Lavorare stanca di Cesare Pavese è la sua opera prima, nota per non essere stata apprezzata dai suoi contemporanei né particolarmente vantata dai critici. Era ancora tiepido il successo di Pavese, che poi venne riconosciuto come un grande narratore e in generale un grande autore. Fino a guadagnarsi, come lui stesso spiegò nella prefazione dei Dialoghi con Leucò, la fama di “testardo narratore realista”. Accanto a questo realismo, c’è sempre stata una presenza ingombrante ed eccezionale: quella dell’io. Un io lirico, anzi anti-lirico e narrativo che riconosciamo in queste poesie-racconto di Pavese. La casa editrice Interno Poesia ha deciso di offrire ai lettori una nuova elegante e curatissima edizione di Lavorare stanca, in cui l’opera è introdotta da Alberto Bertoni con le note di Elena Grazioli. Tale edizione opera una rivalutazione di questo lavoro, già fortunatamente apprezzato di recente e all’eleganza di caratteri e formato unisce una grandiosa cura dell’apparato critico.
«Lavorare stanca» di Interno Poesia e l’introduzione di Bertoni
Nell’introduzione, illuminante e brillante, di Lavorare stanca nell’edizione di Interno Poesia, Alberto Bertoni ricostruisce la storia di questa sfortunata raccolta di poesie, accusata di populismo, eppure davvero attuale. Queste poesie-racconto hanno un forte debito nei confronti delle Foglie d’erba di Walt Whitman, giacché sappiamo bene quanto Cesare Pavese amasse la letteratura americana e qui mostra la sua grande conoscenza ancora giovane, ancora prima di diventare quel prezioso traduttore per l’Einaudi che lo stesso Giulio vanterà con profondo orgoglio.
Altro modello fondamentale è Augusto Monti, professore di Cesare Pavese al liceo e suo grande punto di riferimento. Ciò era già stato messo in evidenza da Italo Calvino nella sua introduzione dell’edizione del 1962 di Poesie edite e inedite di Cesare Pavese. La stessa prima poesia, I mari del sud, è dedicata proprio ad Augusto Monti. Tuttavia, al di là dei modelli, ciò che rende profondamente unico questo lavoro è l’autobiografismo, forse anche il narcisismo, che ritroviamo nel riconoscere i luoghi che sono di Pavese, le Langhe e Torino, ma anche le persone, la vita, la realtà.
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Vi è una varietà di componimenti e di linguaggi che ricostruiscono, osserva Bertoni, più il parlato che lo scritto. Il parlato con la sua vivacità e verità, con i gesti, con le parole. Per un autore come Pavese che sappiamo scriverà dei Dialoghi, forse non era cosa difficile. Nei Dialoghi Cesare Pavese inserisce momenti “inutili” dal punto di vista delle informazioni per il lettore, ma preziosi per ricostruire la naturalezza dialogica. Ad esempio quando fa ripetere tante volte “Leucò” a Circe quando parla con Leucotea. In Lavorare stanca Pavese non cede alla brevitas per narrare profondamente di sé e del suo dramma.
Le Langhe, la donna, la solitudine
Per ciascuna di queste poesie rivivevo l’ansia del problema di come intendere e giustificare il complesso fantastico che la costituiva. Diventavo sempre più capace di sottintesi, di mezze tinte, di composizione ricca.
Cesare Pavese, novembre 1934
La raccolta è divisa in sei sezioni. La già citata I mari del sud lo stesso Pavese illustra, quasi come fosse un proemio, le tematiche principali della prima sezione, Antenati, dove ritroviamo le antitesi che apparteranno a tutte le opere pavesiane: città vs campagna, maturità vs infanzia, ecc. Attraverso un freddo realismo, Pavese descrive luoghi e sensazioni in cui spicca la collina, non a caso, la ricordiamo nel titolo di uno dei romanzi più famosi dell’autore. Da sempre legata al sangue e alla morte, come sarà anche nella raccolta uscita postuma Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
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Alla morte si legano anche la sessualità e l’amore, presenti nella seconda sezione, Dopo, ma anche nella quarta Maternità. I versi esprimono sempre con intensa verità sensazioni di malinconia, solitudine, disperazione anche a causa dell’impossibilità, di cui prende via via maggiore consapevolezza Pavese, di poter trovare qualcuno con cui comunicare. In tal senso, la figura della donna è caratterizzata con toni diversi e figure varie: a volte è proprio una compagna impossibile da avere, che induce alla solitudine, altre volte è radicalmente legata all’idea di madre (come nella sezione che porta il riferimento alla maternità). Donna in Lavorare stanca significa malinconia, è quasi un’ombra irraggiungibile e inarrivabile. Simbolo di questa difficoltà di instaurare un legame è l’elemento sessuale, che non colma il vuoto del silenzio e della sterilità che ne deriva.
La sterilità come solitudine e l’impegno politico
Tale sterilità va intesa in modo non letterale: nell’ultima sezione, Paternità, questa viene contrapposta alla fecondità della maternità. Il poeta è da solo quindi è sterile, «bisogna fermare una donna e parlarle», dice, eppure sembra sempre più lontana. A questo dramma individuale si unisce però anche l’impegno politico: nella sezione Città in campagna ritroviamo diverse poesie che descrivono la vita di contadini e operai. Il riferimento a Ulisse, poco noto rispetto ad altri riferimenti dell’autore al mito – pensiamo al dialogo L’isola in cui l’eroe omerico dialoga con Calipso – è una descrizione attenta e realistica della vita di un ragazzo e del padre.
Questo è un vecchio deluso, perché ha fatto suo figlio
Cesare Pavese, Ulisse
Troppo tardi. Si guardano in faccia ogni tanto,
ma una volta bastava uno schiaffo. (Esce il vecchio
e ritorna col figlio che si stringe una guancia
e non leva più gli occhi). Ora il vecchio è seduto
fino a notte, davanti a una grande finestra,
ma non viene nessuno e la strada è deserta.
Nella quinta sezione, Legna verde, ritroviamo poi sette testi che mostrano il ricordo del fascismo e della sua violenza. La posizione di Pavese a riguardo è controversa, lo ricorda lo stesso Giulio Einaudi nel Colloquio con Severino Cesari a proposito del Taccuino segreto, pubblicato da Lorenzo Mondo su «La Stampa». Tuttavia, la descrizione così precisa dell’atmosfera di morte dell’epoca non lascia spazio all’immaginazione. La natura sembra osservare lei stessa disgustata da quell’odio: «pure, in strada le stelle hanno visto del sangue», è il verso conclusivo della poesia Rivolta.
Le stelle, l’alba, le colline, tutto sembra osservare e non solamente fare da sfondo a poesie-racconto che fanno proprio questo: narrano. Chi siamo stati, chi è stato Pavese, come si sentivano i contadini, gli operai, come si sentiva un uomo come lui. Un intellettuale che ha fatto la cultura, che l’ha vissuta, tradotta e diffusa, ma prima di tutto un uomo. Lavorare stanca nell’edizione Interno Poesia (acquista) si configura come un viaggio tremendo, ma anche incredibilmente necessario, dentro l’oscurità del passato e la fragilità del mondo.
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