un cielo muto, ma trovando il coraggio di chiedere aiuto alle donne e agli uomini che incrociano il nostro cammino e provano a prendersi cura della nostra umanità. Anche – e soprattutto – quando è stata calpestata da un destino che appare insensato.
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