Quando bisogna definire un romanzo, fra le affermazioni che si possono usare si può dire che è un’esperienza senza fine. È come se, appena viene pubblicato, non sia ancora finito, anzi, non finirà mai. Sia i lettori che l’autore, infatti, aggiungono al romanzo interpretazioni e significati che rimandano sempre ad altro, rendendolo qualcosa di infinito, che apre infinite strade e possibilità.
Per usare un’espressione tanto cara a Borges, il romanzo è un giardino dei sentieri che si biforcano: si parte da un punto per approdare verso infiniti punti in cui non ci si fermerà mai. Un giardino dei sentieri che si biforca è anche Ferrovie del Messico, il nuovo romanzo dell’astigiano Gian Marco Griffi edito per i tipi di Laurana Editore nella collana Fremen diretta da Giulio Mozzi.
Il romanzo, tra i dodici candidati al Premio Strega 2023, è stato presentato da Alessandro Barbero con la seguente motivazione:
Ferrovie del Messico merita di essere candidato al Premio Strega per la novità, e l’ambizione, del concetto e della trama, come per la qualità della scrittura: il romanzo è scritto in una lingua versatile e mutevole, spesso apparentemente orale ma in realtà letteratissima, che attinge a tutte le risorse dell’italiano, delle parlate regionali, dei linguaggi specialistici, e financo a gerghi furfanteschi e fantastici.
Pubblicato da un piccolissimo editore, cosa che ulteriormente giustifica la sua candidatura, ha raggiunto un vasto pubblico soprattutto grazie al passaparola dei lettori e all’entusiasmo dei librai. In un panorama letterario come quello italiano, che sembra oggi dividersi tra il racconto quasi giornalistico di «storie vere», possibilmente tragiche, e il rimuginamento sull’eterna crisi della famiglia borghese, Ferrovie del Messico si staglia con un’originalità che merita di essere segnalata.
La trama di «Ferrovie del Messico»
Ambientato fra il 1943 e il 1945 con flashback temporali nel 1929 e nel 1933, Ferrovie del Messico racconta le vicende di Francesco “Cesco” Magetti, membro della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti. Cesco soffre di un atroce mal di denti che, pur di non farselo curare dai dentisti di cui ha tanto paura, cerca di lenire con vino e idrolitina, e soffre anche dell’amore per Isotta, partita per l’Africa per non tornare più.
Il protagonista è stato incaricato di disegnare una mappa delle ferrovie del Messico. Lì, più precisamente nella città di Santa Brígida de la Ciénaga, secondo i nazisti si nasconde «un’arma diabolica e terrificante. Un’arma spettrale, una bestia selvaggia e leggendaria. La chiamano l’arma risolutiva». Per realizzare la mappa, Cesco avrà bisogno di un libro quasi introvabile: la Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México di Gustavo Adolfo Baz con illustrazioni di Eduardo Gallo.
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Quella di Cesco si rivelerà essere una quest picaresca e stravagante alla ricerca di un libro che, come il Sacro Graal, forse esiste e forse no, e la cui ricerca in realtà è il senso stesso del viaggio. Cesco si ritroverà a vagare in lungo e in largo per Asti entrando in contatto con i personaggi più stralunati: dalla misteriosa bibliotecaria Tilde ai beccamorti Lito e Mec passando per il frenatore poeta Edmondo Bo e i due partigiani Ettore e Nicolao, assidui frequentatori del night club l’Aquila agonizzante.
«Ferrovie del Messico»: in che senso un romanzo d’avventura?
La prima cosa che salta all’occhio leggendo il frontespizio del libro è il sottotitolo: Un romanzo d’avventura. Per meglio comprendere il senso di questo sottotitolo bisogna soffermarsi su due cose che a livello epitestuale possono fornire qualche chiave di lettura in più: un articolo di LetteratitudineNews e la postfazione di Marco Drago al libro di Griffi.
Nel primo articolo, l’autore racconta di come gli è venuta l’idea del romanzo. Il primo passo è stata la storia di una signora anziana di nome Tilde e delle cartoline che le inviava un uomo che ha conosciuto quando erano giovani nel corso di cinquant’anni provenienti da Francia, Svizzera, Messico e Argentina.
Da qui Griffi è partito per dare una controparte maschile al personaggio di Tilde, un milite della Repubblica di Salò che doveva vagare in preda allo smarrimento per Asti. A questo vagare l’autore ha voluto dare uno scopo: cercare le Ferrovie del Messico, uno spunto che è partito dalla scoperta degli investimenti in titoli azionari dai nomi esotici che faceva Marcel Proust. Griffi, dunque, sembra aver scritto questo romanzo come reazione a quella che è la monotonia della vita di tutti i giorni di quelle che sono “storie minime” come quella della vera signora Tilde.
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Un romanzo enciclopedico
Quello di Griffi è un romanzo d’avventura nel senso di evasione dalla quotidianità e dimostrazione, quindi, delle infinite possibilità della narrazione a partire da elementi in apparenza scollegati, ma che trovano un senso nella biforcazione dell’immaginazione dell’autore. Qui entra in gioco allora la definizione di “romanzo enciclopedico” di Marco Drago, la cui parola chiave è il gerundio “volendo”:
Se la trama da seguire è semplice, Griffi riesce nell’intento di trasformarla in un’epica tragicomica che genera storie su storie, tanto che a un certo punto il lettore si rende conto (non senza un certo sgomento) che, volendo, il libro potrebbe non finire mai. Quando un autore non si pone limiti e decide intenzionalmente di buttarsi tutto intero nel testo che sta scrivendo, succede proprio questo: il testo, come lo spaziotempo, non è un concetto solido con dei limiti ben precisi. Ogni testo, volendo, possiede un’elasticità tale da poter essere teso all’infinito. La parola chiave, qua, è «volendo». Volendo si può scrivere un libro che contiene tutto. È una di quelle chimere che certi autori hanno inseguito, a partire forse da Cervantes per arrivare ai già citati Proust e Joyce fino ai nostri contemporanei David Foster Wallace e William T. Vollmann.
Tirando in ballo paragoni importanti, Drago fa luce su un aspetto fondamentale del romanzo di Griffi, ovvero il suo essere infinito. L’infinitezza di Ferrovie del Messico, con i suoi cambi di registro linguistico – dal sardo logudorese al tedesco passando per il romano e lo zerga –, di registro stilistico – comico, grottesco, colto – e i suoi continui giochi di rimando ad altre opere e autori – si pensi all’Astolfo dell’Orlando furioso o ad Arturo Belano, alter ego di Roberto Bolaño – è atto non tanto a un enciclopedismo fine a se stesso, quanto a dimostrare come la letteratura possa generare infinite possibilità di evasione e di costruzione di nuovi mondi.
Una parodia della quest
Parlando di infinite possibilità ed evasione, l’andamento di Ferrovie del Messico ricorda molto quello delle storie dei poemi cavallereschi. Tenendo a mente le prodezze letterarie ed enciclopediche dell’autore, nel caso di Cesco Magetti si può parlare di parodia della quest, dove vi è un eroe che si incammina alla ricerca – probabilmente fallimentare – di un Sacro Graal che non esiste: il libro di Gustavo Adolfo Baz.
Come in tutte le quest che si rispettano, anche Cesco deve affrontare delle sfide e degli ostacoli sul suo cammino. Queste sfide, che vanno dal cercare di curarsi un atroce mal di denti, dal trovare una parola d’ordine facendo la Settimana Enigmistica fino all’uccidere l’SS-Obestrumbannführer Hugo Kraas, portano il protagonista in luoghi e situazioni paradossali come i bagni pubblici, un night club, un cimitero e un campo da golf.
Il paradosso come motivo di sopravvivenza
In questa parodia della quest non mancano, inoltre, elementi magici ed esotici che assumono un tono paradossale. Oggetti come l’arma speciale, il samovar di Kraas ereditato da Puškin, storie come quelle dei poeti ferrovieri, dei poeti suicidi e dei pesci-follia islandesi fino all’innamoramento di Cesco per Tilde sono elementi magici di una realtà tragica e monotona come quella di Cesco, che non solo deve sopravvivere nel mezzo di una guerra mondiale e della lotta partigiana, ma deve confrontarsi anche con la soffocante realtà di un milite del fascismo.
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Infine, un altro aspetto che fomenta questo carattere parodico della quest è la città di Santa Brígida de la Ciénaga, una città dall’aura leggendaria dove si trova l’arma diabolica che cercano i nazisti per vincere la Guerra Mondiale. In realtà, però, questa città è solo frutto di racconti molto probabilmente inventati da Gustavo Adolfo Baz, di cui Cesco più che trovare inventa la collocazione all’interno della mappa redatta assieme al cartografo samoano Epa perché, come dice l’aiutante capo Morucci, «a me non interessa ‘na mazza di questa mappa. Ce l’hanno chiesta, noi gliela facciamo avere».
Le avventure di volti che ancora non si conoscono
La parodia della quest, però, assume un senso nella vita di Cesco, negli altri personaggi di Ferrovie del Messico e più in generale nella scrittura di Gian Marco Griffi, riassumibile nella seguente affermazione che fa Mec a Lito commentando il racconto borgesiano del Giardino dei sentieri che si biforcano:
C’è un’infinita serie di possibilità, ho detto, e ognuna di esse genera un mondo. Siamo noi, dunque, gli unici artefici del mondo come lo conosciamo. Un mondo che un momento dopo è un altro rispetto a quello del momento prima. Esistono infinite scelte e infiniti mondi.
Se Griffi attraverso i suoi libri è riuscito a creare una sorta di “Griffi-verso” dove i suoi libri costituiscono un unico e infinito romanzo – nel romanzo si fa riferimento infatti al suo debutto Più segreti degli angeli sono i suicidi (Bookabook, 2017) e in esso confluiscono anche due racconti già apparsi in Inciampi (Arkadia, 2019) – Cesco Magetti è riuscito a creare infinite possibilità per sfuggire non solo a un banale mal di denti, ma anche come reazione alle atrocità del fascismo che gli hanno portato via amici come Firmino ed Ennio.
A dare forza a ciò c’è la seguente profezia che si legge nelle lettere del glottologo scommettitore Frank Calcavecchia: “un uomo è il proprio volto riflesso in un pozzo, e il volto che emerge dal riflesso tremolante e increspato sul pelo dell’acqua è il volto di un altro, che ancora non conosce”. In questo modo assumono un senso le storie dell’impiegato amministrativo Bardolf Graf, del partigiano Steno e dello stesso Gustavo Adolfo Baz: le loro sono tutte storie frutto delle proiezioni immaginifiche e letterarie di Cesco e di Griffi che immaginandosi infiniti mondi e infinite possibilità cercano di evadere dalla realtà e in qualche modo rendersi protagonisti di storie e realtà parallele e alternative.
«Ferrovie del Messico»: un infinito gioco enciclopedico e letterario
In tempi di romanzi la cui vita editoriale se tutto va bene dura sei mesi, con Ferrovie del Messico (acquista) Gian Marco Griffi ha scritto un romanzo sulle infinite possibilità del romanzesco, dove quello che è stato scritto prima non finisce nel dimenticatoio, ma confluisce per creare una grande anima mundi letteraria dove il vecchio aiuta a creare nuove possibilità. La quest di Cesco Magetti che vuole sfuggire alla realtà soffocante del fascismo e della guerra è la stessa di Gian Marco Griffi, che da storie minime vuole creare infinite grandi storie per superare la monotonia della quotidianità.
Siamo esploratori delle possibilità: un angelo nel corpo di una vecchia, un sasso che spezza un dente, una mappa ferroviaria, una città irreale; ogni eventualità, vera o fantastica, crea un’apertura nella quale risiede il gheriglio della verità. E così il regno dei morti è un bagno pubblico o uno sgabuzzino che è soltanto uno sgabuzzino vuoto, e tu sei, nell’attimo stesso in cui agisci o non agisci, artefice di tutto ciò che accade ovunque sulla terra e vittima di tutto ciò che ogni altro essere umano lascia che accada o si adopera per fare accadere. Ogni smorfia sul volto di un altro essere umano compie il giro del mondo e lo cambia per sempre, irrimediabilmente.
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Da una situazione totalmente assurda (e l’assurdità stessa in questo romanzo è un’assurdità geniale), lo scrittore è riuscito a raccontarci storie « incredibili » mantenendo sempre una coerenza interna, con una miriade di personaggi e di eventi verosimili da un punto di vista umano (Tasso parlava di « verosimile cristiano » mi andrebbe di dire qui « verosimile umano »). E ci riesce facendo pure qualche salto nella storia (con « gli ordinatori » e il seno in silicone in un cimitero dell’Italia fascista) e un volo planato nella fantasia e nella geografia.
Il romanzo, inclassificabile (anche dal punto di vista del suo genere letterario, affine, forse, in qualche pagina, al realismo magico), è un libro fuori dal comune, in cui anche una pratica burocratica diventa un momento coinvolgente per noi lettori.
E’ un libro che mi ha fatto molto sorridere (e anche ridere !). Lo humour è, infatti, una delle caratteristiche più salienti – e piacevoli – del romanzo, humour che ci accompagna lungo tutte le pagine del romanzo… Suppongo. Vi confesso che non ho ancora finito di leggerlo, ma volevo condividere con voi questo mio entusiasmo…
Oltre all’assurdità e lo humour, è un libro che emana anche, molta tenerezza (nei confronti dei bambini, in amicizia, come quella tra l’ubriaco e il samoano…) e molta umanità. Anche l’umanità (e sensibilità) del fascista che guarda le stelle, o dell’impiegato tedesco che cerca di rendere « il suicidio assistito delle stato » più umano. In questo romanzo si prova simpatia per quasi tutti i personaggi, per quelli strampalati, quelli « conformisti » e mediocri e, a maggior ragione, per quelli « diversi », più sensibili o più ribelli (come Bardolf o Tilde) che vivono in un universo tutto loro.
Perché, in fin dei conti, non ci sono i (fondamentalmente) buoni e i (fondamentalmente) cattivi – tranne, ovviamente qualche eccezione, come l’ufficiale tedesco che continua a giocare a golf, lanciando la palla dalla faccia di un cadavere – ma c’è il Bene e il Male (la guerra, la mancanza di empatia e di poesia).
E leggendo qualche nome (da me totalmente sconosciuto) mi è venuto il dubbio, di tanto in tanto che si trattasse di personaggi veramante esistiti. Il romanzo mi ha anche fatto scoprire personaggi straordinari di cui non avevo mai sentito parlare come Maud Wagner…
Lo scrittore riesce ad immedesimarsi nei suoi personaggi, la loro logica, il loro linguaggio (standard, poetico, burocratese, dialettale, e altre sottigliezze meno percettibili), ma lo fa sempre – ed è questo il punto – con molta naturalezza. La naturalezza di chi non ha bisogno di comprovare le sue capacità stilistiche o sfoggiare la sua erudizione (non so ancora niente dello scrittore e sono curiosa di vedere un po’ chi è, dopo aver finito di leggere il suo libro),
Egli ci dà l’impressione di raccontare una storia tout simplement (anzi delle storie, attraverso i suoi personaggi : e che racconto sarebbe senza digressioni !). E’ un po’ « Il racconto dei racconti » per coniare un famoso titolo della letteratura italiana. Racconti che vorremmo ascoltare e riascolare. Per cui, gli direi, a Griffi, quello che diceva la bambia al benevolo Gustavo « raccontamelo ancora »…
Inès.
Non si capisce perché non abbia vinto lo Strega.
Vabbè… chissenefrega
Questo libro è così bello che quando arrivi in fondo viene voglia di rileggerlo.