«Il vero terrore è svegliarsi una mattina e scoprire che i tuoi compagni di liceo stanno governando il Paese». Così scrisse una volta Kurt Vonnegut, autore di capolavori come Mattatoio N.5 e Ghiaccio-nove. L’autore originario di Indianapolis ci ha visto lungo con questo aforisma, in quanto ormai in politica – almeno, in quella nostrana – vediamo tanti dilettanti allo sbaraglio che tempo fa non avevano nemmeno voglia di studiare e ora si ritrovano ad avere in mano le redini del paese.
È quello che deve aver pensato lo scrittore pugliese Davide Grittani nel momento in cui ha deciso di scrivere il suo nuovo romanzo Il gregge, uscito a febbraio per i tipi di Alter Ego Edizioni, proposto al Premio Strega 2024 da Wanda Marasco e che gode già di endorsement importanti come quello di Roberto Saviano, il quale ha definito questo romanzo un misto di «stile e rancore civile, letteratura e indignazione».
La trama di «Il gregge»
La storia di Il gregge si svolge in una città senza nome che, se consideriamo la presenza dei tram, dei ledwall e delle terrazze vista duomo, ci sembra essere Milano, ma potrebbe comunque essere qualsiasi città. In questa città senza nome dai condomini abitati da persone di varia provenienza si muove il narratore senza nome, un brandend content stufo di «suggerire a persone che non conosce come vorrebbe che fossero» e che convive, seppur a inerzia, con Claudia.
La città è in piena campagna elettorale, in cui a candidarsi per la posizione di sindaco ci sono Michele Ametrano e Matteo Migliore. Quest’ultimo contatta il narratore per proporgli di collaborare, ma non solo lui, anche Dell’Atti, Cantalupi, Lamartora detto Saponetta e Zavaglia. Tutti loro sono ex compagni di classe della Quinta D del Liceo Pasolini nell’anno scolastico 1991-1992. Ai tempi chiamato “Croce Rossa“, una persona che «da ragazzo sembrava così impacciato e remissivo», pronto a difendersi invocando l’aiuto del padre, temuto funzionario statale, e della madre, ereditiera dell’impresa di famiglia, ora Migliore «si è identificato con la propaganda di un partito ossessionato dalla tutela dei confini, paranoie suprematiste e deliri suprematisti».
All’appello manca, però, Mario Carella, detto Bulldog, un funzionario della guardia di finanza morto in circostanze poco chiare durante un’indagine. Quest’ultima aveva molto probabilmente come obiettivo proprio il suo ex compagno di classe Migliore, un uomo pressoché mediocre che è riuscito ad acquisire influenza, ma in maniera abbastanza torbida, che molto nasconde, e allo stesso tempo molto ci dice di questi tempi sovranisti e populisti che stiamo vivendo.
L’influenza della cronaca nella narrativa di Davide Grittani
Davide Grittani è noto ai lettori per ispirarsi sempre a fatti di cronaca nel scrivere i suoi romanzi. Se La rampicante si ispirava a un episodio avvenuto in Friuli nel 1992 sulla morte di un esponente della banda del Brenta e La bambina dagli occhi d’oliva a degli episodi di abusi su minori avvenuti nel rione Prati a Roma tra il 1972 e il 1978, anche Il gregge non è esente da influenze provenienti dalla cronaca. Il fatto in questione è avvenuto nel maggio 2013 quando, durante le amministrative di Sulmona, ha ottenuto il 21,8% di voti il candidato sindaco Fulvio Di Benedetto, stroncato da un infarto qualche settimana prima e che gli elettori hanno comunque votato.
Questo episodio sembra uscire dal film di Carlo Vanzina Buona giornata, in cui il senatore Leonardo Lo Bianco, interpretato da Lino Banfi, rischia di essere arrestato per corruzione, e per sfuggire all’arresto costringe a votare un suo compagno di partito morto per un infarto durante un incontro amoroso con una prostituta. Grittani, dunque, sembra partire da questa dinamica grottesca – con qualche punta, aggiungeremmo, di satira brechtiana – per parlare non solo del dilagante opportunismo politico, ma anche del potere che ha oramai il consenso politico.
«Il gregge»: compagni di classe pronti a governare
Per analizzare il consenso politico, inoltre, Grittani traspone episodi iconici della nostra politica per analizzarli in chiave narrativa e farci capire meglio come funziona la macchina politica sia dal punto di vista dell’elettore che dalla prospettiva di chi fa politica. Esempi di episodi iconici sono per esempio Matteo Salvini che citofona a presunti spacciatori, Silvio Berlusconi che si candida a Presidente della Repubblica, ma ci sono anche riferimenti velati a Bruno Vespa, qui chiamato Bruno Tresca, e a Pier Paolo Pasolini, il cui Petrolio è qui chiamato Gasolina.
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È in questo senso che bisogna interpretare, quindi, la scelta del narratore operata dall’autore foggiano, un narratore in prima persona che più che essere attivo nella vicenda è osservatore quasi passivo. Quest’ultimo è un osservatore senza nome, che può essere lo stesso Grittani quanto ognuno di noi, un io individuale che si fa noi collettivo, termometro della rabbia civile e dell’assenza di scrupoli della classe dirigente.
Matteo Migliore, quintessenza dell’uomo brechtiano
Non per niente è stato citato Bertolt Brecht, in quanto di quest’ultimo è presente una profonda eco della sua indignazione civile nel romanzo di Grittani, e proprio il personaggio di Migliore sembra uscito dalla penna del drammaturgo di Augusta. Migliore, infatti, tanto assomiglia a personaggi come i mendicanti di Jonathan Jeremiah Peachum o Galy Gay, uomini forgiati a immagine e somiglianza di una società capitalista senza scrupoli che ha bisogno di sfruttare gli altri per avere consenso e perpetrare i propri crimini.
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Migliore, infatti, è diventato improvvisamente il politico di questi tempi di ampi consensi, pronto ad «ascoltare le voci tutti» quando un tempo «metteva la museruola alla vita che ci germogliava dentro», un uomo letteralmente venuto dal nulla che proprio grazie alla sua vanità va avanti, come il cavallo di Caligola candidato a console, proposto tale dal dispotico imperatore come segno della vacuità della classe politica di allora, tanto simile a quella di adesso e per cui chiunque può ricoprire cariche importanti, basta saper parlare alla pancia del paese:
Rieccolo, dunque, Croce rossa. […] La favola di un uomo giusto, venuto dal nulla, si autoalimenterà in perpetuo, agevolata dal vuoto cibernetico di certe televisioni, opinionisti a libro paga, trasmissioni da regime fatte passare come servizio pubblico. Altro che tutto già visto, questo modello di democrazia somministrata ha anticipato ogni realtà virtuale, proponendo un’alternativa immaginaria basata quasi esclusivamente sulla vanità. Da decenni in cabina elettorale si consuma un trapasso, dalla vita reale a quella cui ci illudono di partecipare: così votare – che non è mai stato un gesto umano, giacché incoraggia una goffa selezione della specie – è diventato il safari che conosciamo. Fotografare gazzelle in attesa dei leoni.
Come nella puntata Vota Waldo! di Black Mirror, in cui un orsetto blu creato al computer diventa candidato sindaco assurgendo a voce del popolo e annientando pubblicamente i suoi nemici per poi alla fine lasciare spazio al candidato conservatore che vincerà poi le elezione in una Londra distopica, Migliore sfrutta l’onda del dissenso civile per alimentare la sua amoralità e poter «dividere grappoli di potere prima ancora che la vite dia i suoi frutti», per prepararsi a diventare il Mackie Messer che da criminale diventa baronetto della Regina grazie alla sua capacità di muoversi fra il torbido e i colletti bianchi.
Sfruttamento del consenso
Per fare ciò, però, Migliore è consapevole del potere che hanno le masse. «L’uomo», scriveva Elias Canetti in Massa e potere, «fin dalle sue origini, volle essere in maggior numero», e per riuscirci deve trasformare la massa. Migliore la trasforma nel momento in cui continua a chiamare per cognome i suoi vecchi compagni di classe, trasformandoli in inventari della propria campagna elettorale, oggetti che lo aiutano ad aumentare il consenso:
Non ci chiamiamo mai per nome. È il peggior retaggio della scuola, che imponendo la dottrina dei cognomi rinuncia all’individuo in favore del collettivo, trasforma gli studenti in un inventario.
Se è vero che la scuola è il microcosmo della realtà, già questa questione del cognome fa capire come le masse siano sottoposte a loro insaputa a una metamorfosi in strumento del consenso sotto la falsa egida della collettività. I vecchi compagni del Liceo Pasolini – narratore compreso – diventano anche loro termometro di una società che cambia, in cui la massa non riesce più a ragionare con la testa, bensì con la pancia, dando il voto a chi promette di più da mangiare, al punto che in occasione dell’incontro fra Migliore e il capo dei rom il narratore osserva che «oggi siamo solo la copia ingiallita di un’intolleranza che si rigenera, rinvigorisce, ciclicamente ritorna» portando «le etichette dell’ignoranza, come un gregge qualsiasi».
Sciarade di responsabilità e omissioni
La comitiva del narratore diventa un gregge che, invece di rivelare quanto di marcio si cela dietro alle macchine del consenso, si sottrae ad esse, facendo eleggere una classe dirigente «di un popolo che non li ha scelti ma subìti», un popolo che come la Quinta D del Pasolini diventa solo merce di scambio per fare i propri interessi e raggiungere i propri obiettivi.
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Sarà, poi, troppo tardi quando il narratore de Il gregge (acquista) realizzerà che sono stati tutti spettatori accomodanti di uno spettacolo scandaloso in cui «chi vince finisce per cimentarsi in sciarade in cui responsabilità e omissioni hanno lo stesso significato», in cui l’individualità delle masse è sacrificata per l’individualità senza scrupoli di chi ha in mano il potere.
Gazzelle in attesa dei leoni
«Essere buono, e chi non lo vorrebbe? Ma, ahimè, questa è la sorte di noi vivi: i mezzi scarsi e gli uomini cattivi. Chiediamo, sì, pace e fraternità, ma all’atto pratico – non va, non va!». Così scriveva Bertolt Brecht nell’Opera da tre soldi, e così si potrebbe riassumere Il gregge (acquista) di Davide Grittani. La politica dovrebbe fare del bene, ma chi vi si cimenta sa che purtroppo bisogna diventare senza scrupoli come il principe machiavellico: promettere e illudere per fare i propri interessi, prendere le masse e reificarle per legittimare un’immagine mediocre, ma che con gli giusti strumenti arriva al potere. Il narratore di Grittani, però, ci dimostra come l’unico modo per sfuggire alla strumentalizzazione di massa sia quello di esercitare sempre il pensiero critico, unica forma di ribellione che ci permette di non sottrarci all’ascesa dei barbari.
Esserci sottratti ai nostri doveri, alle responsabilità delle nostre scelte, ha favorito l’invasione dei mediocri. Siamo circondati da mediocri, ovunque. Occupano posti di vertice nelle aziende, nei governi, nell’arte. Sono state le nostre rinunce a incoraggiare l’emersione di questo nulla, solo così per me questa catastrofe diventa più dolce.
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