L’invenzione del ricordo

«Il mio nome nel vento» di Alessandro Rivali

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Il mio nome è nel vento

Alessandro Rivali si cimenta per la prima volta nel romanzo. Dopo una carriera dedicata all’editoria – è Direttore editoriale di Ares Edizioni – e alla poesia – fra tutto si ricorda La terra di Caino – pubblica Il mio nome del vento per Mondadori. Rivali dedica il libro al padre Augusto – recentemente scomparso – e ne acquisisce la prospettiva narrando dal suo punto di vista il secolo breve.

D’altronde l’autore non era di per sé estraneo ai principi della ricostruzione storica e alla vena documentaristica: in tal senso si ricordano i volumi dedicati a Giampiero Neri e il libro-intervista Ho cercato di scrivere Paradiso con Mary de Rachewiltz, figlia di Ezra Pound. Un libro dunque inedito che, però, in realtà, fa grande tesoro delle esperienze precedenti riconsegnandoci un volume che è molto di più rispetto all’ennesima saga famigliare.

Barcellona brucia

Come sosteneva Gerard de Nerval “inventare è ricordare”. È così che Rivali intreccia la storia eccezionale della sua famiglia tra realtà storica, invenzione letteraria e episodi tramandati di generazione in generazione. Un collage di impressioni, ritratti, aneddoti che vanno a costellare lo scenario imbastito dall’autore.

Il protagonista è Augusto Monclavi, membro di una numerosa famiglia di genovesi trapiantati a Barcellona nei primi decenni del Novecento. Il padre, in particolare, dopo una serie di forti dissidi famigliari sulla scelta della moglie, decide di lasciare la città natale e imbarcarsi verso una nuova meta. Il caso lo porterà a Barcellona dove – grazie all’impegno e alla perseveranza – aprirà una famosa bottega. I figli nascono e crescono in un ambiente favorevole, ricco di stimoli, fino a quando nel 1936 la guerra civile imperversa in Spagna. La città è in fiamme, lo scenario apocalittico, fino a quando i Monclavi – dopo attenta e sofferta valutazione – decidono di lasciare la Catalogna per tornare sulle coste liguri.

Così si forma sempre più consapevolmente un’epopea intima, capace di raccontare per il tramite di un bambino l’esperienza universale dell’esule. Una storia traumatica, contraddistinta però da un affascinante e perenne canto – anche se a volte appena percettibile – di speranza:

In quella notte tra Barcellona e Genova tutto era vento, tutto era corrente. Mi sarebbe piaciuto essere la polena di una nave. Non sarei stato bello come una sirena o Nettuno, ma forse avrei portato fortuna. Sarei stato tutto d’oro e avrei tagliato il vento. Avrei avvistato per primo il profilo bruni delle nuove terre o le acrobazie gioiose dei delfini. Volevo essere per sempre fasciato dal vento.

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L’approdo a Genova è tanto euforico quanto angoscioso. Lo zio paterno, Lodovico, diventa un personaggio fantastico nelle sue austere bizzarrie. Un eroe sui generis alla Joseph Conrad dotato di un grande amore per i nipoti e gli autentici valori patriottici. La storia del suo amore perduto diventa una delle tante passioni narrate in Il mio nome nel vento. Un episodio che appassiona i giovani già di per sé ricettivi e dotati di una sensibilità rara e discreta. Ad esempio, basti pensare alle pagine riportate da Giulia – sorella di Augusto – che solo nel suo diario riesce ad esplicare il suo turbamento:

Avevo visto con gran rincrescimento le ultime tracce di Barcellona. Era il primo viaggio in mare. A bordo eravamo milleottocento. Tutti fuggiti in fretta da Barcellona in seguito ai massa di che avvenivano ogni giorno. Dopo due giorni, alle cinque, ci fu la sveglia e iniziammo a prepararci. Erano tutti contenti come una Pasqua e stavano segugi in coperta. Mi dava fastidio chi rideva, chi cantava, chi scherzava. Volevo restare sola.

Ma Genova è solo un passaggio. La famiglia poi si ritrova in aperta campagna, nell’antica villa dei nonni. Un insistente perseveranza e volontà di rinascere porta i Monclavi a costruire una nuova vita. Eppure, anche in questo caso, la guerra arriva impenitente senza che le persone possano nulla contro di essa. La tragedia si consuma anche in seno alla famiglia. La morte aleggia e solo l’amore, nelle sue piccole connotazioni quotidiane, sembra se non contrastarlo almeno arginarlo.

Il passaggio, la ricapitolazione

Il mio nome nel vento è l’appassionata e motivata incursione di Rivali nella storia. La volontà di raccontare ciò che è stato, un grande omaggio a chi l’ha proceduto senza abbandonarsi in sentimentalismi o facili illazioni. Il bambino e poi l’adolescente vive l’agonia del conflitto senza che riesca a presagirlo, anticiparlo in qualche modo. Solo il padre con l’annuncio dell’ingresso dell’Italia in guerra scoppia in un pianto inconsolabile. Da adulto responsabile sa che bisognerà ancora trovare una soluzione, salvare la propria famiglia. Ma le possibilità si fanno sempre più scarne e la desolazione si impone.

In questo susseguirsi di eventi, Il mio nome nel vento (acquista) è anche il passaggio all’età adulta, un romanzo di formazione che è anche viaggio di risurrezione. Nel suo raccontare spontaneo e coinvolgente, Rivali tramuta l’uomo in leggenda:

Ripensai alla nebbia dei morti quando veniva la “caligo” sul mare. Ma ora non avevo paura. Le parole di una donna placavano il dolore. Quella preghiera era una ricapitolazione. Come se il teatro delle montagne si accendesse del volto dei morti.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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