Immagini di Davide

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La prima immagine di Davide deve essere per forza un momento di riflessione e confusione. Mentre mi rivolge uno sguardo naif perché non capisce cosa gli sto dicendo; al ristorante con la testa immersa nel menù perché non sa cosa mangiare; davanti a troppe locandine di film tutte insieme. In ogni caso ha sempre le sopracciglia leggermente increspate e le labbra socchiuse.

Dicono sia una cosa comune che il passato si faccia più dolce con il trascorrere del tempo. Certi dettagli, eventi, persone assumono un’aurea mitica, quasi sacrale. Avevo sedici anni quando ho conosciuto Davide e gli è bastato qualche mese per lasciare un segno indelebile nella mia educazione sentimentale.

È stato un incontro d’estate in libreria, i testi scolastici, una serie di sguardi durati più del consentito, occhi pieni di speranza e paura. Un sorriso, il sollievo, il suo numero. Così è iniziata.

Davide: capelli ricci, labbra sottili, tutto naso e occhi.

Davide: sei lettere scritte in corsivo in ogni angolo di foglio.

I primi giorni sono quelli dell’incoscienza, dell’abbandono, del lanciarsi di testa in qualcosa di sconosciuto senza paracadute e del vedere come va. Mi nutro dei suoi silenzi, dei suoi sguardi, della sua pelle contro la mia. La necessità di stare insieme ha il sopravvento sul resto.

Cosa ci unisce: le insicurezze, la passione, i disegni, i dolci, gli stati di grazia, la paura del futuro, il “per sempre primo”, la sensibilità, la facilità con cui riusciamo a capirci, gli SMS da 5 centesimi, le mani che si stringono sotto ai tavoli dei bar, le prime volte, i silenzi, i baci rubati negli angoli delle strade, gli squilli, essere stupidi e felici insieme.

Immagine autunnale di Davide: una giacca di scamosciato marrone, il rosso del tramonto, le labbra screpolate, gli zaini abbandonati in un angolo e noi nella camera degli ospiti di Alice.

Settembre è meno freddo con lui. Sembra un’estate infinita. Novara non è mai stata così bella.

Acutezza di Davide: «Posso farti un ritratto?»

Arrossisco, acconsento. Lui vede la debolezza e incalza.

«Cosa ti imbarazza?»

«Essere così importante per qualcuno.»

Parliamo tanto, di qualsiasi cosa. Delle nostre famiglie, di come la sua lo opprima e la mia mi riempia di responsabilità. Della confusione sul futuro. Dei nostri punti di vista opposti sul mondo, sui libri che leggiamo, sulla musica che ascoltiamo. È Loredana Bertè contro Hilary Duff, Nietzsche contro Balzac. Ci intestardiamo, a volte è impossibile trovare un punto d’incontro. Ma sono anche i momenti in cui entrambi assumiamo una parvenza più terrena e profana. Perdiamo l’aureola.

Idillio di Davide: «Se potessi ti porterei in una città verde e calda, magari in Corsica o in Sud America, e vivrei lì con te per sempre. Lo vedi quanti orizzonti riesci ad aprirmi?»

Davide non rimarrà. È chiaro, in lui c’è questo bisogno impellente di fuggire da qui, dalla sua famiglia, dalle sue radici per piantarne di nuove altrove e non riesco a (non voglio) comprendere il mio ruolo nei suoi progetti.

Frammenti di confusione e lucidità di Davide: «Come sarà la mia vita tra cinque anni quando sarò lontano da qui? Chi stringerò tra le mie braccia? Quali zigomi caldi bacerò ogni giorno? Quali occhi mi faranno innamorare?»

E subito dopo: «Sei una priorità e mi dai quell’ordine mentale che mi serve per andare avanti».

Gli amici di Davide: sbandati, emarginati, incompatibili. La mia difficoltà nel riuscire a farmeli piacere si trasforma in irritazione, insofferenza, cattiveria, atteggiamenti sgarbati. Mi fermo alla prima impressione, non vado oltre. Non mi riconosco, ma quel giovane me mal sopportava di dividere con qualcun altro il tempo insieme a Davide. Soprattutto dovendo far fronte all’insicurezza che si nutriva dei giorni trascorsi senza vederci.

Dicembre è il mese delle mani gelate e dei nasi rossi, della città grigia, delle cioccolate calde, dei baci nelle fototessere. Tre mesi insieme.

La prima volta sono il Trentino, la neve, la stufa a legna, il capodanno, la cena preparata insieme, il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, l’ansia, il nervosismo, i consigli degli amici, il goffo approccio, le mani impazienti, le braccia che si stringono per non lasciare alcuno spazio tra i nostri corpi. L’amore sono l’assenza di imbarazzo, una certa dimestichezza nonostante l’inesperienza, nessuna parola. E alla fine la sofferenza che si trasforma in piacere lasciandoci lì spossati, esausti, senza fiato.

L’amore secondo Davide: «Amo te, non l’idea di essere innamorato di te. Se fosse la seconda cosa significherebbe che mi sono imposto di amarti perché rispondi a certi standard e non farlo mi sembrerebbe uno spreco. Mi è già successo prima, ma questa volta amo te perché mi fai stare bene, mi fai sentire protetto. Perché piangi quando sei emozionato e la tua voce si fa debole quando sei felice.»

Gennaio è il mese della pausa.

Litighiamo. Per i soliti motivi. I discorsi politici e sulle rispettive visioni della vita non sono il nostro forte. Nei momenti peggiori mi dice che sono come un bambino di sei anni, incontentabile, insopportabile, della peggior specie. Pensa che sia un essere egoista e che non riuscirei a dare sicurezza nemmeno a un pesce rosso. Io gli chiedo cosa posso farci, sono fatto così. È chiaro che qualcosa non va e finiamo per piangere.

Frustrazione di Davide: «Mi sento vuoto e insensibile, non sopporto più il muro che c’è tra di noi. Ti chiedo un po’ di tempo per capire quanto vale quello che provo per te, se posso vivere questa cosa nonostante i sentimenti contrastanti.»

Non capisco più se stiamo insieme perché siamo convinti di poter superare qualsiasi cosa, perché siamo andati troppo oltre per tornare indietro o se abbiamo paura di ammettere la sconfitta. Da quando smetto di sentirlo per la pausa non faccio che pensare a lui e a come il suo arrivo nella mia vita abbia avuto la forza distruttrice e rinnovatrice di un tornado. Vorrei essere felice ma non lo sono.

Crudeltà di Davide: mi fa sapere i nomi dei ragazzi che lo corteggiano, con cui potrebbe tradirmi.

«Non sono il principe azzurro, al massimo un teppista.»

Lo accuso: «Promettiamo che qualcosa durerà in eterno mentre in realtà dura solo il tempo che impieghiamo a stancarcene. E tu ti sei stancato.»

Febbraio è il mese più freddo. Quello della fine.

Crudeltà di Davide 2: vuole me, ma non vuole stare con me.

Si assume la colpa della rottura a causa del suo nichilismo, del suo essere autodistruttivo. La verità è che non siamo più gli innamorati di settembre e ho provato in tutti i modi a tenermelo stretto ma non ce l’ho fatta. Forse ha bisogno di libertà e forse alla fine tutto si riduce alla presa di coscienza di non essere la persona adatta a lui.

Davide parte. Non è una notazione banale. Va a Venezia per studiare e qualche anno dopo prosegue ancora più a oriente. La sua presenza fisica prima e virtuale poi vengono meno. Non c’è spazio per una seconda stagione.

Il mio addio: “Gli altri non sono come te” scritto in cima a un disegno di persone tutte uguali, tranne una.

È vero. Quelli che sono venuti dopo non sono stati come lui. Ce ne sono stati di peggio. Molti anche meglio. Nessuno però mi ha fatto riprovare quelle montagne russe. Davide non mi ha insegnato cosa voglia dire amare o essere amato, ma senza di lui non avrei mai saputo cosa sia il primo amore.

Immagine finale di Davide (e me): insieme in un letto singolo, le lenzuola bianche, le tapparelle abbassate, i corpi stretti l’uno contro l’altro, le mani intrecciate, illudendoci che quel pomeriggio, quella sensazione di completezza, quella serenità sospesa dureranno per sempre.

Racconto di Daniel Cristian Tega / Immagine di Marina Lucco Borlera

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Redazione MM

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