Quando si parla di letteratura sarda, è inevitabile pensare a Grazia Deledda, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926. Nei suoi confronti sembra esserci una specie di timore reverenziale, una certa paura nel raccontare la Sardegna in maniera diversa da quella rurale e primitiva dell’autrice di Nuoro.
Ci sono scrittori giovani, però, che ultimamente si sono cimentati nel raccontare la Sardegna cercando una propria via ed evitando di cadere nel folklorismo facile, anzi, prendendo il folklore sardo e rielaborandolo in chiave contemporanea. Fra questi figurano Ilenia Zedda, Mauro Tetti e Ignazio Caruso. Quest’ultimo, nato a Catania ma cresciuto ad Alghero, ha debuttato lo scorso giugno con Adeu, edito Giulio Perrone Editore.
«Adeu»: la trama
Adeu è ambientato in Sardegna, qui denominata República di Cadossene. Cadossene è uno dei tanti nomi con cui quest’isola è conosciuta. Esso deriva dal termine ebraico-fenicio“Kadoš-Šēne” dal significato di “Madre Sacra”, poiché considerata un’isola dei miracoli dai Fenici, che arrivarono lì attorno all’VIII secolo a.c. Il protagonista del romanzo è Eloi Barra, impiegato dell’Ofici Postal di Algàr – molto simile ad Alghero – che riceve dal Ministeri Demogràfic di Castell una lettera che annuncia il suo ineluttabile destino: deve uccidere suo padre Nevio, artigiano ormai in pensione che soffre di problemi cardiovascolari.
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Questo momento, definito “adeu” – da cui il titolo del romanzo –, è un rito molto diffuso a Cadossene, poiché è ciò che inizia i giovani alla vita adulta. Esso consiste nell’intraprendere un viaggio verso il Monte muniti di randell per uccidere i propri padri. Eloi, però, sembra riluttante all’idea di questo ineluttabile parricidio, ma gli Dèi che osservano dall’alto sanno che nessuno, nemmeno il protagonista, può sottrarsi al proprio destino.
«Adeu»: la Sardegna di Caruso fra mito, contemporaneità e scontro generazionale
Il romanzo d’esordio di Ignazio Caruso riesce a creare qualcosa di simile a Nostalgie della terra di Mauro Tetti. Caruso, infatti, sa raccontare la Sardegna attraverso una mitologia propria, a partire da una leggenda popolare sarda, come racconta l’autore in una sua intervista rilasciata per «La Nuova Sardegna»:
Avevo letto una storia popolare in cui, dopo un lungo viaggio, il figlio uccideva il padre. Aveva in sé tanti riti di passaggio, ma su tutti la separazione dal genitore, e l’ho sentita mia per le esperienze di vita che avevo alle spalle, ma anche per un motivo generazionale: i ragazzi della mia età hanno avuto difficoltà ad affermarsi e spesso perché le vecchie generazioni non demordevano. Così, ho creato la República di Cadossene, dove i giovani prendono il posto dei vecchi in maniera violenta, rituale.
Ignazio Caruso, dunque, prende una storia popolare sarda e la rimodella attraverso non solo la mitologia classica – nella storia di Cronòs, Uràn e Déu raccontata nel Prologo si può riconoscere quella di Crono e Zeus –, ma anche la contemporaneità nel momento in cui crea, attraverso la República di Cadossene, una sorta di mondo distopico attraverso cui raccontare il classico tema del parricidio.
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A leggere l’intervista di Caruso, ci si rende conto di come il parricidio narrato sia da intendersi soprattutto in senso metaforico. Per scrittori come Caruso, Tetti, ma anche Giovanni Gusai, che nel suo Come in cielo così in mare racconta un confronto generazionale con le proprie radici, diventa importante “uccidere il padre” – per gli scrittori sardi si intende, naturalmente, Grazia Deledda – per narrare la Sardegna in maniera nuova e più contemporanea. Caruso racconta questa Sardegna rendendola un posto fuori dal tempo nel momento in cui la trasforma in República di Cadossene, utilizza il catalano – lingua parlata ad Alghero – mista all’italiano, e fonda mitologia classica e pagana a una realtà distopica più contemporanea dove chi governa decide il destino delle vite altrui.
L’ineluttabilità del destino
Già all’inizio del romanzo Caruso ci rende partecipi di in un forte senso di ineluttabilità del destino e inesorabilità dello scorrere del tempo:
Diede quindi un’occhiata all’orologio poggiato sul comodino, una vecchia sveglia d’ottone le cui lancette giacevano immobili solo gli Dèi sapevano da quanto, era difatti accaduto un evento del tutto prevedibile e in un certo modo inevitabile, ovvero un giorno imprecisato le stesse lancette avevano smesso di avanzare piantandosi a indicare un’ora che Eloi avrebbe poi dimenticato, Eloi che non s’era minimamente curato di porvi rimedio, solo ogni si prometteva domani ci penserò, domani me ne occuperò, che ci vuole, una cosa da niente, ma soprattutto c’è tempo, c’è sempre tempo – Cronòs, la disgrazia degli uomini.
Già in questo brano sono contenuti degli elementi fondamentali e ricorrenti: l’orologio, lo scorrere del tempo e gli Dèi. Questi elementi si presentano nel romanzo in maniera differente. In primo luogo sono replicati a livello di struttura, dove i titoli dei capitoli alternano il nono e il decimo giorno – momento del viaggio al Monte – con i giorni precedenti, quasi a tardare il momento del parricidio che Eloi non vuole commettere e a rendere più forte l’incedere del tempo.
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Un altro aspetto da tener presente è, invece, di livello narratologico. Il romanzo è narrato prevalentemente in terza persona, con commenti da parte del narratore onnisciente sugli Dèi che lasciano intendere l’indifferenza di questi nei confronti di Eloi, poiché «fanno la faccia di chi già sa come andrà a finire».
Dall’inizio alla fine del romanzo, dunque, assistiamo alla tenacia di Eloi nel cercare di tardare il momento della morte del padre da un lato e allo scorrere inesorabile del destino dall’altro, che avrà la meglio su quello che è «solo uno dei tanti sciocchi miseri esseri umani, una goccia di troppo nell’oceano di sofferenza dell’universo», ovvero il protagonista.
Un «Adeu» necessario
A Eloi, dunque, non resta altra scelta che compiere il fatidico viaggio verso il Monte e accompagnare suo padre alla morte, un uomo che dopo avergli fatto sia da padre che da madre e averlo cresciuto con tutte le difficoltà del caso è costretto ad accettare con rassegnazione il suo destino. Tornando a Grazia Deledda, ci troviamo di fronte a due canne al vento incapaci di opporsi a un disegno più grande di loro:
D’altronde, se a Cadossene tutto funzionava, se a Cadossene tutti avevano un lavoro, era anche per questo, perché chi doveva “farsi da parte”, si “faceva da parte”, (insomma, veniva messo da parte). Erano anni che le cose andavano così: lui non sarebbe stato né il primo né l’ultimo a esitare, ma neanche il primo né l’ultimo a farlo.
Il parricidio che Eloi è chiamato a commettere sembra una mancanza di rispetto nei confronti di Nevio e soprattutto un segno del male che si insinua nonostante il protagonista abbia ricevuto l’affetto – seppur espresso tramite silenzi e gesti goffi – del padre. In realtà, il parricidio è da intendersi come tappa di crescita obbligata del protagonista. Nevio, infatti, dirà al figlio: «spero che ti rimanga qualcosa spero che ti rimanga che ti ho voluto bene», ma allo stesso tempo «adesso per favore svegliati e fai quello che devi fare».
Eloi può pertanto continuare ad amare suo padre, a essergli grato per quello che è riuscito a dargli, ma deve imparare a «sentire gravare sulla sua schiena tutta la solitudine del mondo». Deve imparare che prima o poi chi lo ha amato sparirà «nei ricordi, incastrato in un buco scavato tra le pietre», che dal passato bisogna sapersi staccare. Solo così Eloi può diventare uomo e a sua volta padre.
La morte del padre come ingresso nella vita degli uomini
Con Adeu (acquista) Ignazio Caruso è riuscito a raccontare la Sardegna e il rapporto padre e figlio rinnovando le tradizioni e il linguaggio della sua terra contaminandoli di classicità e contemporaneità. La storia di Eloi e Nevio è una storia di uomini che devono rassegnarsi al proprio destino, imparare a convivere con il dolore e la perdita e a lasciar andare il passato prendendo in mano la propria vita e il proprio futuro.
Il parricidio di Eloi, però, è la metafora di una storia generazionale, quella di scrittori come Ignazio Caruso, riconoscenti verso la tradizione letteraria sarda, ma consapevoli che bisogna sapersi innovare e creare qualcosa di nuovo, che a sua volta sarà riconsiderato da altri. “Uccidere”, dunque, Grazia Deledda per creare una nuova letteratura, che aprirà la strada a nuovi figli che per crescere dovranno “uccidere” i loro “padri”.
Così, dacché si racconta la storia del mondo, tutto questo si ripete e, terminata la vendemmia e imbottigliate le ultime fiasche, agli abitanti di Cadossene non resta che attendere, affare di cui sono molto esperti: attendere l’autunno, quando le foglie gocciolano dagli alberi e le castagne animano le braci, le giornate si accorciano, brevi da sembrare interminabili, e i figli salgono, come si conviene, sul Monte, insieme ai loro vecchi, per compiere il volere degli Dèi.
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Bellissimo e approfondito commento senza retorica né superflua erudizione.
Complimentus coralis (lingua sarda)