«Tutti questi Jonathan. Un’invasione di Jonathan letterari. Se leggessi solo la New York Times Book Review penseresti che è il nome più comune d’America. Sinonimo di talento, di grandezza. Di ambizione e vitalità». Così Jonathan Franzen scrive in Purity, uscito per Einaudi nel 2016, dando caparbiamente mostra del suo potere ironico, a tratti cinico, con cui intrattiene il lettore in un divertente tête-à-tête metaletterario.
D’altronde, non lo si può contraddire. Il nome di Jonathan (Franzen) porta con sé un’aurea di grandezza inavvicinabile: è ineffabile, non si può spiegare il talento.
Chi è Jonathan Franzen
Jonathan Franzen nasce il 17 agosto 1959 a Western Springs, nell’Illinois, ma cresce a Webster Groves, nel Missouri. La sua provenienza è estremamente rilevante, perché per Franzen la vita, le abitudini, la piccola-media borghesia, i quartieri in espansione, la gentrificazione del Midwest sono un leitmotiv.
Il tema dello spazio abitativo e lavorativo è un filo conduttore con la nostra realtà: dove viviamo ci plasma, crea in noi aspettative o delusioni, siamo sommersi dalle abitudini di chi ci sta attorno. E nascere e crescere in una piccola cittadina del Missouri o dell’Illinois cambia il corso della tua storia personale. Ed è con questo sottofondo di crudo realismo che le storie di Franzen si dipanano nell’America occidentale e medio-occidentale, dagli anni ‘50 fino ai giorni nostri, che in tante piccole storie c’è una grande epopea: l’America che cambia, le speranze che si perdono, il realismo acritico che svuota il sogno americano e infine coglie l’essenza: tutti abbiamo i nostri piccoli, miseri, infinitesimali problemi che superano, spesso e volentieri, nella scala delle priorità, i grandi problemi universali.
L’esordio: «La ventisettesima città»
Nel 1988 esce il romanzo d’esordio di Jonathan Franzen, La ventisettesima città (acquista), pubblicato in Italia da Einaudi nel 2002. La città di St. Louis, Missouri, un tempo quarta città negli Stati Uniti per importanza, si ritrova al ventisettesimo posto. In un thriller politico altalenante, Martin Probst, presidente dello Sviluppo Municipale, si ritrova al centro di un ciclone mediorientali dal nome di S. Jammu. Un complotto straniero cerca di tirare le fila delle sorti della città, mentre gli oligarchi si dividono a metà in uno scontro referendario che deve decidere le sorti dell’economia della città del Midwest. Un giovane Franzen muove la trama tra momenti di massima suspence e un primo approccio psicologico ai personaggi, e momenti di calma piatta, specchio di una capacità letteraria che invece darà splendente mostra di sé nei lavori successivi.
Nonostante ciò, la chiusa è un attacco diretto all’America post anni Cinquanta, dove la lotta referendaria, indipendentemente dal risultato, mostra la piaga politica dei giorni nostri, dopo: l’assenteismo e l’ignavia degli elettori nella fase cruciale. Dopo lotte, segreti, rivoluzioni intestine, attacchi terroristici, forze di polizia corrette, capitalisti in lotta, a vincere è l’inerzia, perché
Gli Americani illuminati accettavano il mondo com’era. Erano disposti a pagare a caro prezzo il cibo che mangiavano – gelati molto ricchi e cremosi, pasta fresca, tartufi di cioccolato, filetti di pollo – poiché i cibi di alta qualità andavano giù con facilità, lasciando il cervello libero di inseguire mete più filosofiche. Allo stesso modo, la promiscuità sessuale stava passando di moda. […] Invece di fare l’amore, invece di fare la guerra, i giovani tenevano sotto controllo i loro istinti primordiali e andavano alle scuole di specializzazione professionale. […] Gli americani, in cerca di purezza, lasciavano saggiamente i rifiuti tossici, le lamentele dei consumatori, le agitazioni sindacali e i fallimenti ad altre nazioni, o ai resti della casta mercantile originaria.
Il Midwest ne «Le correzioni»
La famiglia Lambert ha sempre vissuto a St. Jude. Enid e Albert hanno tre figli, Gary, Denise e Chip. Tutti e tre hanno posto un volo di aereo di qualche ora tra loro e i genitori. Le nevrosi della famiglia, che dal padre ha generato quella dei figli, cerca di essere sanata attraverso varie correzioni. Il capofamiglia non accetta una malattia degenerativa, la madre, tinta dal modus operandi del Midwest – dove è necessario apparire puliti, diritti, avere una faccia in pubblico che si scontra con il privato, e si è alla ricerca perenne del guadagno, del successo, della ricchezza – desidera solo passare un ultimo Natale insieme, come una vera famiglia. Una famiglia in realtà piena di crepe, di risentimenti e fallimenti che non possono essere accettati. Cosa diranno i vicini, gli amici, gli abitanti di St. Jude dei loro sbagli, dei loro umani errori?
Gary si è trasferito a Philadelphia, è sposato, ha figli, ed è fondamentalmente depresso. Denise è una chef di enorme successo, ma la sua vita amorosa la porta a compiere scelte opinabili, distruggendo tutto ciò che ha costruito. Chip era un talentuoso docente che ha perso tutto, e si ritrova invischiato in una truffa digitale in Lituania. Nel mezzo, tutti i tentativi di correzione. Da parte della madre, che li vorrebbe austeri, importanti, solari, ricchi. Così da potersene vantare con le amiche. Da parte di loro stessi, nel tentativo di modificare irrecuperabilmente la traiettoria prima dello schianto verso la realtà.
Si è già detto che il tratto distintivo di Franzen è il realismo. Un realismo che ha avvicinato con l’opera prima, La ventisettesima città, e ne Le correzioni (acquista) si prende tutto il suo spazio. Ogni personaggio è sapientemente pensato, ogni azione ha uno sguardo verso il passato e muove verso il futuro. Ogni elemento della trama è perfidamente interrelato. La famiglia Lambert soffre del non essere abbastanza, di non essere in grado di compiere le scelte giuste nel lungo cammino dell’esistenza.
Le conseguenze della caduta del muro di Berlino in «Purity»
Pip, all’anagrafe Purity Tyler, è cresciuta in California, ha un debito di 130.000 dollari con l’università e svolge un lavoro noioso, dove, tra le altre cose, deve subire le avances indesiderate del suo capo. Sin dalla tenera età, ha il viscerale desiderio di scoprire chi sia suo padre, perché nonostante innumerevoli tentativi, non riesce ad avere quell’informazione basilare dalla madre. A dirla proprio tutta, non sa nemmeno chi sia realmente sua madre, che vive nella ridente Fenton, e le ha tenuto nascosto anche il giorno del suo compleanno.
Annagret è la coinquilina tedesca con cui non ha mai scambiato più di qualche parola. Ma lei conosce Andreas Wolf, fondatore di un Wikileaks socialista e femminista, the Sunlight Project. Ed è allora che la sua vita viene stravolta.
Purity (acquista) è la storia di una famiglia molto differente da quella de Le correzioni. Qui si parla di una famiglia che non sa di esserlo, e coinvolge tanti personaggi differenti, ognuno con una propria storia indipendente, che si lega attraverso segreti, complotti, amori folli e un realismo tagliente, marchio di fabbrica di Franzen.
In Purity ogni personaggio è perfettamente raccontato per mezzo di un identikit dettagliato, dal principio alla fine ogni elemento dà seguito ad azioni causa-effetto fondamentali. Evidente nel ritratto del personaggio di Andreas Wolf un’ispirazione rothiana, con il suo estremo lamento di Portnoy. D’altronde, le perversioni sessuali sono sempre da rintracciare in un malsano rapporto madre-figlio.
In mezzo ai tanti singolari personaggi, Pip, Andreas, Tom, Anabel, Annagret, si delinea la piaga socio-politica degli ultimi settant’anni: l’eterna lotta tra il desiderio di privacy e l’impossibilità di poterla realmente avere in un mondo tecnologicamente interrelato, dove gli hacker detengono il reale potere. Da una parte la Stasi di Annagret e Andreas Wolf, la Germania dell’est prima della caduta del muro di Berlino, il comunismo, lo spionaggio, le regole e la paura ad infrangere le regole, i segreti che dovevano rimanere tali perché altrimenti il regime avrebbe prontamente reagito; dall’altra la tecnologia, gli hacker, i leaks, Wolf e la crociata per l’eliminazione della privacy con l’obiettivo di mostrare i reali mali del mondo. Nel mezzo, Pip e la ricerca della sua personalissima libertà di sapere chi è.
20 anni dopo: «Crossroads»
Nel 2021 Jonathan Franzen torna con Crossroads, edito Einaudi. Torna la dicotomia famigliare tipica di Franzen, specchio della società. E si torna a un’America pre-tecnologica, tra i movimenti pacifisti, la guerra in Vietnam e gli anni ‘70. La famiglia Hildebrandt è molto conosciuta a New Prospect, Illinois, per la posizione che riveste il capofamiglia, Russ, pastore della comunità. In un’era avant-internet, i giovani si incontrano a Crossroads, un gruppo di incontro giovanile della chiesa di Russ. Padre amorevole, pastore leale, conoscitore della realtà sociale in cui vive, amico e fedele sostenitore delle comunità Navajo, sempre pronto ad aiutare il prossimo, forte sostenitore del pacifismo, improvvisamente vive una crisi etico-religiosa. Da una parte incontra Frances, giovane vedova con il desiderio di unirsi ai gruppi di aiuto, dall’altra deve fronteggiare Rick Ambrose, giovane carismatico che tira le fila del gruppo di Crossroads.
I figli: Clem, studente universitario, Becky, bella e intelligente; Perry, di un’intelligenza sopraffina e Judson, il più piccolo, il più puro.
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La famiglia Hildebrandt è una famiglia modella: la moglie ha cresciuto e accudito quattro splendidi figli, Clem, il maggiore, ora studente universitario, amorevole fratello maggiore di Becky, bella e popolare; Perry, di un’intelligenza sopraffina e Judson, il più piccolo, il più puro.
Dall’incontro di Russ con Frances e dall’ascesa rivalità con Ambrose, l’assetto famigliare viene spostato irrimediabilmente. E tutta la perfezione, l’idealismo, la buonafede, il finto perbenismo, straripa da un ampio vaso di Pandora, mostrando ancora una volta, nelle parole di Franzen, quanto ciò che appare gli occhi degli altri sia ricoperto di un velo di menzogna.
Lo abbiamo visto ne Le correzioni, di nuovo in Purity anche se in chiave più trasgressiva, e torna in Crossroads: il potere dei legami famigliari, specchio della società in cui si vive; ma ancora di più, come la ricerca di perfezionismo e perbenismo porti in realtà alla rottura degli equilibri.
Perché è facile innamorarsi di Jonathan Franzen
Jonathan Franzen è sul podio dei migliori scrittori americani per varie ragioni: prima fra tutte, la sua capacità narrativa, ma anche l’ironia velata, il desiderio di essere sempre reale, lontano dagli sfarzi letterari e cinematografici. I suoi romanzi raccontano la cruda realtà: la lente d’ingrandimento sul conservatorismo e il perbenismo statunitense mostra tarli e crepe, che in fondo sono sinonimo di concretezza e di vita. Cadiamo sempre tutti nelle stesse dicotomiche ipocrisie.
E poi c’è la dimensione politica, perché tutto è politica; il discorso etico fra l’io e il sé, quello che siamo, quello che vogliamo, quello che desideriamo; l’aspettativa degli altri e poi di noi stessi, e la cocente realtà di chi siamo: sono due punti che difficilmente si incontrano. Gli errori dei genitori che si ripercuotono sui figli, i desideri e i sogni dei genitori che si infrangono nei figli. Ma anche il desiderio dei figli di essere Altro rispetto a quello che li ha preceduti. E quel sottilissimo desiderio puramente americano di voler sbarcare il lunario. Questo, e tantissimo altro, è Jonathan Franzen.
In copertina:
Artwork by Luigi Mallozzi
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Jonathan Franzen non è uno che ingrandisce l’america e nemmeno la sminuisce…la rende per com’è fino a diventare cinico nell’analizzare i personaggi.
È quella calma piatta che spesso ritorna nei suoi romanzi,che spesso mi spiazza e che forse è importante per prendersi il tempo di digerire il resto è che ,perlomeno a me,fa pensare a momenti di “non parole”per descrivere la grossa differenza tra pubblico e privato.