È iniziato un nuovo anno e, come ogni nuovo inizio che si rispetti, qualcosa perisce e lascia un piccolo vuoto, come per imporci già da subito di riempirlo almeno un po’, via via lungo il nostro percorso. E di percorsi ne sapeva molto Gianni Celati, che dopo aver fatto della sua vita un tumultuoso flusso di coscienza – come lui stesso affermava – si è ritrovato davanti alla sua esauribilità, alla mortalità di questo corso, che sembrava infinito.
Gianni Celati, scrittore errante
Lo scrittore, critico letterario e traduttore italiano, nato a Sondrio nel 1937, è venuto a mancare nella prima settimana del 2022, il 3 gennaio, a Brighton, in Inghilterra, dove si era trasferito da qualche anno. Come è possibile notare da queste prime due coordinate, di nascita e di morte, lo scrittore fu infatti un personaggio errante. Bologna, Londra, la Pianura Padana, la Tunisia: sono solo alcune tra le mete principali del suo instancabile girovagare. «Spizzico qua e là», scrive nell’incipit di Conversazioni del vento volatore (acquista), prendendo dalla quotidianità ciò che questa ha da offrirgli. In ciò risiede forse il suo legame con Leopold Bloom, il protagonista dell’Ulisse di James Joyce che, dopo una fatica durata sette anni, Celati riesce a tradurre per intero e pubblicare con Einaudi nel 2013.
Di Gianni Celati non se ne vedono molti ai nostri giorni. Aveva una sua identità, conosceva la sua strada e sapeva perfettamente di non averne una sola. Ne ha infatti tastate molteplici, camminando in avanti, a zig zag, in muta osservazione. Gianni ha portato il suo nomadismo a spasso tra le diverse forme artistiche, prima fra tutte la scrittura, la sua prediletta, mescolata con il cinema e la fotografia. Quest’ultima ha rivestito un ruolo importante nel suo percorso letterario, portandolo a mutare, ancora una volta, la traiettoria da lui percorsa.
L’incontro con Luigi Ghirri
Il fotografo, però, non era lui. Nel 1981 riceve una chiamata. Non dall’Alto, figuriamoci, per uno con i piedi ben saldi in terra come lui. Si tratta, però di una di quelle chiamate che ti fanno smettere di fare o pensare quello che ti governava poco prima. Luigi Ghirri ha sentito parlare di lui da alcuni amici all’Università di Bologna e, incuriosito, si decide a contattarlo per programmare un incontro. Nascerà un sodalizio, un’amicizia e una lunga e appassionata avventura lungo la foce del Po e la pianura, che si concretizzeranno nel lavoro fotografico corale di “Viaggio in Italia”, nel 1984. Infatti, tra gli anni Settanta e Ottanta il mondo è cambiato e, immancabilmente, qualcuno ha deciso di andare da un’altra parte, mostrando che altre direzioni sono percorribili.
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Nella Bassa Padana si riunisce un gruppo di venti fotografi che, stanchi nel vedere un mondo riprodotto a mo’ di cartoline finte e stereotipate, decidono di guardare al paesaggio in un altro modo. Con le loro fotografie, scoperchiano il lato oscurato dell’età post-moderna, quello fatto di strade desolate e deserte, di lampioni dalla luce fioca, che si riversa sul freddo asfalto di una piazza di paese, di sagre e di quel che rimane della festa (la famosa Sera del dì di festa), di territori brulli, invasi dalla nebbia, anonimi.
I loro racconti intimi del territorio padano hanno innovato la fotografia e l’arte medesima del guardare e lo stesso Celati ne è rimasto folgorato. A lui viene assegnato un compito dall’ormai amico Ghirri: realizzare dei racconti durante i loro viaggi, commentare il loro modo di vedere il paesaggio e dare una sua interpretazione di ciò, attraverso le voci e i luoghi. Parola e immagine fuse nell’unione di due personalità, a volte poco ricordate nel panorama artistico italiano.
Tra scrittura e fotografia
È così che lo scrittore e i fotografi prendono a vagare per la Valle del Po, avvolgendo di continuo i rullini e sfogliando pagina per pagina i taccuini. Viaggio in Italia, Verso la foce. Reportage per un amico fotografo e Il profilo delle nuvole furono alcuni dei volumi a testimonianza di tutto questo. Celati comprende più che mai che i luoghi parlano e che non esiste un paesaggio “monotono”. A proposito di questo, scrive ne Il profilo delle nuvole:
Quando lavoravo in questo ambiente e prendevo appunti, spesso mi lamentavo con Ghirri per la difficoltà di trovare uno scarto ed uno stupore che portassero avanti. A volte mi veniva da dire che tutto è monotono e previsto, e lui mi rispondeva che non è vero. Certo: la monotonia non è che il sentimento deluso di chi s’aspetta sempre nuovi illusionismi, come se occorresse essere sedotti anche per fare un solo passo.
Gianni, in fondo, non poteva essere più che d’accordo. D’altronde, era affascinato dalla scrittura di Joyce, colui che utilizzò settecento pagine per raccontare un solo giorno in cui nulla di “speciale” accade. Trent’anni dopo, quando pubblicherà la sua traduzione dell’Ulisse, all’interno della Prefazione affermerà che la peregrinazione di Mr. Bloom risiede proprio in questa vita “senza nulla di speciale”, la vita come “un lungo chiacchierare con sé stessi”. Procedere, guardare e lasciarsi colpire dai fenomeni che si trovano; spiare il mondo, guardarlo specchiarsi dentro di noi. Allargare lo sguardo, aprirlo verso l’orizzonte, ricercando qua e là elementi di affezione, lasciando che la fotografia non smetta mai di parlare al proprio osservatore. Questi i tanti insegnamenti ricavati dalla sua esperienza con Luigi Ghirri.
Gianni Celati e il mondo come teatro
Ne Il profilo delle nuvole parlerà di queste rivelazioni, sostenendo che «in realtà una foto è solo un’immagine vaga […] Soprattutto perché in queste fotografie si direbbe che gli uomini se ne sono andati, per lasciare il campo libero alle cose. […] il paesaggio sembra una specie di magazzino delle rimanenze, dove tutto continua ad avere un senso anche se non ha nessun uso».
Residui e atmosfere. Una visione condivisa del mondo come un teatro e dell’essere umano come un attore che guarda la scena al di dentro e si lascia al tempo stesso osservare. Restare in questo gioco illusorio, fatto di specchi, in cui non tutto può essere detto e non tutto può essere recepito. Questo era quello che, nel suo campo, Celati individuava come “il rituale dello scrivere” (in Conversazioni del vento volatore): una partita fatta di distanze tra noi e la realtà, tra la nostra percezione del reale e le tante superfici che lo riflettono.
Più che ricordare Gianni Celati come un grande scrittore, bisognerebbe considerarlo un autentico camminatore, mai vagabondo o svagato. Il suo è stato un andamento che ha ricalcato il flusso lento, irregolare e costante di quel Po protagonista delle sue avventure. È stato un uomo che ha scelto di guardare il mondo, tenendo sempre a mente la lezione del suo primo maestro, Italo Calvino, ossia che «è il mondo che guarda il mondo». Con la sua vita, ha prodotto un vademecum dell’osservare e dell’intrecciare le proprie visioni e percezioni con quelle altrui e con lo spazio circostante. Per tutto questo, grazie Gianni.
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