A poco più di ottant’anni dalla stesura, Utopia Editore propone una nuova, essenziale edizione di Gente nel tempo di Massimo Bontempelli, opera tra le migliori del nostro passato recente. Introdotto da uno scritto di Marinella Mascia Galateria, il volume focalizza il concetto di tempo divorante nonché l’oscillazione – tipicamente novecentesca – tra le nozioni di “antico” e “moderno”, intese come poli di attrazione e distruzione.
Il realismo magico per sospendere il tempo
Volto allo scernimento della propria dicotomia, stretto fra le istanze avanguardistiche dell’attimo e una più intensa, dolorosa, fascinazione “neoclassica”, Bontempelli coltiva il sogno di una permanenza originaria, di un «sentimento purificato» che possa dar conto dell’instabilità e dell’ordine, della rottura e del ripristino. La costanza del suo metodo si riflette in uno schema procedurale che ha in Gente nel tempo l’esempio più fulgido, in un dialogo tra accadimenti della vita (con conseguenti suggestioni) e traduzione testuale, laddove l’arte riattiva il mito in chiave salvifica e memorante.
In Gente nel tempo il congegno narrativo epitomizza l’«avventura novecentista», l’idea di un realismo magico come sospensione del verosimile, spostamento su un piano altro della presa della Storia, ora filtrata dalla deissi, dal ricorso ai propri punti fermi (Milano, i suoi edifici, certe strade), ora sottratta all’oggi, al tempo della scrittura che è già abominio e dramma.
Come afferma la prefatrice, «Gente nel tempo è oggi il romanzo di Bontempelli che più risente della sua inquietudine per le aberrazioni del regime, mascherato di “sfarzo, cerimoniale, pennacchi”. Segna, da allora in avanti, il radicale cambiamento nell’opera di Bontempelli, nella scelta di temi cupi, drammatici, del mito e della tragedia, nello sgomento per i tempi apocalittici che si preparano».
Un’esistenza di attesa e condanna
Attraversato dalla moderna distruttività del Tempo, da un’idea dell’uomo come marciume, célinianamente “in sospeso”, Gente nel tempo svela un desiderio di ricostruzione che procede dai simboli rigenerativi, dall’organizzazione degli spazi secondo una dialettica luce/buio. La famiglia Medici, segnata dalla maledizione della Gran Vecchia («Del resto nessuno di voi morirà vecchio»), conserva nella sua storia un grano di redenzione, traduce la perdita della forma – o meglio, la disgregazione organica – illustrando, al contempo, l’attesa di una risoluzione.
È, per citare Enrico Cesaretti, un equilibrio tra Kronos e Kairos, tra il tempo cronologico, misurabile, e il suo complemento “creativo”, un “momento opportuno” di ri-significazione degli eventi. In quest’ottica Gente nel tempo indica una prospettiva altra – ma, si badi bene, non alternativa – fondata sull’impasto di reale e immaginario. Vi risuona un richiamo a suo modo spirituale, in cui attesa e condanna, illusione e delusione sono due facce dell’esistenza.
L’incipit folgorante, dominato dall’imponente figura della Gran Vecchia, introduce il lettore in un’atmosfera esoterica, di sospensione e delirio. La sua dipartita, che non risparmia un urlo di minaccia, ha il sapore della condanna e della catarsi, laddove all’ossessivo ricorrere della profezia (ciascun membro della famiglia morirà a distanza di cinque anni) si accompagna un esorcismo contro la storia, contro un ciclo temporale che imporrà il suo equilibrio.
Una storia per sottrazione di realtà
In Gente nel tempo (acquista) lo sguardo di Bontempelli è volutamente al margine, avvicina i fatti dagli addentellati in modo da tracciarne una sorta di spirale che si approssima al centro, con uno stile vigile e sostenuto, prossimo all’equilibrio e alla compostezza classica. L’architettura sintattica, tanto perspicua da “ammorbidire” l’ipotassi, fa viaggiare il testo sui binari della narratività.
Viene ristrutturata – insieme alla suspense, al tesoro tematico, alla solidità dei personaggi – l’idea di romanzo sabotato dalle avanguardie, dando nuova importanza alla trama, ai fatti che si susseguono per sottrazione di realtà. In questo senso, anche Bontempelli è marginale, e fa del lembo il punto di osservazione su un Novecento in subbuglio, in cui la tirannia di Kronos (associata agli idoli della modernità) può essere fronteggiata da un tempo della “creazione”, dalla scrittura come atto di ri-costruzione.
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Non che l’epilogo di Gente nel tempo (altra componente ristrutturata, offerta al lettore nella sua interezza) risulti conciliante, né che la vicenda dei Medici, in particolare delle sorelle Nora e Dirce, sia in qualche modo consolatoria. C’è un senso di angoscia in queste pagine raffinate, la sensazione di assistere a un dramma ambiguo, in cui i giorni procedono lenti, uguali, sospesi sul filo della prossima scadenza. Tutto corre verso la morte, o verso una data che elimina l’imprevedibile, il volto oscuro della certezza: «Non importa morire, importa non sapere quando».
La voracità del tempo storico subisce alcune battute d’arresto ed è questa interruzione “magica”, sottratta al peso di una condizione asfittica, il dato più significativo dell’opera. I giochi di Nora e Dirce, il giardino di Villa Coronata (la magione familiare) come spazio dell’innocenza – tutto, tra le pieghe della trama, ha il volto duplice dell’esistenza. Che è caos e destino, disperazione e baldanza. Nessuno come Bontempelli ha saputo coglierne il senso.
Riferimenti bibliografici
Bontempelli M., L’avventura novecentista, Firenze, Vallecchi, 1974.
Cecchini C., Avanguardia mito e ideologia: Massimo Bontempelli tra futurismo e fascismo, in “Il Ventaglio”, Roma, 1986.
Cesaretti E., Massimo Bontempelli e il mito classico: il caso di Gente nel tempo, in “L’analisi linguistica e letteraria”, XVII, Milano, 2009.
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Un commento ricco che mi ha inserito quale spettatore tra le parole avvolgenti e narranti questo testo di Bontempelli. M’è parso di leggere un altro librino ma tale solamente per la brevità.