«Una disperata vitalità». Insofferenti alla vecchiaia e alla vita

Aggrapparsi alla vita anche al costo di isolarsi e mostrarsi insofferenti a tutto

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Una disperata vitalità

Il nuovo romanzo di Giorgio Van Straten deve il suo nome ad una celebre poesia di Pier Paolo Pasolini: Una disperata vitalità. Pubblicato da HarperCollins nel 2022, è stato candidato al Premio Strega da Giovanna Botteri, ma manca dell’intensità narrativa di Pasolini, stentando a coinvolgere il lettore.

«Una disperata vitalità»: la paura di invecchiare

Il romanzo è raccontato dal punto di vista di Giorgio, impiegato presso un editore italiano, che decide di dare una svolta alla sua vita trasferendosi a New York. Alla soglia dei suoi sessant’anni, Giorgio realizza improvvisamente di stare invecchiando: tenta di razionalizzare questa paura stilando una lista dei suoi mali, con la quale si apre il romanzo, ma scivola in una spirale di ipocondria e insofferenza.

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La vitalità – dimensione centrale dell’interiorità di Giorgio – è ciò che più contraddistingue la realizzazione di essere giunto alla vecchiaia: piuttosto che abbandonarsi a ritmi di vita più rilassati, decide di adeguarsi alla frenesia newyorkese, ottenendo ben pochi risultati. Presto, anche l’illusione di poter abbracciare il sogno americano si sgretola e la vitalità diventa progressivamente un malanno da aggiungere alla lista che si ostina ad aggiornare: «Aveva l’impressione di girare sempre più a vuoto e che fosse proprio quella vitalità senza scopo a causare gran parte dei suoi malanni».

Le relazioni problematiche

La vitalità “periclitante” e “senza scopo” è la misura delle relazioni problematiche che il protagonista intrattiene con le donne, con la politica e la società che lo circonda. Dopo il divorzio, vi è una costante tensione tra la volontà di approfondire i legami e la paura che ciò possa causare degli sconvolgimenti nella sua routine. La solitudine di Giorgio è dovuta al suo stesso infantilismo, acuito dall’età, che lascia un «senso di perdita e di irreparabilità».

Il tentativo di stringere relazioni con gli altri è ostacolato dalla loro distrazione nei suoi confronti, istigandolo quasi alla violenza. Ma è lo stesso Giorgio ad essere superficiale con chi lo circonda, gli altri sono visi sfocati sullo sfondo di una vita mondana che non ha reale interesse nel coltivare.

Gli anni che passano si materializzano non solo nell’invecchiamento del corpo, ma anche nell’allentamento delle proprie posizioni morali. L’allontanamento dalla politica italiana e l’insofferenza verso l’american way of life lo posiziona doppiamente ai margini della società. La contemporaneità è un campo da gioco incomprensibile: Giorgio, messo in panchina fisicamente e spiritualmente, ne è tagliato fuori.

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Contro di sé, avverte tutta l’ostilità di un mondo che sembra averlo accettato inconsapevolmente come abitante, trattandolo con indifferenza. Ed è lui stesso a riservare un atteggiamento paternalistico rispetto a ciò che lo circonda – evidente soprattutto quando si discute del movimento #MeToo – che colloquialmente verrebbe etichettato boomer.

La condizione di escluso è un riflesso della sua reticenza a fare i conti con la realtà: spesso vengono lasciati degli indizi sulla problematica centrale della sua vita, che verrà svelata ma non approfondita alla fine del romanzo.

L’ostinata vitalità

Il repentino peggioramento della sua salute è il riflesso di un’ansia crescente: si affida ai dottori per trovare la radice del suo malessere, che sembra sociale piuttosto che fisico. Solo e insoddisfatto, l’ansia di Giorgio è indice della sua disperata vitalità e presagio nefasto. Agitandosi confusamente, intrattiene rapporti superficiali che occupano la maggior parte del romanzo ma sono inutili ai fini della trama e che hanno l’effetto di confondere il lettore.

La storia raccontata in Una disperata vitalità (acquista), già piuttosto claudicante, si risolve in un nulla di fatto: poiché il lettore non è incuriosito, il cliffhanger finale risulta un mero esercizio di stile. L’interiorità di Giorgio appare insufficiente a condurre le fila del romanzo che, sebbene sia scorrevole, si ritrova mutilato da un protagonista senza carisma e un narratore né esterno né interno. Sfortunatamente, la personalità di Giorgio ha poco o nulla a che vedere con Barney, il protagonista idiosincratico del celebre romanzo di Mordecai Richler, con il quale è stato paragonato nella quarta di copertina.

Di Giorgio sappiamo troppo poco per riuscire ad empatizzare con lui o disprezzarlo: il suo egoismo infantile, timidamente accennato a più riprese, non è abbastanza sviluppato nella trama. Piuttosto che un eroe tragico, è un’incognita per l’autore e per il lettore: Giorgio appare sbattere confusamente le proprie ali, mosso da una vitalità ostinata e ottusa, senza sapere «i motivi che, nonostante tutto, lo spingevano ogni giorno a uscire dal letto».

Giovanna Di Pietro

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Redazione MM

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