«Non sono un albero»

La poesia in prosa di Russell Edson

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Russell Edson non è nome fra i più noti della poesia americana del secondo dopo guerra. Sicuramente il suo non aderire a qualsivoglia avanguardia o corrente di pensiero non ne ha facilitato la diffusione. Eppure, anche oggi in Italia si può apprezzare appieno la sua poesia in prosa grazie a Il tunnel, edito da Taut Editori con l’attenta traduzione di Clarissa Amerini e Bernardo Pacini.

Gli antecedenti di Edson in Italia

In un commento rilasciato su Layout Rivista, lo stesso Pacini ammette di essere venuto a conoscenza dell’opera di Edson grazie ai saggi di Charles Simic. Tuttavia, sempre come ricorda il traduttore, l’opera non era totalmente sconosciuta in Italia nei decenni passati; in particolare già Riccardo Duranti se ne era profondamente interessato tanto da conoscere personalmente Edson – che verrà poi a mancare nel 2014.

Così già nel 1982, Duranti inserisce il poeta nell’antologia Storie di ordinaria poesia e nel 1985 per Arsenale traduce sempre un suo saggio sul rapporto tra poesia e immagine. Dopo anni di immeritato oblio, Amerini e Pacini decidono di riprenderne le parole e riconsegnare al pubblico italiano uno scrittore atipico, assurdo e totalmente eccezionale.

L’immagine e il linguaggio

Nato nel 1935, Russell Edson è figlio di un famoso illustratore, tanto che la passione per il disegno lo accompagnerà per tutta la vita. Per Edson tanto l’immagine quanto il linguaggio sono divenuti con il tempo due modi di esprimersi indispensabili e inscindibili; eppure teoricamente l’autore cerca di delineare il confine fra le due. Nel saggio sopraccitato tradotto da Duranti scrive:

Se il linguaggio della poesia riuscisse a tradurre perfettamente l’immagine, l’immagine sarebbe un’immagine fallita. Ci deve essere sempre qualche cosa che rimane nascosta al linguaggio: una presenza intuitiva più forte dello stesso linguaggio che la esprime. Solo allora l’immagine possiede una sua dimensione e una sua realtà. La cosa migliore è permettere all’immagine di essere quello che vuole essere.

Quindi il linguaggio poetico deve avere rispetto per l’immagine e non deve di certo “intorbidirla”, cercando di andare al di là del suo progetto originario. Non sorprende poi come Edson prediliga di per sé le immagini più folli, surreali, capaci di spingere il lettore a scenari apparentemente impensabili. Il poeta così, come buona tradizione novecentesca, tenta di prendere possesso della propria visione del reale dopo la caduta di certe utopie estetiche. Per esempio così accade in La decisione dei genitori:

Un uomo si separa in due parti che sono una vecchia e un vecchio.

Devono essere i suoi genitori. Ma dov’è andato a finire l’uomo? Forse ha dato la sua vita per loro …
Chiedo alla coppia di vecchi se hanno visto loro figlio.

La vecchia risponde, abbiamo deciso di non avere figli.

I concetti precostituiti vengono destrutturati per raggiungere una nuova forma, inedita; per plasmare e poi comprendere una nuova realtà.

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Poesia in prosa

Sempre restio a lasciare la propria casa in Cunnecticut, Edson è uno scrittore sedentario capace di vivere della propria arte senza che essa sia alimentata da circoli esclusivi e viziosi. Un atteggiamento che ricorda a tratti quello di Joseph Cornell, artista elogiato sempre da Charles Simic nel suo Il cacciatore di immagini. Edson riesce così, proprio come nei suoi disegni, a raccontare delle storie con poche e semplici parole e con una sincerità e autenticità che lasciano disarmati.

Ora sarebbe obbligatorio per un critico o un esperto cercare di arginare nei rigidi schemi dell’analisi l’opera di Edson. Molti l’hanno chiamata “poesia in prosa” – e forse, ancora oggi, sembra la definizione più appropriata e meno invasiva. Altri, invece, si sono spinti a definirla più simile a una “favola” per quanto grottesca e satirica si configuri. Sicuramente Edson è conoscitore di certe avanguardie, soprattutto del primo Novecento, e non è avulso dalle innumerevoli correnti che hanno percorso la storia contemporanea della poesia americana; tuttavia, la sua voce rimane originale e perfettamente riconoscibile.

Come evidenzia Simic, d’altronde, difficilmente il pubblico si è trovato di fronte a una produzione del genere. Le parole si susseguono con apparente facilità andando così a plasmare delle situazioni sempre più paradossali che, però, nella propria struttura interna celano una rigorosa logica. Sì, perché le poesie di Edson si fondano anche su giochi logici, dove una singola parola diventa propedeutica per inscenare una farsa, anche intrisa di una certa malinconia. Sensazioni rinvenibile in certe poesie, ad esempio, di Kenneth Patchen (come Le origini del base-ball).

Metamorfosi del quotidiano

In Il tunnel si propone la produzione migliore – o perlomeno la più rappresentativa – del poeta dal 1964 al 1985. Basta prendere uno dei componimenti proposti per comprendere come, innanzitutto, la forza di Edson consista nell’incipit. Mai banali, l’autore prende a riferimenti delle figure a tratti stereotipate; d’altronde Edson, con la forza del proprio linguaggio, non teme di cadere in certi cliché. Si prenda ad esempio La colazione della vecchia:

Una vecchia fa colazione, è talmente stanca che a malapena distingue se stessa dal porridge che sta mangiando.
Non capisce se sta succhiando il porridge dentro se stessa o se stessa dentro il porridge …

Quello che, dunque, potrebbe essere l’inizio di una barzelletta, nella frase immediatamente successiva assume una connotazione sì ironica, ma anche profondamente disillusa per quanto riguarda la noia e l’esistenza umana. Il componimento, poi, continua figurando come la donna assuma sempre più la consistenza del porridge fino a diventarlo.

Un ritratto, perciò, di un’ironia tagliente dove i personaggi di Edson sono sempre il soggetto prediletto di metamorfosi del quotidiano, senza che abbiano necessariamente un nonsoché di mitologico od eroico. Questo concetto è espresso, fra gli altri, in una delle poesie più riuscite della raccolta, La caduta:

Un uomo trovò due foglie, rientrò tenendole in mano e dicendo ai suoi genitori di essere un albero.
Al che loro dissero vai in cortile e non crescere in salotto, che le radici potrebbero rovinare il tappeto.
Lui disse stavo scherzando non sono un albero e lasciò cadere le foglie.
Ma i genitori dissero guarda è arrivato l’autunno.

Ancora una volta Edson ha un totale rispetto per la sua immagine e non cerca in nessun modo di prevaricarla, anzi. Con un linguaggio semplice, diretto e accostando ancora una volta immagini su immagini riesce a produrre frasi suggestive. Edson riesce nel difficile intento di trasporre nella nostra mente una scena per il tramite del linguaggio.

E sarà come aver visto uno sketch alla televisione: saremmo convinti di averlo visto e invece l’avremmo solo letto. Avremmo letto le parole di Russell Edson e in noi si sarà fatta strada l’idea di averle viste quelle parole. Le sue parole rispettose dell’immagine, ma così vivide da darle una consistenza nuova, sorprendente.

Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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