Nella valle scura ai piedi del Monte Rosa

«Giù nella valle» di Paolo Cognetti

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«Giù nella valle» di Paolo Cognetti

Quando si dice Paolo Cognetti si dice montagna. Benché l’autore si svincoli da quest’etichetta, l’equazione funziona ormai da tempo, e il successo globale de Le otto montagne ha dimostrato che la penna di Cognetti ha un talento particolare: mostrare il lato umano di un paesaggio disumano come quello roccioso dei monti valdostani, e al contempo rappresentare con finezza e onestà i personaggi che abitano quei luoghi. In Giù nella valle (Einaudi), però, il paesaggio cambia e con esso le sue persone: siamo in Valsesia, una valle che – scrive Cognetti nella postfazione, «pare perseguitata dalla malasorte». Niente pendii rocciosi, niente camminate per raggiungere l’alpeggio: questa valle ha solo campi e boschi, «un lato al sole e un lato all’ombra», e il fiume Sesia a dividerli.

«Giù nella valle»: la trama

Nella valle si cominciano a trovare corpi di cani. Sono stati azzannati alla gola, alcuni con una forza tale da spezzare il collare di cuoio. I proprietari degli animali, le guardie forestali, gli ubriachi nei bar scommettono su chi sia il killer: cane o lupo?

Nel frattempo, noi lettori seguiamo l’animale nella sua corsa insieme alla compagna che ha scelto, una cagnolina bianca che assiste a tutta questa violenza senza poter far altro che seguirlo e ogni tanto nascondersi dai cacciatori sulle loro tracce.

Gli umani di questa storia, invece, sono tre. Luigi, guardia forestale, nato e sempre vissuto nella sua valle, che ha sposato Elisabetta, ragazza di città che ha lasciato Milano per amore e che ora aspetta una bambina. Il padre di Luigi è morto da poco e gli ha lasciato due eredità: il vizio dell’alcol – tantissimo alcol, che certe notti lo fa restare fuori casa, a dormire nel bosco – e una casa in montagna con davanti due alberi, un abete e un larice, quest’ultimo piantato dal padre per Luigi. L’abete, invece, era per Alfredo, suo fratello e terzo personaggio di questa commedia umana ombrosa. Alfredo è un uomo cupo e violento: fuggito giovane alla valle – immagine di tanti uomini che negli anni dello sviluppo industriale hanno lasciato le zone alpine per lavorare e alienarsi in città –, si è formato in Canada tra boschi di alberi secolari, villaggi di indiani e lupi grossi come non ce ne sono sulle Alpi. Seguendo il flusso della strana maledizione della Valsesia, quando arriva il cane/lupo a seminare la morte torna anche Alfredo, col suo bagaglio di minacciosa ostilità.

In questo libro Cognetti affronta i macro temi dell’umano: la morte del padre, l’attesa di un figlio, la rivalità tra fratelli, il matrimonio. Durante il dialogo con Vasco Brondi, in occasione della presentazione bolognese del libro alla Fondazione MAST, Cognetti ha parlato di uno stato di rabbia e frustrazione da cui sarebbe sgorgato il furore narrativo del romanzo: poche speranze in vista per un genere umano che continua a distruggersi a vicenda e a danneggiare l’ambiente in cui si muove. Questo pessimismo intesse la trama del romanzo, e si riflette nell’atmosfera cupa della Valsesia e dei suoi abitanti.

Il lato al sole e il lato all’ombra

Durante la presentazione del libro a Bologna, una lettrice ha mosso a Cognetti la critica di una scarsa presenza femminile nel libro: perché l’una donna del libro è Betta, forse, o forse perché è un personaggio quieto e gentile. Eppure, non è così: il femminile è fondamentale, ed è tanto rappresentato a livello simbolico da rappresentare la possibilità di salvezza nel clima scuro e disperato del romanzo.

I simboli si trovano già nel paesaggio: le due sponde del Sesia, o come lo chiamano i locali la Sesia, sembrano infatti rappresentare il maschile e il femminile di questa storia. Il lato al sole è quello di Elisabetta, che ha lasciato Milano per amore e per inseguire «la vita vera», e che si immerge nel fiume per chiedergli di proteggere la sua bambina ed è costretta ad accettare lunghe notti di solitudine: «Negli anni, è arrivata ad abituarsi a queste notti solitarie come una parte del suo matrimonio. Ha un marito che a volte dorme con lei, a volte nel bosco. Elisabetta se ne stancherà, un giorno non più lontano». Ma il lato al sole è anche la cagnolina bianca, la compagna dell’animale che semina morte: entrambe sono costrette a vivere in un mondo maschile in cui sono le logiche della violenza a dominare, e ad esse non possono opporre altro che la difesa dell’amore per i propri cari.

L’ombra, invece, ha a che fare con il maschile e con la brutalità degli uomini e del cane/lupo, che uccide per difendere ciò che è suo, tanto il cibo quanto la compagna. Soprattutto, l’ombra ha a che fare con l’abbrutimento e con la dimensione di cupezza che questi personaggi condividono con la foresta in cui si muovono. C’è qualcosa di primario nel modo in cui vengono descritti gli stati interiori: in un mondo tanto dentro la natura e tanto fuori dalla civiltà come quello, è come se le uniche metafore comprensibili fossero quelle con gli elementi concreti dell’ambiente:

Luigi la vide pulsare lentissimamente: e nello stato in cui si trovava vide che la foresta era lui, il fuoco era dentro di sé, la neve era il suo matrimonio. Era la pelle bianca di Elisabetta e la pace che gli dava. Poi suo fratello gli raccontò del disgelo, che lassù in Canada non arrivava che in maggio inoltrato. Allora la brace tornava in superficie, nera, umida, in apparenza morta. Ma non era morta. Finché un giorno si alzava il vento della primavera. Fiuu!, fece Fredo, soffiò su di lui e diede fuoco a tutto.

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Per un pugno di alberi

La questione ambientale è molto cara a Cognetti, che racconta di come dedichi gran parte delle sue giornate a leggere e studiare testi sull’argomento climatico o di botanica. Il suo legame con la natura è fortissimo e si concretizza nel capitolo finale, un poemetto in versi in cui si mette in scena la battaglia degli alberi.

«Ho molta più libertà ora di quando ero un giovane scrittore» ha detto Cognetti, «ora posso dirmi: ma sì facciamo il capitolo finale come un canto epico di una guerra degli alberi»: utilizzando il sottotesto di leggende celtiche sulla dea luna e gli alberi suoi sacerdoti, Cognetti eterizza la lotta tra alberi e uomo, lotta in cui questi sono destinati a soccorrere, a essere abbattuti a migliaia. Così nel libro accade a cinquemila alberi che, per caso o per loro sfortuna, si sono trovati nel versante della montagna in cui si è deciso di realizzare una pista da sci.

Indugiarono al riparo
il mirtillo e la genziana,
senza esperienza di guerra,
e la felce cortese.

L’erica offriva consolazione
ai combattenti sfiniti,
il pino odoroso di resina
cadde tra le sue braccia.

Guardare in su

Abbiamo detto che in questo libro non c’è montagna, solo bosco, campi e fiume, ma non è del tutto vero. È in realtà la prospettiva dei personaggi a dare quest’impressione al lettore: in questo libro gli uomini della valle guardano sempre a terra, il loro sguardo è ancorato all’ombra che si trascinano dietro e non hanno l’ampiezza di respiro per guardare in su, o di fronte a loro. Se lo facessero, vedrebbero il ghiacciaio del monte Rosa in fondo alla valle:

Io spesso mi dimentico che in cima questa valle c’è quella montagna, che il fiume nasce lì: giù da noi l’ombra era già calata da un pezzo, mentre là sul ghiacciaio rifletteva il sole.

Forse si può leggere Giù nella valle (acquista) senza contestualizzazioni, e ne si apprezzerebbe comunque l’eccezionalità. Eppure, la Nota dell’autore posta in fondo al libro aggiunge molto: qui Cognetti parla delle suggestioni da cui è nato il romanzo, dai riferimenti musicali e letterari americani (soprattutto Bruce Springsteen, Flannery O’ Connor e Raymond Carver) che hanno formato il suo immaginario e che sono confluiti in questa storia, a metà tra la foresta alpina e quella canadese. Qui da noi, in confronto, tutto sembra più piccolo, e forse è questo che interessa a Cognetti: osservare come la natura comunichi con il singolo, come gli dia forza o gli tolga vitalità, qualcosa in cui credere o da cui scappare, e e poi scriverlo con una prosa meravigliosa.

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Michela La Grotteria

Classe 1999, genovese, dopo la triennale a Milano si sta specializzando in Italianistica a Bologna. Ama i racconti brevi – ogni tanto ne scrive e pubblica qualcuno – e i romanzi lunghi, le tazze da tè e il francese. Sogna di trasferirsi a Parigi e lavorare in una libreria indipendente.

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