Scorrere via come acqua

«Il fiume va via taciturno» di Giorgia Garberoglio

7 minuti di lettura
«Il fiume va via taciturno» di Giorgia Garberoglio

Nel novembre 2015, a Parigi, Michelle cade, spinta a terra da qualcuno, in mezzo alla confusione generale di spari e una folla che corre. Nell’agosto 1944, sempre a Parigi, Michelle da bambina ha vissuto un’esperienza quasi identica: cambia solo la mano di chi l’ha spinta, sua madre, e lo scenario storico in cui si trovavano a correre, la seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca. Da questo parallelismo parte la narrazione di Il fiume va via taciturno di Giorgia Garberoglio, uscito per la casa editrice indipendente Affiori.

Tra vita privata e Storia

Questi due eventi toccano al contempo la vita privata di Michelle, i suoi affetti e le sue speranze, e la Storia del Novecento e Duemila europeo. Il fil rouge è la violenza ingiustificata, tanto quella delle rappresaglie sui membri della Resistenza quanto quella degli attentatori della notte del Bataclan. Michelle non comprende l’enorme portata storica di quelle aggressioni nel momento in cui le vive: e noi lettori, accanto a lei, condividiamo la prospettiva di chi è coinvolto in prima persona, con tutto il suo bagaglio personale, e soffre gli esiti tragici della storia su di sé.

Tra le righe scritte di quei fogli c’erano gli spari di una guerra quasi fratricida che mi aveva portato via il modo dolce con cui maman mi diceva: «Après, Michelle», mentre quella sera l’aveva gridato, senza possibilità di ragioni. L’ho capito crescendo, ma il dolore umano non è arginabile. Si deve capire e si può capire, ma niente torna come prima.

Leggi anche:
Ritrovare la voce nella solitudine

I fiumi di una vita

Tra i due eventi, così lontani nel tempo, scorre la vita di Michelle, contesa tra Francia e Italia. Dall’approdo alla «petite île» circondata dall’acqua, dove scoprirà il canottaggio sotto la guida amorevole dei nonni, alle estati a Torino, ad allenarsi insieme agli atleti remieri della Canottieri Cerea. Dall’incontro con Ivo, prima compagno di corse sul fiume e poi amore intermittente, alla nascita dell’amore più grande, sua figlia Victoire.

E il fiume, o meglio i fiumi, sono fondamentali nell’esperienza di vita di Michelle e nel modo che impara per navigarla: «Il fiume», scrive, «è parte della mia vita. E non solo della mia. Trattiene con sé tante storie». Vediamo dunque il fiume non solo come oggetto di esplorazione e terreno di sport, ma anche come metafora: come con la vita, basta rispettarlo, prestare attenzione alle cose che porta – che siano buone o cattive – e affidarsi al suo fluire continuo e incessante.

Leggi anche:
Il romanzo di formazione non-formato

Dare un senso al dolore

C’è una tensione retrospettiva nel racconto di Michelle, uno sguardo al passato che non è (solo) di nostalgia: è uno sguardo che cerca di collegare i punti, di dare senso a esperienze del proprio vissuto che sembrano ingiuste e gratuite, e, allo stesso tempo, valorizzarne altre e comprenderne a fondo l’impatto che hanno avuto, e le emozioni che hanno suscitato. Non è forse questa la missione di una vita umana? Cercare senso nelle proprie azioni, e collocare il proprio qui e ora nella linea fluviale e in continuo scorrimento della storia dell’umanità?

In questo libro l’autrice affronta una delle questioni più delicate e misteriose dell’esistenza non attraverso coordinate filosofiche, ma nel modo più spontaneo e umanamente comprensibile: dopo un trauma, un’esperienza che ci spinge a stretto contatto con la morte, capita a tutti di trovarsi a riflettere, a ponderare, a ricordare, a chiedersi perché. Capita anche a Michelle, ma i suoi perché sono più grandi, più significativi ma anche più spaventosi da ricercare di quanto lei stessa, forse, li vorrebbe.

La delicatezza narrativa

La struttura del romanzo è costruita su continui salti temporali tra il passato e il presente, tra le due realtà geografiche della vita di Michelle. Garberoglio costruisce un racconto quasi diaristico, scaturito dai ricordi nei quali Michelle si perde dopo aver assistito all’attentato. Dal momento del trauma Michelle chiude gli occhi, e sceglie di non aprirli mentre viene soccorsa, portata in ospedale, e poi riaccompagnata a casa. È una scelta narrativa molto apprezzabile, delicata nella realizzazione. Permette infatti ai lettori di ascoltare una storia, invece che essere travolti dalle immagini disturbanti della strage e del dolore. Possiamo essere aperti all’approfondimento della vita di una delle persone coinvolte, una delle vittime, anche se non ci ha perso la vita, invece che ridurre queste persone a malcapitati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Fermate tutto. vi prego. sono sentimenti veri. Sono storie che si infrangono, diventano schiuma. Mi stanno travolgendo i ricordi, si mescolano al dolore di oggi. Lo zigomo. Il sangue. Le ginocchia dolenti. Le braccia scomposte. Questa volta, però, non ho sentito la parola après. Me la sono solo immaginata.

Garberoglio, giornalista e già autrice di Amalia (Feltrinelli), Bambini allergici (RedEdizioni), ha realizzato in Il fiume va via taciturno (acquista) il ritratto di un’epoca intera, attraverso la prospettiva di una donna e degli amori intensi che si porta dietro. Lo fa con una prosa intensa e poetica, ma anche spontanea, che è il linguaggio di una pagina di diario, o di un flusso di ricordi a occhi chiusi.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Michela La Grotteria

Classe 1999, genovese, dopo la triennale a Milano si sta specializzando in Italianistica a Bologna. Ama i racconti brevi – ogni tanto ne scrive e pubblica qualcuno – e i romanzi lunghi, le tazze da tè e il francese. Sogna di trasferirsi a Parigi e lavorare in una libreria indipendente.

Lascia un commento

Your email address will not be published.